Giomblanco Francesco, “Alto tradimento. La repressione dei moti del non si parte. Dal carcere al confino di Ustica”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, 2010, 212 p.

Questo libro analizza l’aspetto meno conosciuto e indagato dei moti contro la guerra detti del «non si parte», scoppiati in Sici­lia tra il dicembre del 1944 e il gennaio del 1945: il loro epilo­go all’insegna della repressione. L’irruzione dell’esercito nelle città e nei paesi «ribelli», le retate di cittadini svolte in maniera indiscriminata; gli interrogatori, spesso violenti; la deportazione a Ustica e la segregazione in varie carceri dell’Isola; i processi; infine l’amnistia del 22 giu­gno 1946, vengono qui ricostruiti con dovizia di particolari, mediante l’ausilio di documenti rimasti inediti, e, nella ricca appendice, dalla viva voce di alcuni protagonisti intervistati dall’autore.

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Dal Canto Alete, “Le imposture del prete”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, 1988, 228 p.

Come definire un libro come questo? Comunque lo si voglia giudicare, rimane una lettura fuori dell’ordinario, certissimammente dissacratoria ma anche piacevolissima, divertente e istruttiva. Si pensi, tanto per are ancora qualche esempio e invogliare alla lettura, che: “A Coutchivenne (Francia) si ha la pretesa di conservare il respiro che Giuseppe mandò mentre spaccava la legna!” Possibile? Possibilissimo perchè “un angelo lo raccolse pienamente, lo pose in una bottiglia che donò alla chiesa di Coutchivenne.” E si pensi che, tra le tante ipotesi e supposizioni sul chi e come abbia ingravidato la Vergine Maria, non ti sbuca fuori un Sant’Ambrogio che taglia corto, affermando: “Maria per aurem impraegnata est!”, che Dal Canto traduce: “Aver un angelo ingravidato Maria per un orecchio!” E noi atei e miscredenti che non crediamo ai miracoli!
È un viaggio esilarantissimo attraverso le assurdità teologiche della liturgia e dei rituali – i più aberranti e stomachevoli imposti, anche con le torture più efferate e le minacce dell’inferno, da dottori e padri, e papi e santi. Un viaggio che ci fa penetrare nei labirinti oscuri dei vari “misteri” e nella giungla dei “miracoli.”

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Franzinelli Mimmo, “Ateismo, laicismo, anticlericalismo. Guida bibliografica ragionata al libero pensiero ed alla concezione materialistica della storia. 3 Volumi”

Edito da La Fiaccola, Ragusa
-Primo Volume “Chiesa, Stato e società in Italia”: Agosto 1990, 183 p.
-Secondo Volume “Da Cristo a Wojtyla. Contributi per una storia eterodossa della Chiesa”: Ottobre 1992, 222 p.
-Terzo Volume “L’intolleranza religiosa e le sue vittime”: Giugno 1994, 201 p.

Verso la prima metà degli anni ’90, lo storico Mimmo Franzinelli ha raccolto una gran quantità di testi inerenti all’ateismo, laicismo e anticlericalismo. L’onnipresenza della Chiesa cattolica nella società italiano (specie sotto il papato di Wojtyla) e l’assottigliamento sempre più marcato del libero pensiero, ha spinto lo storico lombardo nel fare questo lavoro che definiremo “certosino”, cercando una serie di titoli storici e attuali (in quella fase storica) e con lo scopo, quindi, di riportare alla luce e ribadire il pensiero anticlericale e ateo.
La pubblicazione che ne è seguita è stata una corposa bibliografia, divisa per aree tematiche e in tre volumi, e con le recensioni dei titoli dello stesso curatore.

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Nota dell’Archivio
-Il progetto di Franzinelli doveva essere suddiviso nei seguenti volumi:
–Vol. 4: L’anticlericalismo nella letteratura
–Vol. 5: L’ateismo nella società contemporanea
–Vol. 6: Il libero pensiero e la critica anticlericale
–Vol. 7: L’anticlericalismo nell’arte, nella satira e nel folklore
–Vol. 8: Il pensiero dei classici
–Vol. 9: L’anticlericalismo nella stampa periodica
–Vol. 10: Miscellanea
Purtroppo il progetto si arenò e, quindi, vennero pubblicati soltanto 3 volumi.

