Barbusse Henri, “L’inferno”

Edito da: Sonzogno
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: 1918
Pagine: 256
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Un uomo sulla trentina, stanco di tutto, si rintana in un albergo di provincia in cerca dell’oblio. Qui accederà a una dimensione segreta e intima dell’esistenza spiando attraverso un buco nel muro le vite altrui, tra miserie, incanti, rivelazioni, depravazioni. “L’Inferno”, opera pubblicata nel 1908, nella quale coesistono una scrittura e una sensibilità simboliste e decadenti con temi naturalisti, segna una svolta nella produzione letteraria di Barbusse. Pur conservando tracce di cupo pessimismo, l’autore tende al suo superamento attraverso uno slancio, se non ancora proiettato verso una salvifica dimensione socializzante, avviato quantomeno a una forma di rigenerante umanitarismo. Attraverso uno sguardo vigile e dilatato, Barbusse penetra nelle singole infelicità, strappando brandelli di verità a quel formicolare di esistenze appartate e oscure. Al suo apparire, il romanzo fece scalpore per la scabrosità dei temi trattati.

Nota dell’Archivio
– Traduzione de “L’Enfer”, 1908

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Philopat Marco, “Lumi di Punk”

Edito da: Agenzia X
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: 2006
Pagine: 240
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
La nascita del punk in Italia si è intrecciata allo straordinario movimento della sinistra extraparlamentare. Da questo incontro, quasi inesistente altrove, esplode un’originale esperienza che utilizza gli spazi occupati dalla precedente generazione per organizzare concerti autogestiti e strutturare un’innovativa e radicale proposta politico-esistenziale. Lungo tutta la penisola decine e decine di gruppi punk formano un circuito perfettamente funzionante che crea le basi di un preciso stile di vita anticonformista e riottoso, destinato a influenzare in profondità anche il presente.
In Lumi di punk prendono parola trenta protagonisti di quella scena. La prima tappa di una ricognizione sui sussulti che hanno dato origine all’ultimo periodo in cui l’Italia non è stata provincia.

Nota dell’Archivio: ///

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Ultima fermata. Dall’attacco contro l’Alta velocità in Val Susa alla difesa degli spazi occupati a Torino

Edito da: Edizioni NN
Luogo di pubblicazione: ///
Anno: Giugno 1998
Pagine: 72
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Sono passati pochi mesi dagli avvenimenti che hanno turbato una delle più grandi città italiane, Torino. L’arresto di tre anarchici accusati di essere coinvolti in una lunga serie di sabotaggi contro i cantieri dell’Alta velocità in Val Susa e la successiva morte di uno degli arrestati, trovato impiccato nella sua cella in carcere, avevano provocato la rabbiosa reazione dei loro amici e compagni, le cui azioni hanno alimentato per giorni le prime pagine dei grandi mezzi di informazione, guardate con una certa preoccupazione dalle forze istituzionali e sociali. Passata la tempesta, ora tutto sembra essere rientrato nella normalità. Le pagine che seguono, pur riportando gli episodi avvenuti e mettendo a disposizione di tutti una parte consistente dei documenti circolati in quel periodo, non pretendono — né intendono — di rappresentare quanto è accaduto a Torino nei mesi di marzo e aprile appena trascorsi. Lungi dall’accontentarsi di riprodurre una mera documentazione, gli autori di queste pagine hanno voluto esprimere un preciso punto di vista, presentando la propria interpretazione dei fatti. Questo che pubblichiamo è quindi un dossier a tesi, fazioso come tutti i dossier ma in questo caso, se è possibile, in maniera ancora più marcata. A grandi linee, la tesi che qui viene sostenuta è che l’obiettivo principale della magistratura da un paio di anni a questa parte è stato di circoscrivere la rivolta diffusa — che incuteva timore per le sue notevoli potenzialità di sviluppo — in atto contro il progetto dell’Alta velocità in Val Susa rinchiudendola poi all’interno della fantomatica organizzazione “Lupi grigi”. Inaspettatamente, gli arresti scattati a Torino hanno segnato per i padroni dell’Alta velocità un altro successo, giacché sono riusciti nell’impresa di spostare ulteriormente l’attenzione generale, non solo geograficamente ma anche sostanzialmente: dalla Val Susa a Torino, dalla questione dell’Alta velocità a quella degli spazi occupati. E la magistratura non avrebbe potuto condurre a termine con tanta disinvoltura questa doppia mistificazione, se non si fosse avvalsa dell’aiuto dei mass media e di quello — naturalmente involontario — di alcuni suoi nemici. Dalla lettura di questo dossier trapela anche l’occasione perduta, quella di ripercorrere al contrario il tragitto imposto dai guardiani dell’Ordine, aprendo però nuove strade percorribili da tutti gli sfruttati. Va da sé che molti non condivideranno simili conclusioni, e ci sarà anche chi vedrà in questo testo una offesa alla propria identità. Fin troppo facile poi è prevedere, fra le accuse che pioveranno sulla testa degli autori, quella di «voler salire in cattedra per dare lezione agli altri». Accusa per altro infondata se si considera che gli autori di questo dossier hanno preso parte direttamente agli avvenimenti torinesi, e sono quindi anch’essi responsabili degli esiti finali. In effetti le analisi qui sviluppate non ci sembrano minimamente dettate da malanimo personale o da presunzione, quanto dalla convinzione che in prospettiva la rivolta non ha bisogno dell’ammirazione cieca e scevra da ogni critica, ma semmai di una continua ricerca degli errori commessi e dei limiti che emergono nel proprio agire.

