Colectivo Situaciones, “Piqueteros. La rivolta argentina contro il neoliberismo”

Edito da Derive Approdi, Roma, 2003, 226 p.

Il 19 e il 20 dicembre 2001, di fronte a una devastante crisi economica e alla proclamazione dello stato d’assedio, (‘Argentina veniva travolta da un movimento insurrezionale composto da migliaia di persone. Da allora, quel movimento è stato un attore permanente della scena politica argentina, rappresentando il controcanto dei problemi istituzionali e finanziari che hanno paralizzato il paese.
I protagonisti di questo libro sono i piqueteros, i «disoccupati organizzati» dei quartieri più poveri della sterminata periferia di Buenos Aires. Uomini e donne qualunque provenienti da quella classe media che, grazie alle ricette neoliberali e agli imperativi del Fondo monetario internazionale, si è trovata sull’orlo di un baratro sociale ed economico.
I piqueteros sono gli inventori di straordinarie forme di protesta e di organizzazione dal basso che, insieme alle «assemblee popolari» nei principali quartieri della capitale, hanno saputo riorganizzare servizi sociali di base e forme di scambio economico alternative. Un modello di resistenza a cui guardare con attenzione nel momento in cui la «crisi» sembra farsi più vicina anche alla nostra società.

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Nota dell’Archivio
-Traduzione del libro “19 y 20. Apuntes para el nuevo protagonismo social”, Ediciones De mano en mano, Aprile 2002

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Capuano Carlo, “Ecclesia”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, Aprile 1990, 79 p.

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Capuano Carlo, “La condizione”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, Maggio 1989, 88 p.