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Clemente Duval. Memorie autobiografiche

Edito da Biblioteca de “L’Adunata dei Refrattari”, Newark, 1930, 1044 p.

Presentazione
Chi ricorda ormai più il vecchio combattente che la Corte d’Assise della Senna condannava a morte vent’anni fa per un atto di rivolta e di giustizia, e che la clemenza repubblicana seppelliva poi,t per sempre, nei penitenziari della torrida Gujana, dove, se egli è vivo, deve trovarsi tuttora?
Eppure Clemente Duval fu, dopo Gallo, tra i primi che dei proprii atti di ribellione contro l’ordine, e sopratutto con­tro la morale borghese, assumesse dinnanzi al magistrato la piena ed intera responsabilità, e dinnanzi al magistrato riven­dicasse il diritto d’espropriare il borghese, che vive di rapina, ogniqualvolta il bisogno urge о la lotta contro l’iniquo ordine sociale lo esige.
Ma i vecchi si fanno radi e taciturni, ed i giovani, venuti di poi, hanno trovato sul loro cammino troppo lavoro per ricordarsi dei pionieri.
Ora, un compagno che ha passato alla Gujana parecchi lustri ed a cui avevamo tempo addietro chiesto del vecchio Duval, rispondendoci che non sapeva quel che di lui fosse avvenuto, ci mandava per la Cronaca Sovversiva, col resoconto del processo svoltosi a Parigi nel Gennaio 1887, un pacco mano­scritto di appunti e note che il Duval stesso in questi ultimi anni aveva tracciato ed ordinato coll’intento di darle un giorno alla luce, ultimo contributo della sua energia alla propaganda delle idee libertarie che vent’anni di relegazione e di catena non avevano in lui nè soffocate nè attenuate.
Abbiamo letto il manoscritto che è un documento umano del più vivo interesse e del più alto valore: ed in uno dei pros­simi numeri della Cronaca Sovversiva ne inizieremo la pubbli­cazione sicuri di far cosa grata ai nostri lettori che nelle pagi­ne del vecchio deportato di Cajenna troveranno più d’un insegnamento, troveranno più di un’ora di profonda ed intensa commozione.
Luigi Galleani
(Cronaca Sovversiva, 15 Giugno 1907)

Prefazione
A raccogliere in volume le “Memorie Autobiografiche di Clemente Duval” che la Cronaca Sovversiva accolse, prima, tradotte con affettuosa cura dal suo vecchio compilatore, mi induce un antico acuto desiderio dei compagni e mio.
E’ prima, nei cenni biografici abbozzati vigorosamente da mano fraterna, la tragedia violenta nei suoi schianti, nell’im­peto con cui le più temerarie affermazioni dell’anarchismo si urtano alle tradizioni morali più gelosamente custodite; nelle “Memorie” è, lungo l’erta di un calvario che non finisce mai, che ha in vetta la ghigliottina e ad ogni tappa l’aceto ed il fiele di tutti i tormenti, di tutti gli schermi, la passione quotidiana di un iconoclasta il quale ha intraveduta la libertà, ne ha colto i sorrisi e le promesse, e ne sogna, ne vuole benedizioni e glorie per sè, per tutti, sfidando impavido sdegni, adii, vendette cieche e collere inesauste di tutto un mondo; esempio di audacia e di tenacia, di coraggio e di fede.
Densa d’insegnamenti ogni pagina, degna di essere meglio custodita che dalla dubbia fortuna del foglio di battaglia, incerto tra un lampo d’entusiasmo e uno d’esecrazione; echi di vigilie che attendono sempre la loro giornata, e che non voglio­no andare perduti.
Non appaiono in buon punto. La guerra ha tutto ipote­cato e sconvolto, e dai fragili mezzi di cui posso disporre, di cui mi hanno così male armato i pochi compagni che ha disper­so pei vari continenti la bufera, non può uscire la splendida edizione che io aveva sognato, e mi ero dentro di me ripro­messo, e darà più fortunato editore.
Ma è di una promessa l’assoluzione fedele, ed ai compagni è pegno che il comune proposito di veder in volume raccolte le “Memorie Autobiografiche di Clemente Duval”, è entrato nella via dell’attesa realizzazione, e che a questo primo volume gli altri seguiranno fino ad opera compiuta se non mi manchino le forze e mi sorregga la cooperazione dei buoni.
L’editore
(Andrea Salsedo — 1917)

