AA.VV., “Altri saraceni”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Marzo 1993, 135 p.

Altri Saraceni è un’antologia di racconti brevi; Igna­zio Agosta, Salvatore Cassarino, Pippo Gurrieri e Be­nito La Mantia vi s’incontrano con le loro storie e stili, convergendo, come torrenti autonomi, nel fiume di una letteratura impegnata e schierata. In un certo senso raccolgono l’appello lanciato ol­tre un ventennio fa dal «piccolo profeta del Giabel et­neo», Santo Cali, ai tanti Saraceni di Sicilia sparsi per il mondo, perché le parole dell’artista siano pietre pe­santi scagliate contro gli spacchi della realtà omolo­gante. Altri Saraceni, e altri e altri ancora, devono torna­ re al più presto a calpestare l’erba dei nostri prati moribondi, la sabbia delle nostre spiagge incatramate, le nebbie dei nostri sogni artificiali, per travolgere, con tutta la gamma delle loro armi, le armate di tutti i boss, signori e monsignori, ladri e mercanti di libertà, di ve­rità e di giustizia.

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Massari Angelo, “Non è facile neanche fare un buon caffè”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Maggio 1992, 104 p.

In questa storia che mi metto a scrivere c’è di tutto о quasi di tutto. Non ho motivazioni di qualsiasi gene­ re per scrivere un libro, e per giunta tutto mio, che ri­guarda me e il mio rapporto con gli altri, о forse è questo il vero motivo; che la cosa possa interessare о essere utile non lo so, e neanche mi pongo il problema; ma lo scrivo lo stesso. Quello che scriverò sarà più istintivo che ragiona­to a mente fredda, i fatti che racconterò sono avvenuti realmente e i personaggi sono veri; il racconto sarà un insieme di fatti e personaggi che cercherò di mettere insieme come in un gioco; non so se riuscirò nel mio intento ma ci proverò.

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Caldara Enrico, “Un colore che nessuno conosce”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Luglio 1995, 56 p.

«Un colore che nessuno conosce» rivela l’a­nima di un artista integro che, dietro la semplicità di linguaggio, nasconde amarezza e sentimento. Vita e morte, amore e tempo, ricordi e significati sono le note essenziali di immagini colte a volo e trasfigurate nel­ la liricità di un linguaggio sommesso, an­che se ricco di intensa interiorità. Caldara ha racchiuso in questa raccolta di versi tut­ta la sua verità, in cui si raccordano imma­gini intense, esprimendosi con assoluto ri­gore ed immergendosi in una serie di con­fessioni-riflessioni esistenziali. (Estratto dalla presentazione di Emanuele Schembari)

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Sommariva Marco, “Vorompatra”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Maggio 2003, 174 p.

Dopo Il cristallo di quarzo, romanzo d’esordio, Marco Sommariva torna a stupirci con Vorompatra, avvincente come un giallo, interessante come un trattato che, in forma di romanzo, sviscera la precarietà odierna quando si fa vita. L’autore ci fa ritrovare il gusto di soffermarci sulle cose semplici, con quella dosata e sapientemente somministrata componente di mistero che alimenta, pagina dopo pagina, la narrazione, fino alle ultime battute dell’ultimo capitolo.

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Sommariva Marco, “Il cristallo di quarzo”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Febbraio 2004, 63 p., Seconda Edizione

Un giornalista di provincia, l’Appennino Ligure, un commerciante di preziosi pakistano, i cristalli di quarzo nascosti sotto la roccia, un nastro avidamente conteso che forse contiene la chiave per svelare i segreti che circondano la strage aerea sui cieli di Ustica del giugno 1980. Fughe, omicidi, angosce, tra pullman, treni e aerei, in un’atmo­sfera squallida e surreale, sono i fotogrammi veloci di questo ro­manzo.

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Nota dell’Archivio
-Prima Edizione: 1999

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Collettivo donne sparse (poche e o tante) in libertà vigilata, “Appunti e voci varie di donne sul carcere”

Edito da Centro Internazionale Diffusione Stampa, Roma, 1978, 16 p.

Estratto dall’inizio dell’opuscolo
Tutta la nostra esistenza è preordinata secondo norme che ci espropriano.
La vita quotidiana della donna è ritmata da gabbie successive: le mura della casa, i suoi ruoli (figlia, moglie, madre), il lavoro. Apparentemente sono gabbie aperte, in realtà la donna vi è rigettata continuamente dentro come unico luogo dove il cosiddetto femminile può esprimersi.
Riusciamo a liberarci… che già ci troviamo incarcerate in un altro ruolo. Questa spirale oppressiva e annientatrice di noi come persone si rafforza e prende terreno proprio mentre la società ci “accetta” e si rispecchia.
C’è anche una nostra necessità di essere accettate; questa, se da una parte costruisce tutte le deformazioni e le storture dei nostri bisogni, dall’altra ci costringe ad adattarci a comportamenti imposti. In noi stesse c’è il divieto, l’abitudine, l’adattamento.
LE NUOVE, le sue mura di cinta danno un senso di terrore. Sembrano ‘‘l’estraneità”’’ dello stato, espressione fisica e visibile del luogo separato, l’espiazione della pena. Sembrano fuori del nostro percorso, già così rigidamente articolato; un iceberg di vite sopravvissute. Ma corrispondono per negativo ad una rottura violenta nel sociale o ad una ‘devianza’ dalla norma.
Per poter dire qualcosa sul carcere come istituzione bisogna capire le fasi di incarceramento nel nostro quotidiano, come donne. Ricostruirle a ritroso, scardinare le norme per collocarci interamente e consapevolmente nel sociale. Le gabbie: del ruolo sono elemento di ricomposizione: la donna che sta al suo posto è funzionale a conservare e a riprodurre gli stessi rapporti sociali. L’istituzione carcere, intervenendo su un rifiuto, su una ribellione sociale e politica, riconferma l’ordinamento esistente ed è perciò interna alla nostra pratica di vita.