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Roselvagge, “Auro Story. Centro Sociale-Autogestito-Sgomberato-riOccupato”

Edito da: Sicilia Punto L
Luogo di pubblicazione: Ragusa
Anno: Febbraio 2005
Pagine: 218
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Il 25 novembre 1991 viene occupata l’ex tipografia del quo­tidiano «La Sicilia», giornale-polpettone del cavalier Ciancio, affarista in mass-mediologia, che si avvaleva di un piuttosto fa­vorevole contratto di locazione col proprietario dell’intero im­mobile, cioè col comune. I numerosi ed ampi locali fanno parte di un edificio posto a pochi passi dal duomo, dal municipio e da piazza università. Il palazzo era, un tempo, appartenuto tut­to alla chiesa ed ancora oggi un lato di esso è occupato dalle so­relle “pie discepole” , negozianti dedite allo spaccio di arredi ed oggetti pseudo-sacri. Girato l’angolo, su un’altra ala dell’edifi­cio mercanteggiano, a loro volta, i frati paolini. Oltre a queste organizzazioni, residui bellici-medievali, i restanti due lati e mezzo della struttura sono occupati dai più vari e disparati ed improbabili uffici pubblici (riordino urbanistico, sede simil-turistica provinciale, ufficio per le pari opportunità…). Il Centro Sociale si sviluppa su due piani ed il magnifico cortile interno (circa 1.000 mq). Il piano terreno è composto da 3 grandi sale (di cui una “arredata” da una enorme rotativa), 4- 5 stanze e 4-5 ripostigli + bagni ed un lungo e suggestivo corri­doio (probabile sala mensa del convento che fu). Il primo pia­no, più ridotto, comprende 6 stanze di varie dimensioni. Avvertenza: nel ripercorrere i dieci anni di questa occupa­zione, di questa personale/collettiva esperienza politica/umana non mi sono posto alcun problema di (auto)censura o di altri (auto)limitanti scrupoli.

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Barocchio Occupato, El Paso Occupato, “Opuscolo di sviluppo del manifesto contro la legalizzazione degli spazi occupati”

Edito da: ///
Luogo di pubblicazione: Torino
Anno: 1994
Pagine: 16
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
II nostro sogno é vivere liberi, distruggere ogni forma di potere costituito ed ogni gerarchia che ne sono la negazione. Per noi la libertà non può essere separata dal piacere. Siamo però disposti a sforzi titanici per realizzare libertà e piacere. Consapevoli che non esiste libertà nel sacrificio nell’immolazione. In questo senso l’esperienza pie] completa che oggi ci prendiamo il lusso. di vivere é quella dell’autogestione cui fa spazio l’azione diretta, intesa come esperienza aperta, collettiva, estendibile, che se ne infischia dei recinti tracciati dallo Stato tra legalità e illegalità. L’occupazione degli spazi abbandonati riunisce queste prerogative ed apre la strada, nel modo più corretto, all’autogestione. Lo sviluppo dell’autogestione della nostra vita non é praticabile senza sovvertire l’esistente.