Introduzione
Se la libertà è uno dei beni fondamentali che accompa­gnano l’avventura dell’uomo, resta tuttavia un valore volutamente relegato fra le macchinose definizioni che si costruiscono intorno alle utopie. Forma romantica о letteraria, costretta a sfumarsi nel sogno. All’esistenza della libertà non si chiede neppure più una verifica, tanto essa ci appartiene attraverso un pubblico riconoscimento che ci protegge, nella convinzione già di possederla. Forse, deve considerarsi libero soltanto chi viene dichiarato libero, come se si trattasse di un decreto, e potrebbe avvenire proprio nel momento in cui è privato della libertà. Un’azione sfuggente, difficile da precisare, una rinuncia che può apparire addirittura volontaria о parte di un inconcepibile baratto. Ma chi è già predisposto alle mercificazioni non soffrirà molto dell’inganno. Ogni deci­sione deve rifarsi al medesimo progetto, deve sorprenderci in uno stato d’incoscienza о di estrema debolezza che ci impedisca di affrontare con lucidità ogni scelta, ogni giudizio, che ci privi delle facoltà che rendono un uomo veramente libero. Nasce la condizione, la disposizione, una forma di identità gerarchica che assegnerà gli spazi dell’agire, consi­derando grave inosservanza ogni tentativo per mutarla. Questo gioco alle regole si chiama stabilità. A chi toccherà procedere per il tracciato più profondo, difficilmente sfuggirà a un percorso accidentato e buio per tutta l’esistenza. E non gli sarà concesso neppure di dolersene. Il cammino è impostato solo per un docile avanzare, per il rispetto di una manovrata imposizione degli equivoci, un’armoniosa confusione. Così composto, ne soffrirà anche il linguaggio e le sue interpretazioni. Si definirà educazione quella che è solo istruzione, si edificherà una morale per un modello da dettare alla coscienza, si riconoscerà come merito quello che è solo utile, si indicherà la disciplina come regola fondamentale per qualsiasi affermazione, si pretenderà obbedienza per evitare valutazioni critiche, s’invocherà continuamente l’ordine identificato in un disordine di comodo.
Se qualcuno tenterà d’interrompere il cammino per mostrare con angoscia e orrore le lacerazioni provocate dalla libertà perduta, verrà subito travolto. О scherno о pena per punire chi ha guastato l’armonia. L’oleografica rappresentazione dell’ira, di “libertà о morte”, di “tremate tiranni”, di “vivere liberi о morire”, è un servizievole momento prestato a chi coltiva timori, l’avvertita deformante colorazione del sovversivismo. Per­ ché l’istruzione impartita continua a far intendere per libertà tutto ciò che viene concesso e non quello che viene tolto.
L’operazione ha radici remote e motivazioni profonde. Se sviluppi ci sono stati, sono da ricercarsi solo nelle diverse forme di esecuzione. Per il resto, nulla è cambiato. Anche il motivo illuminante, capace di chiarire questa inestinguibile espropriazione, è rimasto invariato. Quando un uomo priva un altro uomo di un qualsiasi attributo umano, agisce spinto dall’impulso dell’interesse. E’ evidente quanto prezioso debba essere il valore della libertà e perché su questa da sempre ci si accanisca. I mezzi per impadronirsene restano ancora gli stessi: la violenza о l’inganno. Un alternarsi che si adatta alle situazioni e che può mutare l’intensità, mai lo scopo.
La consacrazione della libertà, come appare nel primo articolo della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti – è un’altra concessione alle apparenti indulgenze del progetto. Una generosità volutamente vistosa, permessa affinché rimanga voce e mai diventi opera. Sia attività individuale о accordo più numeroso, sia fazione politica о religione, il diritto a una ragione di manifestarsi si trasforma in affermata verità qualora riesca a ostentare una numerosa approvazione, figure plagiate e sottomesse, definite seguaci, disposte tutte a prostrarsi in nome di un bene comune. Le rinunce si trasformeranno in consenso. L’individuo sarà despota e fingerà paternalismo, le attività produttive impiegheranno particolari e indolori forme di pressione, le fazioni si imporranno con la propaganda, le religioni raccoglieranno apprezzamenti con la predicazione, divulgando ipotesi di una beatitudine impossibile e spingendosi con la voce ovunque ci siano altri uomini da assoggettare.
Ma se il privilegio, se qualsiasi vantaggio offerto in cambio, è un bene ancora più grande, perché continuano a esistere uomini che gridano – viva la libertà – ? Per quanto pochi possano essere, ci si sforza ancora di convincerli che reclamano qualcosa già in loro possesso. E’ un grido che disturba e che bisogna far tacere, e non ci si attarda molto nella preferenza dei provvedimenti. Come le organizzazioni sociali costituite, con involontario senso della decorazione, cercano di tacitare gli irrequieti scriven­do nei loro tribunali – la legge è uguale per tutti Già sanno che ci sono persone premiate a vita con l’innocenza, mai infastidite dalla noia di un processo, anche quando la colpa meriterebbe la massima pena.
Gli Stati autoritari negano palesemente la libertà in nome e in difesa di beni che considerano superiori. In questo, non hanno mai cercato di mentire. Le democrazie preferiscono fingere sostegno e disponibilità verso chi dichiara di esigerla come un diritto. In realtà, continuando a procedere con costrizioni apparentemente inavvertite, dimostrano di considerarla già perduta. Così profonda si è falla la ferita che la deformazione si manifesta anche con la gestualità. Quelle mani giunte che vengono interpretate come volontà di preghiera, non sono che un palese gesto di accettata sudditanza e sottomissione, l’inchino preteso dal potente, la nobiltà tristemente falsata dalla storia, la reverenza al ministro, il servitore, come confermata fede d’inferiorità.
Ma ci si è spinti oltre. Per respingere sollecitazioni più aderenti alla natura dell’uomo, si è affermata la legittimità d’impossessarsi di qualsiasi persona fin dal suo apparire. Il battesimo, cioè l’immersione, è una prova sufficiente per annullare ogni giudizio, la base di ogni libertà. E’ la prima violazione contro la vita, compiuta ai danni non di chi è privo di forza, ma di chi non possiede ancora la coscienza per capire. Cavaliere a difesa di un diritto così inaccettabilmente violato, Erasmo levò la sua voce sdegnata, rivendicò almeno una più tarda approvazione о addirittura il rifiuto del rito compiuto.
Fu subito azzittito. La perdita di un solo fedele inginocchiato per provata devozione fu considerato un rischio troppo grande per rinunciare alla validità del rito. Unica concessione, trasformare in festa quello che dovrebbe essere considerato un giorno doloroso.
Ma, nonostante i complicati artifizi e le calcolate ostruzioni, la libertà continua a esistere. Almeno, finché vivrà qualcuno che la reclama. Anche se chi vorrà riappropriarsi di questo bene assoluto dovrà pagare dura­mente la sua scelta, dovrà versare quello che viene definito “il prezzo della libertà”, che potrà raggiungere valori talmente elevati da coincidere spesso con la vita.
Carlo Capuano

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Mantovani Vincenzo, “Mazurka Blu. La strage del Diana”

Edito da Rusconi, Milano, 1979, 685 p.