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Zarcone Pier Francesco, “L’anarchismo portoghese. Dalle origini ai garofani dell’illusione, e oltre”

Edito da I Quaderni di Alternativa Libertaria, Fano, 2003, 72 p.

La grande esplosione di rivolta sociale iniziata nel secolo XIX si è notoriamente propagata a livello di massa nella penisola iberica. Al riguardo il pensiero corre subito alla grande epopea anarchica e comunista libertaria della Spagna, ma pochi sanno che il fenomeno non lasciò affatto indenne l’altro (e poco focalizzato) paese della penisola: il Portogallo, rimasto fino al 1975 la più arretrata regione dell’Europa occidentale. Eppure in questo paese l’anarchismo, almeno fino agli anni ’40, aveva costituito la corrente ideologica predomi­nante nella classe operaia.

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Radames, “Il fronte unico rivoluzionario”

Edito da Cooperativa Tipografica Proletaria, Bologna, 1920, 22 p.

Estratto dalla biografia di Luigi Fabbri, redatta da Santi Fedele
L’opuscolo redatto da Luigi Fabbri “parte dalla considerazione della situazione rivoluzionaria creata dalla guerra per individuare il compito che l’ora drammatica e decisiva (l’alternativa, egli scrive è tra “la liberazione e l’abisso”, tra una rivoluzione proletaria vittoriosa o una repressione quanto mai sanguinosa) assegna agli anarchici: “incuneare nella grande insurrezione impulsiva delle folle una azione insurrezionale di minoranze coscienti che dia un’anima e un indirizzo alle masse”. Affinché ciò sia possibile, argomenta Fabbri, non vale di certo la ricerca delle alleanze con l’accomodante parlamentarismo dei socialisti riformisti né con il verboso rivoluzionarismo di quanti parlano a ogni piè sospinto di rivoluzione rimandandone sempre al domani la messa in atto. Né può risultare idonea alla preparazione di un’insurrezione popolare vittoriosa – sostiene Fabbri – la strategia del fronte unico dall’alto, organismo burocraticamente centralizzato e come tale incompatibile con la formazione di una forza armata proletaria che se formalmente irreggimentata dall’alto verrebbe inevitabilmente scoperta, mentre ben maggiori possibilità di successo avrebbe la tattica, indicata dagli anarchici, del fronte unico rivoluzionario di base costituito da locali gruppi rivoluzionari d’azione “fra individui anche di partiti diversi, ma che personalmente si conoscono, sono amici, ed hanno stima reciproca l’uno dell’altro”. Questi gruppi, “comitati spontanei e volontari esercitanti sull’ambiente esterno una funzione iniziatrice, esecutiva e direttiva”, si sarebbero assunti l’incarico di quella “preparazione pratica e tecnica indispensabile” dell’insurrezione, sulla quale viene mantenuta dal relatore un ovvio riserbo, peraltro esteso alle modalità di collegamento e di raccordo, a livello regionale e nazionale, tra i locali gruppi rivoluzionari.

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Nota dell’Archivio
-Radames era uno dei vari pseudonimi di Luigi Fabbri

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Abiti-Lavoro. Quaderni di scrittura operaia

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Durata: 1981-1993
Luogo: Arcore
Periodicità: Semestrale fino al 1984, annuale dal 1985
Pagine: varia

Nota dell’Archivio
-Presente soltanto il n. 16

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Arnao Giancarlo, “Proibito capire. Proibizionismo e politiche di controllo sociale”

Edito da Edizioni Gruppo Abele, Torino, Febbraio 1990, 143 p.

In tanto parlare, scrivere, dibattere, deliberare, legiferare attorno alle “droghe” cui assistiamo oggi in Italia e altrove, di questa ma­croscopica contraddizione non sembra esservi traccia nei mass me­ dia e negli ambienti politici. Negli ultimi anni, si è tuttavia andato sviluppando in diversi paesi un filone di ricerca orientata alla valu­tazione delle conseguenze concrete di quasi ottanta anni di proibi­zionismo, attraverso l’analisi critica del fenomeno nei suoi aspetti medici, politici, sociali, economici, culturali. Il libro di Arnao fa il punto su questa ricerca, ricorrendo il più possibile alla concretezza dei dati. Si sforza inoltre di spiegare le di­namiche, i significati, le implicazioni politiche del controllo sociale delle “droghe” illegali. Il titolo Proibito capire (parafrasato da Thomas Szasz) parte ap­punto dall’ipotesi che la filosofia della proibizione della “droga”, avendo radici e significati assai profondi nell’immaginario collettivo, si salda con l’inibizione ad affrontare il problema secondo coordina­te razionali.

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