Edito da Ministero per i beni e le attività culturali.Direzione generale per gli archivi, Roma, 2004, XIII+542 (Primo Volume); 572 p. (Secondo Volume)
Presentazione
L’inventario curato da Patrizia Ferrara relativo ai copioni teatrali sottoposti a censura costituisce un importante strumento di studio e di ricerca per un aspetto rilevante della politica culturale durante il fascismo. La serie infatti viene a costituirsi a seguito della L. 6 giugno 1931, n. 599, con la quale il servizio di censura teatrale, fino ad allora affidato alle prefetture, viene centralizzato in un Ufficio per la revisione teatrale presso il Ministero dell’interno, successivamente trasferito al Sottosegretariato per la stampa e propaganda, poi Ministero della cultura popolare. La curatrice ha opportunamente fatto un excursus, breve ma puntuale, sulla censura teatrale negli Stati preunitari e poi nel Regno d’Italia fino alla legge suindicata. E’ infatti rilevante constatare come la censura fascista vada a innestarsi su un sistema preesistente, modificandone a poco a poco i presupposti su cui si era basato nel corso dei decenni.
Nel regno di Sardegna le preoccupazioni del governo riguardavano la religione, la morale, la politica e la riservatezza delle persone. Con l’unificazione, il contrasto tra intellettuali e politici verte sulla legittimità del controllo preventivo in uno Stato liberale. Prevale il punto di vista dei politici che assegnano al Ministero dell’interno la competenza, decentrandola tuttavia nel 1864 ai prefetti, per rendere efficace e rapido il servizio con possibilità di ricorso al Ministero contro il divieto prefettizio. Ben presto fu però consentito ai delegati locali di pubblica sicurezza di non far rappresentare spettacoli autorizzati, ove si valutasse inopportuna una rappresentazione che potesse determinare «commozioni e disordini» .
L’ambiguità creata da queste disposizioni di natura preventiva dura fino al 1888 quando Crispi, rinforzando il potere dei prefetti – che potevano negare l’autorizzazione, «per ragioni di morale, o di ordine pubblico, con ordinanza motivata), e mantenendo la possibilità di ricorso contro il loro divieto, lasciava ai delegati di pubblica sicurezza il potere di interrompere uno spettacolo, solo se, dopo l’inizio, avesse dato luogo a disordini. L’opposizione in Parlamento coglie il rischio di far passare per via legislativa un pericolo per lo morale che può facilmente estendersi alla manifestazione libera del pensiero.
Altro aspetto rilevante è che in tutto il dibattito ottocentesco il teatro viene considerato nell’ambito dello svago e, pertanto, si contesta che lo Stato debba procedere a finanziamenti nel settore. Censura e tutela dell’ordine pubblico da un lato e contenimento della spesa pubblica, anche con l’imposizione di tasse sullo spettacolo, dall’altro, sono dunque i temi di fondo su cui si stabilisce il rapporto teatro-amministrazione pubblica nel sec. XIX e fino alla prima guerra mondiale. Durante il fascismo, anche sulla base degli sviluppi della propaganda che durante la prima guerra mondiale era stata estesa pure al teatro, emerge, accanto all’accentuazione della prevenzione per ragioni politiche, la considerazione del teatro come mezzo di diffusione dei valori e miti del fascismo nel più ampio quadro dell’organizzazione del tempo libero.
Alla difformità delle valutazione dei prefetti, si rispose nel 1931 con la centralizzazione del servizio che includeva ora anche il settore radiofonico. Tutte le opere, destinate al teatro e alla radio, dovevano essere approvate dal Ministero del! ‘interno, che poteva avvalersi del parere di una commissione presieduta dal capo della polizia.
Permane la disposizione crispina circa la valutazione preventiva (sotto il riflesso della morale e dell’ordine pubblico), ma le rappresentazioni teatrali e radiofoniche entrano nel progetto di propaganda di massa che utilizza la cultura a fini di (educazione nazionale) e di organizzazione del consenso. Le competenze, distribuite tra il Ministero dell’interno (censura e ordine pubblico) il Ministero delle corporazioni (compagnie teatrali e diritti di autore) e il Ministero dell’educazione nazionale (premi e sovvenzioni agli autori), vengono riunite nel 1935, in un Ispettorato del teatro nell’ambito del Sottosegretariato per la stampa e propaganda, poi Ministero della cultura popolare. Anche la censura passa all’Ispettorato retto da Nicola De Pirro, nominato da Galeazzo Ciano, che intende la valutazione preventiva come mezzo di controllo politico sugli autori, sulle compagnie e sugli spettacoli.
All’Ufficio censura del Ministero dell’interno era stato preposto il prefetto Leopoldo Zurlo che condivideva i metodi di controllo politico messi in atto dal capo della polizia, Arturo Bocchini, di cui godeva piena e assoluta fiducia. Con il passaggio del servizio al Sottosegretariato per la stampa e propaganda, la censura teatrale resta al prefetto Zurlo che, posto alle dirette dipendenze di Ciano, mantiene l’ampia discrezionalità che gli era stata riconosciuta dal capo della polizia.
Interventi di censura diretti furono operati invece da Mussolini e, talora, da Ciano. Zurlo, colto, intelligente e ironico, assunse il delicato compito aderendo alla sua funzione di mediatore tra potere politico e mondo teatrale, ritenendo anche di poter influire, in qualche misura, “sul rinnovamento etico-culturale della produzione teatrale italiano”, rispettando tuttavia i grandi autori, per i quali non esitò talora a manifestare il proprio dissenso a Mussolini e al ministro.
Di formazione culturale e politica liberale, era consapevole delle mediazioni continue e degli inevitabili compromessi con il regime che l ‘incarico comportava. Teneva però moltissimo a quell’incarico e seppe tenerlo, rispondendo agli obiettivi del capo del governo e riuscendo, nello stesso tempo, a mantenere un rapporto sostanzialmente buono con gli autori e le compagnie. L’autore doveva inviare all’ufficio retto da Zurlo il testo, per il nulla osta, in duplice copia, una delle quali restava in archivio.
Zurlo tenne l’incarico fino al 1944 e, in 13 anni di attività, lesse e commentò personalmente circa 18.000 copioni, mantenendo corrispondenza personale e diretta con molti autori, coadiuvato soltanto da un bravissimo archivista.
Dal 1931 al gennaio 1943 si contano 17.330 testi, cui vanno aggiunti quelli del 1943 e del 1944. Di fatto, a seguito di un allagamento nei depositi del Ministero turismo e spettacolo che ha distrutto un cospicuo numero di fascicoli, risultano versati all’Archivio centrale dello Stato 12.955 copioni, inclusi i 217 inviati fino al luglio 1944, quando fu soppresso il Ministero della cultura popolare. La competenza, con il ritorno del governo legittimo a Roma, passò alla Presidenza del consiglio dei ministri, che acquisì l ‘archivio del periodo fascista; nel 1959, le funzioni sul teatro passarono al Ministero turismo e spettacolo, le cui competenze furono riunite a quelle del Ministero per i beni e le attività culturali con d.leg. 20 ottobre 1998, n. 368.
La legge sulla «Revisione dei film e dei lavori teatrali” del 12 aprile 1962, 11. 161, abolisce lo censura teatrale generalizzata, riproponendola solo nell’ottica dell’offesa al buon costume, sotto la dizione di “revisione teatrale”). Nel 1998, infine, viene soppressa ogni forma di censura teatrale. Il testo normativo, importante sotto l’aspetto del riconoscimento delle libertà di pensiero e di espressione, non ha previsto, purtroppo, una procedura per la sistematica conservazione dei testi teatrali rappresentati.
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