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Note dell’Archivio
-La prima traduzione in italiano, come si evince dalla Presentazione, è di Luigi Galleani.
-Come spiegato dagli editori, la pubblicazione di queste “Memorie” avvenne dopo la morte di Salsedo: “Colto nel vortice sanguinoso della patriottica reazione che, regnando Woodrow Wilson, prima durante e dopo l’intervento degli Stati Uniti fece strame e strage d’ogni più coscienziosa opposizione alla grande guerra, Andrea Salsedo non potè realizzare il suo sogno: il 3 maggio 1920 precipitava dal quattordicesimo piano di un edificio di Park Row a New York, dove la polizia politica dell’V. S. Attorney General Mitchell Palmer, l’aveva per circa due mesi tenuto segretamente prigioniero. La fine tragica e immatura tolse ch’egli conducesse a termine l’edizione delle Memorie di cui aveva pubblicato un primo volume nel 1917. Riprendendo ora, in condizioni meno sfavorevoli, l’opera ch’egli aveva coraggiosamente iniziata, ritorniamo sui suoi passi, includendo nel presente unico volume delle Memorie Autobiografiche di Clemente Duval anche la prima parte pubblicata da Salsedo nel 1917, andata, nel volgere degli avvenimenti e tra tante vicende e persecuzioni, dispersa o, comun­que, esaurita.”
-Marianne Enckell, nel 1980, recuperò parte del manoscritto di Duval presso il CIRA di Losanna e lo pubblicò nel 1991 col titolo “Moi Clément Duval : bagnard et anarchiste” per le Éditions de l’Atelier.
-In italiano le Memorie di Duval sono state pubblicate dalle Editziones de su arkiviu-bibrioteka T. Serra (diviso in 4 tomi) nel 1995 e da Kaos (rinominato come “Il fuggiasco della Guyana”) nel 2012

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Minasso Gianni, “Sapevo il Credo e ora l’ho scordato. 469 motivi per diventare infedeli”

Edito da La Fiaccola, Ragusa,

La consultazione di 57 periodici e 123 libri genera questi 469 para­grafi in cui viene smontata, pezzo per pezzo, una considerevole parte degli assiomi cattolici. L’esame prospettico dalle tre dimensioni del pensiero laico, anticlericale e religioso, mette poi impietosamente a nudo le macchinose mistificazioni cristiane. Dall’Inquisizione alla Candelora, dalla teologia negativa all’Opus Dei, dall’acqua benedetta alla retinite della Madonna, passando attraverso una Sacra Scrittura manipo­lata e contraddittoria, un Cristo inventato, papi assassini e santi cerebrolesi, si delinea un quadro per nulla edificante dei ceppi vaticani. Qual­che spruzzata di ironia e la comici­tà involontaria di certi episodi servono appena a mitigare il fosco panora­ma dell’asservimento provocato dal­la religione.

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Rensi Emilia, “Di contestazione in contestazione”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, 1971, 144 p.