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CSOA Forte Prenestino, “Fortopìa. Storie d’amore e d’autogestione”

Edito da: Fortpressa
Luogo di pubblicazione: Roma
Anno: 2016
Pagine: 407
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Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

E ad un certo punto ti accorgi che sono passati trent’anni. Il primo maggio 2016 il Forte compie 30 anni di occupazione. Assurdo pensarci. Guardarsi indietro vuol dire guardare la vita del Forte e le nostre vite. Chi quel giorno ruppe la catena mai poteva pensare che questa storia sarebbe durata abbastanza da parlarne in un libro trent’anni dopo. Eppure è così, e oggi pubblicare e diffondere questo libro è più importante che mai, visto l’attacco che stanno subendo gli spazi sociali di Roma. Un attacco concentrico e continuato di fronte al quale è necessario raccontare a voce alta la nostra storia che è lunghissima e fatta di ricerca, culture, scoperte, iniziative, laboratori, resistenza. Una storia fatta di esperienze che hanno reso questa città viva, vitale, sostenibile. Attorno alla voglia di raccontare i trent’anni del Forte Prenestino si sono attivate le energie. Abbiamo chiamato a raccolta persone che si erano allontanate dalla vita quotidiana del Forte ma che non hanno esitato a rimettersi in gioco. In otto mesi di lavoro fitto fitto abbiamo gioito dello splendore del ritrovarsi e del progettare insieme. Siamo partiti alla ricerca dei contatti e abbiamo cercato risposte: un turbine emozionale si è attivato dentro e fuori di noi e la giostra meravigliosa della collettività in creazione ha cominciato a girare. Questo libro per noi è importante per il processo con cui si è generato, una scrittura collettiva che racconta una storia collettiva: abbiamo chiesto a tutt* quell* che hanno attraversato il Forte Prenestino di mandarci un contributo, di raccontarci una storia, e in pochi mesi siamo stati sommersi di memorie e racconti. Quello che avete tra le mani è la raccolta del punto di vista de* centomila pazz*. Tante prospettive che illuminano un unico grande cuore pulsante e un senso che, dai sotterranei alla torretta, sorridente ci viene a cercare. Tra i racconti troverete anche dei testi a cura della redazione: sono schede nelle quali iniziamo a delineare alcuni dei temi fondanti del Forte: la solidarietà internazionale e i movimenti antiliberisti, l’antisessismo e l’autodeterminazione, l’antiproibizionismo, la comunicazione e le battaglie contro l’istituzione repressiva del carcere,solo per citarne alcuni. Moltissimo c’è ancora da raccontare e approfondire per ognuno di questi temi e vi rimandiamo per questo a un secondo volume o a futuri fascicoli di una non-enciclopedia del Forte tutta in fieri. “Fortopía – Storie d’amore e autogestione” non è un punto di arrivo ma il gradino da cui ripartire per continuare a costruire insieme mille mondi possibili perché la Fortopía non è un’utopia, qualcosa che si allontana sempre più. La Fortopía è un’eterotopia, un luogo che una volta passato il ponte e superato il cancello è reale, presente e pulsante, con le sue regole che sono vere qui e non altrove. Un luogo dove il possibile si espande nel potenziale senza allontanarsi dal reale, divenendo concreto e praticabile. Questo libro è autoprodotto perché nulla di quello che abbiamo fatto viene fuori da altro che non siano i nostri desideri e i nostri sforzi, e dal sostegno e dalla complicità delle migliaia di persone che ci attraversano. E a loro è dedicato: a chi ci sta ancora e a chi non c’è più. A tutti gli spazi occupati e autogestiti.