Questo impegnativo documentario storico-narrativo ricostruisce, incorniciata tra antefatti ed epiloghi, la « strage del Diana », uno degli avvenimenti più drammatici della storia italiana del Novecento. Al Teatro Diana di Milano scoppiò, il 23 marzo 1921, giorno in cui era in programma l’operetta di Franz Lehar, “Mazurka blu”, una bomba: l’atto terroristico fu uno degli eventi più clamorosi di una strategia della violenza che vide trionfare in Italia il Fascismo. L’opera di Mantovani, basata su testimonianze, documenti d’ar­chivio, memoriali, autobiografie, non è soltanto il racconto det­tagliato di un evento pubblico, è anche un affresco della vita di Milano e dell’Italia Anni Venti. Mazurka blu, radioscopia dell’attività dinamitarda di un gruppo di anarchici milanesi, risulta, in fine, essere una magistrale rievocazione della storia del movimento anarchico nell’Italia del Primo Dopoguerra.

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Mariani Giuseppe, “Memorie di un ex-terrorista. Dall’attentato al Diana all’ergastolo di Santo Stefano”

Edito da L’ultima spiaggia, Ventotene, 2009, 221 p.

Presentazione
Giuseppe Mariani ha scritto la storia di due terzi della sua vita: quella della sua gioventù di ribelle e quella di un quarto di secolo passato nel­ l’ergastolo. Storia vera; episodicamente vera; veri anche gli stati d’animo per i quali è, a volta a volta, passato e che han diretto i suoi atti. Merita d’esser letta, soprattutto da coloro che non han vissuto in una epoca che si può dire cruciale, che di certi avvenimenti han sentito parlare sol­ tanto, e troppo spesso da cronisti interessati a falsare la verità. Mariani vi fa conoscere come e perché si arrivò al deprecato attentato del Diana. Dirò di più: come si volle che vi si arrivasse. Io, già, lo ebbi a dire altre volte e cominciai col dirlo al giudice istruttore: quell’atten­tato va annoverato tra i delitti di Stato. È mio fermo convincimento che fu la polizia a condurre per mano gli esacerbati terroristi fino davanti le griglie del Teatro Diana. Certamente la cosa non fu fatta in modo apparente. Quelli che spin­sero e guidarono gli attentatori non si misero in mostra, vestiti da que­sturini; può anche darsi che mai ebbero la coscienza di partecipare ad un infame tranello. La polizia agì attraverso l’oscuro od ignobile tramite dei confidenti e degli informatori. Ma fu essa a dare appuntamento al Diana sia al Mariani, che all’Aguggini e al Boldrini; però naturalmente non si presentò all’appuntamento. A lei bastava far credere che vi fosse pre­sente. Il piano di compromettere oltre che Malatesta tutto il Movimento Anarchico allora rigoglioso, in un atto che richiamasse su di lui la ri­provazione perfino delle masse lavoratrici, non fu certamente concepito a S. Fedele, ma al Ministero degli interni, alla direzione generale della polizia. San Fedele, però, ne curò l’esecuzione ed ebbe complice la ma­gistratura che procrastinava volontariamente il prendere una decisione sulla sorte riservata a Malatesta e compagni, contribuendo così ad ecci­tare gli animi di grandi settori dell’opinione pubblica, che reclamava giustizia o almeno che la giustizia facesse il suo corso senza mostrare una troppo evidente indolenza a mala volontà. Se il Malatesta fosse stato liberato due ore prima che l’attentato av­venisse, la strage non sarebbe stata consumata, ma è vero anche che se la Confederazione generale del Lavoro e la Direzione del Partito Socia­ lista non avessero posto il loro veto allo sciopero generale al quale già si accingevano le Leghe operaie della Lombardia, forse da Roma sarebbero partiti gli ordini perché il tribunale trovasse tempo per emanare un or­ dine di scarcerazione provvisoria. Le memorie di Giuseppe Mariani contribuiscono a dare la certezza che da troppe parti si mirava a trascinare gli Anarchici a un atto di di­sperazione che avrebbe sollevato l’opinione pubblica contro di loro, e quello che si voleva che avvenisse, avvenne purtroppo. Mariani passa poi a parlare della sua vita di ergastolano e dice come riuscì a superarne il micidiale attanagliamento, e come riuscì a non per­dere il controllo di sé stesso ed a non offrirsi candidato al manicomio cri­ minale. Interessanti poi sono le pagine che si riferiscono alla rivolta di Santo Stefano della quale fu animatore Pollastro. Nel libro rivivono persone oggi scomparse oppure dimenticate; rivive tutto un mondo di speranze e di rivolte che ebbero la loro logica e le cui cause determinanti, non nelle dottrine di un movimento vanno ricercate, ma nella violenza brutale e nelle sopraffazioni di un regime che chiama giustizia l’ingiustizia, e ordine sociale l’arbitrio autoritario. Si può essere d’accordo o non col Mariani nel proclamare l’ineffica­cia del terrorismo, ma la Storia ci insegna che vi sono momenti in cui la violenza diventa una necessità sociale. Solo è necessario che per quanto possibile, essa non colpisca alla cieca e che non faccia pagare agli umili, le colpe dei grandi.
Gigi Damiani, 1953