Prefazione
Chi non «contesta» oggi?
Purtroppo l’estendersi delle «contestazioni» in tutti i paesi, in tutti i campi, da parte delle genti più di­verse, trasforma la protesta in «moda», e la svuota del contenuto. Procedimento reso facile dal fatto che non tutti hanno chiaro l’oggetto della «contestatone», e possono, perciò, dare l’impressione che l’agitazione sia fine a se stessa. Specialmente questo si avvera nelle «con­testazioni» dei giovanissimi, talvolta sollecitate dal de­siderio di imitare gli adulti, non di rado «strumentaliz­zate» ad insaputa degli autori, spesso dirette a scopi secondari о errati, mentre quelli essenziali (che non mancano davvero!) vengono tralasciati.
I motivi per «contestare» sono indubbiamente molti e gravi: ma se la parola «repressione» alla quale si gri­da «no», non viene accompagnata da un aggettivo che la qualifichi, perde ogni significato. Quale «repressio­ne»? Giudiziaria, culturale, domestica, poliziesca e via dicendo? E’ necessario specificare, altrimenti finirà per essere contestata anche la «contestazione». Tauto più che sulle pregiudiziali generiche è facile trovarsi d’accor­do, e i «contestati» stessi accettano molte belle frasi astratte, le fanno proprie e se ne adornano.
La «contestazione» non è certo una novità dell’e­poca nostra, è invece molto antica. Anche se non si è sempre espressa con cortei, vetri rotti, auto fracassate, manganellate, scritte murali e simili. Vi sono molti differenti modi di contestare, ma con un sistema о con un altro, l’uomo ha sempre contestato fin dai primordi della sua esistenza. Tanto che non manca chi ha voluto considerare, come caratteristica essenziale dell’umanità, lo spirito di ribellione. Non ci sentiamo di accettare questo giudizio, perchè le qualità che distinguono l’uo­mo dall’animale sono molte e complesse, e ammettendo una rigida semplificazione si rischierebbe di cadere nell’esclusivismo, di non riuscire ad esprimere l’essen­zialità dell’uomo, di incorrere, come giustamente affer­ma J. Rostand, in una specie di «.razzismo psicologico».
E’ certo però che una delle caratteristiche fondamen­tali dell’uomo è il dissenso, in nome del quale egli s’im­pegna a lottare contro il dolore, e giunge perfino a rifiutare la realtà della morte.
La contestazione umana scorre quindi come un fiume che non conosce sosta, dalle più remote origini fino al più lontano avvenire.
Non è inutile, perciò, prender contatto con alcune contestazioni, appartenenti al lontano passato о ad epoche più ideine, anche se gli autori di esse contesta­rono soltanto con gli scritti, anche se le loro contesta­zioni furono sempre rivolte, soprattutto, all’uomo inte­riore. Perciò ai moderni contestatori possono apparire vane ed inconsistenti. Eppure, senza una profonda ri­forma interiore, tutte le altre riforme politiche e so­ciali, richieste dai cittadini, sollecitate dai partiti, vo­tate dai governi, sono lettera morta, destinate a restare, come spesso avviene, «sulla carta», buone soltanto per accattivarsi il consenso degli ingenui. Osserva anche K. Jaspers (La bomba atomica e il destino dell’umanità – Milano, I960) che «la trasformazione può avvenire sol­tanto se si trasforma il modo di vita di ogni singolo uomo. Ogni minima azione, ogni parola, ogni atteggia­mento rapportato a milioni e miliardi di uomini è es­senziale.»
In ogni modo tali contestazioni, senza fracasso, so­no «rimaste», e rimangono vive anche nell’avvicendarsi dei secoli, come quelle che aprirono la via allo spirito critico, all’indipendenza dell’indagine, al libero pensiero. Questi nostri contestatori sono uomini tutti dissimili fra loro per indole, appartenenti ad epoche diversissime, agli ambienti sociali più disparati, alle culture più estranee le une alle altre. Ma a chi legga non sarà dif­ficile scorgere il filo che collega le loro proteste nel con­tenuto essenziale.
Vane proteste, perchè coloro dal cui animo esse scaturirono, furono, in un certo senso, tutti dei vinti, e per alcuni la sconfitta non fu certamente scevra di pro­fonda amarezza? Non lo crediamo. La vittoria non è necessaria; l’importante è «persistere». A nessuno è mai garantito il successo: ma non per questo l’opera di chi lotta per l’indipendenza è vana: finché la combattività contro il male non manca, al male non può arridere la vittoria definitiva. Nella «realtà», anche la rivolta della coscienza ha il suo posto.

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Bosco Salvatore, “L’avventura esistenziale nella vita e nell’universo”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, Luglio 1981, 181 p.