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Cox18, Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, “Storia di un’autogestione”

Edito da: Colibrì
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: 2010
Pagine: 87
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Una testimonianza breve e sintetica dal 1976 a metà degli anni ’90, dei collettivi che hanno gestito via Conchetta 18 a Milano. I collettivi di questo luogo, conosciuto come Cox 18, rifiutano le ideologie dominanti o che vogliono dominare, rifiutano la delega, scelgono la forma assembleare per prendere decisioni ed esistere, cercano relazioni personali non strumentali, perseguono l’autogestione generalizzata, creano aggregazioni e reti di solidarietà. In queste pagine si racconta come da 34 anni sia possibile l’esistenza di questo luogo, di come, nel relazionarsi ad esso, le articolazioni dell’amministrazione cittadina, (consigli di zona, assessorati etc) abbiano dovuto ascoltare e prendere atto di tutte le istanze che venivano dal basso, annullare, sospendere o rinviare l’applicazione delle procedure securitarie ed emergenziali provenienti dall’alto.

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Quaderni Libertari, “Sulle orme di TAZ. Zone autonome permanenti, centri sociali ed altro”

Edito da: Edizioni Sempre Avanti
Luogo di pubblicazione: Livorno
Anno: Aprile 1994
Pagine: 34
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Negli Stati Uniti si è da tempo acceso un vivace dibattito sulle implicazioni teorico pratiche e di termini quali TAZ (zone autonome temporanee) e PAZ (zone autonome permanenti). I due acronimi, coniati da Hakim Bey, sono ancora poco conosciuti in Italia anche perchè parte dei suoi scritti sono stati pubblicati solo da un anno. In questo opuscolo viene presentata una breve storia del nuovo movimento anarchico americano, un inedito di Hakim Bey ed altro materiale utile a chi voglia interessarsi ai rapporti tra zone autonome, centri sociali e movimento anarchico.

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Consorzio Aaster, Centro sociale Cox 18, Centro sociale Leoncavallo, Primo Moroni, “Centri sociali. Geografie del desiderio. Dati, statistiche, progetti, mappe, divenire”

Edito da: Shake Edizioni
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: Giugno 1996
Pagine: LXIV + 192
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Due centri sociali milanesi, il Leoncavallo e Cox18, con la collaborazione del Consorzio Aaster, si leggono attraverso una inchiesta autogestita, la prima in Italia, diffusa tra migliaia di “frequentatori” durante un’iniziativa antiproibizionista. I risultati smentiscono radicalmente l’etichetta di “marginalità”, apposta per anni dalla “stampa ufficiale” su questi importantissimi luoghi di produzione culturale e politica e forniscono significativi dati secondo le variabili, solo per citarne alcune, del lavoro, dell’istruzione, della composizione di classe e della condizione abitativa; in sintesi ne escono soggetti che nelle loro dinamiche fondamentali rispecchiano le modificazioni produttive caratteristiche della cosiddetta nuova “modernità.”
Al contempo, attraverso la lettura politica dell’inchiesta, viene dato un significativo contributo al dibattito intorno alle prospettive future di queste esperienze. Arricchiscono il volume un ampio inserto fotografico sulla storia dei due centri e una serie di mappe sugli usi della città e i movimenti a Milano negli ultimi trent’anni.

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Pedrini Belgrado, “Noi fummo ribelli, noi fummo predoni. Schegge autobiografiche di uomini contro”