Prefazione
Nella lettura di testi di filosofia о testi di politica, di sociologia o di letteratura, non sempre — oggi — riscon­triamo una scrittura accessibile al profano o al « non ad­detto ai lavori » Anzi diremmo che il linguaggio dei let­terati e filosofi, di sociologi e politici si viene facendo sem­pre più ermetico, esoterico e indecifrabile e conseguente­mente la cultura — se di cultura si tratta — diventa patri­monio di pochi inziati. Lo stesso non si può dire di questo libro, il quale per il suo carattere originale, ma soprat­tutto per il linguaggio semplice con cui è scritto, può tra­smettere messaggi di pensiero recepibili da larghi strati di lettori. Grande evento quindi, per la cultura italiana, la comparsa di questo volume, il quale può essere letto e interpretato senza grande sforzo di decodificazione e da esso si può trarre molto nutrimento intellettuale per i semi di saggezza contenuti.
Infatti l’Autore non si può definire un intellettuale di professione, ma un contadino-educatore (è coltivatore del­la sua terra e maestro elementare in pensione), la cui « saggezza » antica, direi, traspare da queste pagine ricche di pensiero filosofico Di una filosofia semplice ricavata dal­l’osservazione dei fatti umani e di una scienza acquisita dalla esperienza vissuta. Con questo non si vuole dire che la filosofia e la scienza dell’Autore siano fondate su con­siderazioni empiriche e soggettive. Esse sono invece il risultato di uno studio attivo e costante, suffragato da una continua osservazione e riflessione personale sulla realtà. La tesi о le tesi esposte dall’Autore potrebbero es­sere accettate о meno, discusse e criticate, ma ciò che ri­mane è il rigore speculativo con cui esse vengono svolte e il supporto scientifico su cui sono fondate. Filosofia e scienza in questa nuova « Weltenshaung » sembrano ri­chiamarsi e fondersi per spiegare la grande avventura dell’uomo in questo immenso universo. L’Autore da certi principi, ampiamente dimostrati, desume tutto il suo si­stema, nel quale comprende infine delle proposte di vita associata, di una nuova società nella quale gli uomini do­vrebbero vivere meno infelici. Utopie, ingenuità? Lascia­mo al lettore il giudicare, ma è certo che ancora tutti i progetti socio-economici proposti con tanto « realismo » dagli studiosi, non hanno migliorato il mondo! Le scoper­te scientifiche non sono sempre fruito di studio e dedu­zioni razionali, spesso anzi l’intuizione raggiunge mete che la ragione non può. L’Autore sembra dare preponde­rante valore alla Ragione, una delle tre energie-nature che si ritroverebbero nell’uomo e nelle cose, tuttavia egli am­mette che è nel massimo equilibrio di esse che consiste la perfezione. Quindi anche le « irrazionalità » come le emozioni, i sentimenti, la creatività, ecc., hanno la loro ineliminabile importanza nella vicenda umana. E per fu­gare probabili pregiudizi che si potrebbero formare at­traverso la lettura di questo libro, vorremmo accennare brevemente al problema della libertà. Può essere libero l’uomo in questo campo dove le tre energie-nature condi­zionano la sua volontà?
Un determinismo assoluto parrebbe sopraffare le azio­ni umane. Tuttavia il Bosco dà molto valore all’educazio­ne che non si esaurisce nella scuola-istituzione. Egli crede nel progresso morale e civile dell’uomo, tant’è che dalle sue promesse teoriche fa derivare una società futura dove i rapporti umani possano essere liberi ed autonomi. Egli riconosce che gran parte dei mali delle società moderne è da ricercarsi nella struttura capitalista e liberista dei sistemi socio-economici, ma non spinge l’analisi alle so­cietà dei paesi cosiddetti del « socialismo reale », dove il capitalismo di stato riproduce le stesse ineguaglianze e gli stessi squilibri delle società occidentali. Ma al di là dei sistemi socio-economici-politici, non sarebbe opportuno analizzare anche e soprattutto la struttura caratteriale dell’uomo?
Tuttavia questa lacuna viene colmala quando l’Autore, trattando del rapporto tra medicina e anarchia, tra corpo umano e corpo sociale, vi nota le stesse funzioni: il male originale può venire estirpato con l’atto chirurgico e con la profilassi dell’ambiente, nel corpo umano, mentre con la rivoluzione anarchica, cioè radicale e totale, può rea­lizzarsi il riscatto dell’uomo, nel corpo sociale; un riscatto integrale dalle varie forme di potere palese ed occulto, per la riappropriazione della libertà e della vita. L’Autore, infine, non sappiamo se per abitudine di vita о per con­vinzione, ma certamente per l’ima e per l’altra, predilige il ritorno alla terra. Come gli antichi fisiocratici ricono­sce che la terra è la vera ricchezza e ad essa bisogna tor­nare se l’umanità vorrà sopravvivere. E non gli si può dare torto se pensiamo che le crisi energetiche oggi mi­nacciano e impongono nel tempo nuovi sistemi di vita. Certamente non vita alienata dai falsi miti dell’efficien­tismo о del consumismo e delle « tecnologie avanzate », ma vita reale in cui — per dirla con Bosco — le tre ener­gie: istinto — simpatia — ragione interagiscono per un mi­gliore equilibrio nel mondo.
Palermo, 28-11-1980
Pietro Riggio