Edito da: Edizioni Anarchiche Baffardello
Luogo di pubblicazione: Carrara
Anno: 2001
Pagine: 128
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Quanto scrivo è qualcosa che viene dal cuore. Di getto. Giusto qualche rigo per riportare le impressioni suscita temi dalla lettura di questo testo. Non parlerò una volta tanto né di metodi né di strategie di lotta, parlerò delle emozioni che motivano e rendono necessari tali discorsi. Leggere le parole di Belgrado Pedrini, le vicende che hanno segnato la sua vita e quella di tanti altri compagni, rappresenta per me un viaggio a ritroso attraverso la crescita del mio essere anarchico, un viaggio in cui ritrovo visi, posti, fatti e racconti che tanto hanno contribuito affinché un certo modo di affrontare la vita mettesse radici e si sviluppasse nelle più profonde delle mie convinzioni.
Sarebbe inutilmente scontato scivolare nell’esaltazione e nel mito di un “eroico passato” che non si ha avuto la possibilità di vivere in prima persona, ribaltando così il silenzio che, con la complicità anche di una parte della storiografia “ufficiale” del movimento anarchico, avvolge certe vicende e certi personaggi. Facile sarebbe, ma non toccherebbe ciò che per me vi è di più significativo nel riferirsi oggi a momenti del passato, ovvero l’inscindibile traccia di continuità tra la necessità ed il desiderio di rivolta ai giorni nostri e quelli di un tempo. Ecco, tra l’altro, individuato uno dei motivi, se non il princi­pale, del silenzio a cui sono stati condannati tanti di quei compa­gni che troviamo protagonisti in questo testo.
In un tempo di riformismi e politiche alla “meno peggio”, da cui purtroppo neppure gli ambienti anarchici sono indenni, pos­sono risultare inopportune vicende e parole che colpiscono come una sferzata di coraggio ed impulso a gettarsi senza risparmio nella guerra all’autorità.
Certo, rispetto ad allora le condizioni sono mutate e l’aria che si respira adesso non è più la stessa. Come milioni e milioni di sfruttati sono cascati nella trappola dorata della società consumi­sta, così non si può tacere che le false comodità e l’ipocrisia tollerante del regime tecnocratico qualche breccia l’hanno fatta pure negli animi e nella risolutezza d’azione di noi tutti. Capita così che dinnanzi a quanto si potrebbe “perdere” il pas­so si faccia incerto o si cerchi in tutti i modi di distogliere lo sguardo dall’inevitabilità dello scontro con i nemici. Ma i nemi­ci sono sempre gli stessi, per quante maschere possano cambiare e per quanto possano trasformarsi le relazioni sociali e le forme di sfruttamento… il privilegio economico e politico, la diseguaglianza e la sopraffazione fatte istituzione. E tutti coloro che tale abominio sociale alimentano, proteggono e riproduco­no.
Così le azioni raccontate in queste pagine irrompono inevita­bilmente nel presente scavando nel profondo dei sentimenti più sinceri e coraggiosi che ogni amante della libertà tiene dentro. E ti portano fianco a fianco ai tanti compagni che attraverso questi scritti ritrovi o magari incontri per la prima volta. In una medesi­ma dimensione di implacabile lotta dove non sono il tempo o l’età ciò che importa.
Ti trovi al loro fianco… nascosto dietro una rupe a tendere rimboscata al passaggio dei nazi-fascisti… sull’uscio dei forzieri della proprietà saccheggiati a mano armata… tra le pallottole dei conflitti a fuoco con poliziotti e carabinieri… nei corridoi e nelle buie celle, delle galere franchiste come di quelle della “demo­crazia nata dalla resistenza”, ad inseguire l’ennesimo tentativo d’evasione e gettarsi senza riserve in ogni esplosione di rivolta. Attenti però, non parlo di visioni o fascino da romanzi d’av­ventura. Parlo di quella stessa forza, di quello stesso determinatissimo desiderio che brilla nello sguardo del ribelle che oggi punta il suo obiettivo, che oggi colpisce approfondendo la complicità dei composti chimici, che oggi grida, scrive e ren­de concreta nei fatti la sua ostilità verso un mondo sempre più assuefatto alle nocività del Potere. Le parole di Belgrado Pedrini sono qui a dirci che bisogna andare avanti, provarle tutte, con tutta la consapevolezza e la determinazione di cui ciascuno di noi è capace. In questo libro per me non ci sono eroi da commemorare o tempi e situazioni da rimpiangere. C’è invece quel fuoco capace di scaldare le vene e fare tendere nervi e muscoli a chiunque vo­glia fare della propria vita l’occasione buona per scardinare que­st’esistente-galera ed affrontare il mondo come un essere libero, non con il cuore e le membra infiacchite dalla rassegnazione. È questa la traccia che unisce la lotta degli anarchici di gene­ razione in generazione, e sono convinto che anche scritti come quelli qui pubblicati possano contribuire al suo riemergere negli animi, nelle tensioni e nei gesti concreti di chi oggi si ribella, e di quanti ancora lo faranno un domani.
Guido Mantelli

Nota dell’Archivio: ///

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