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Di Lembo Luigi, “Guerra di classe e lotta umana. L’anarchismo in Italia dal biennio rosso alla guerra di Spagna 1919-1939”

Edito da BFS, Pisa, 2001, 231 p.

Questo libro ricostruisce, per la prima volta, in maniera dettagliata la storia dell’anarchismo ita­liano nel periodo tra le due guerre mondiali (1919-1939). La ricerca mette in rilievo l’impor­ tante ruolo di Errico Malatesta e del movimento anarchico nel Biennio rosso e nella prima oppo­sizione armata al fascismo che finora gli storici mai avevano considerato nella giusta dimensio­ne. La documentazione raccolta si basa essenzialmente su fonti d’archivio inedite che deline­ano una continuità di presenza politica del mo­vimento libertario anche nel periodo della clan­destinità, dopo le leggi eccezionali del 1926, fino al decisivo contributo alla formazione della pri­ma colonna di volontari italiani antifascisti in Spagna nell’agosto 1936.

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Antonioli Maurizio, “Azione diretta e organizzazione operaia. Sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell’Ottocento e il fascismo”

Edito da Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, Luglio 1990, 312 p.

Agli inizi del Novecento prese corpo in Italia, come in altri paesi europei, quel complesso fenomeno noto, secondo l’accezione francese, come sindacalismo rivoluzionario. «Identità di sentimen­ti, di aspirazioni e di interessi», come scrisse James Guillaume, frutto della «forza stessa delle cose» più che di una elaborazione teorica, il sindacalismo rivoluzionario rappresentò il punto di incontro di generazioni di militanti provenienti da diversi orizzonti ideologici e operanti in contesti sociali e politici talvolta molto differenti tra loro, ma concordi nel porre al centro della loro strategia rivoluzionaria l’azione diretta e l’autonomia del sindacato da «ogni scuola politica». Gli anarchici furono una componente essenziale del sindacalismo rivoluzionario che, pur nelle sue varianti specifiche, assunse, nel primo decennio del secolo, i connotati di una «tendenza internazionale», diffondendosi soprat­tutto in Europa e nelle Americhe. In questo volume vengono analizzati alcuni temi e figure del sindacalismo rivoluzionario, particolarmente in rapporto all’anar­chismo, partendo dalla situazione italiana ma con costante atten­zione al quadro internazionale.

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Antonioli Maurizio, “Figli dell’officina. Anarchismo, sindacalismo e movimento operaio tra Ottocento e Novecento”

Edito da BFS, Pisa, 2012, 190 p.

Ci sono figure che, per diversi motivi, ritornano e le cui voci piace risentire, quasi a riparare i torti di una memoria sempre più labile nei confronti di tante storie, individuali e collettive, che hanno fornito trama e ordito al sofferto cammino di un’emancipazione desiderata e accarezzata, ma spesso irraggiungibile o smarrita lungo i tornanti della storia. E il desiderio di dare un senso alle vite degli altri, il tentativo di mettere a fuoco i volti sbiaditi di tanti che ci hanno preceduto, le cui voci hanno saputo raggrumare speranze, proiettare sulla scena delle attese sociali visioni del futuro illuminate dai raggi di un’utopia che è parsa a volte a portata di mano, ma altrettante volte è svanita. Luigi Fabbri, Ernesto Verzi, Carlo Molaschi, Giuseppe Di Vittorio, cosi come le vicende dell’Unione sindacale italiana e dell’Unione anarchica italiana, i temi del progresso nel movimento operaio, dell’organizzazione nel movimento anarchico, del sindacalismo rivoluzionario. Una raccolta di saggi sul filo conduttore di quella communauté d’imagination che, nel corso dei decenni, si è costituita attorno a luoghi simbolici comuni.

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