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Nota dell’Archivio
-Prima edizione: Torino, 1953, Arti Grafiche F.lli Garin

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Giomblanco Francesco, “Alto tradimento. La repressione dei moti del non si parte. Dal carcere al confino di Ustica”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, 2010, 212 p.

Questo libro analizza l’aspetto meno conosciuto e indagato dei moti contro la guerra detti del «non si parte», scoppiati in Sici­lia tra il dicembre del 1944 e il gennaio del 1945: il loro epilo­go all’insegna della repressione. L’irruzione dell’esercito nelle città e nei paesi «ribelli», le retate di cittadini svolte in maniera indiscriminata; gli interrogatori, spesso violenti; la deportazione a Ustica e la segregazione in varie carceri dell’Isola; i processi; infine l’amnistia del 22 giu­gno 1946, vengono qui ricostruiti con dovizia di particolari, mediante l’ausilio di documenti rimasti inediti, e, nella ricca appendice, dalla viva voce di alcuni protagonisti intervistati dall’autore.

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Dal Canto Alete, “Le imposture del prete”

Edito da La Fiaccola, Ragusa, 1988, 228 p.

Come definire un libro come questo? Comunque lo si voglia giudicare, rimane una lettura fuori dell’ordinario, certissimammente dissacratoria ma anche piacevolissima, divertente e istruttiva. Si pensi, tanto per are ancora qualche esempio e invogliare alla lettura, che: “A Coutchivenne (Francia) si ha la pretesa di conservare il respiro che Giuseppe mandò mentre spaccava la legna!” Possibile? Possibilissimo perchè “un angelo lo raccolse pienamente, lo pose in una bottiglia che donò alla chiesa di Coutchivenne.” E si pensi che, tra le tante ipotesi e supposizioni sul chi e come abbia ingravidato la Vergine Maria, non ti sbuca fuori un Sant’Ambrogio che taglia corto, affermando: “Maria per aurem impraegnata est!”, che Dal Canto traduce: “Aver un angelo ingravidato Maria per un orecchio!” E noi atei e miscredenti che non crediamo ai miracoli!
È un viaggio esilarantissimo attraverso le assurdità teologiche della liturgia e dei rituali – i più aberranti e stomachevoli imposti, anche con le torture più efferate e le minacce dell’inferno, da dottori e padri, e papi e santi. Un viaggio che ci fa penetrare nei labirinti oscuri dei vari “misteri” e nella giungla dei “miracoli.”

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Franzinelli Mimmo, “Ateismo, laicismo, anticlericalismo. Guida bibliografica ragionata al libero pensiero ed alla concezione materialistica della storia. 3 Volumi”

Edito da La Fiaccola, Ragusa
-Primo Volume “Chiesa, Stato e società in Italia”: Agosto 1990, 183 p.
-Secondo Volume “Da Cristo a Wojtyla. Contributi per una storia eterodossa della Chiesa”: Ottobre 1992, 222 p.
-Terzo Volume “L’intolleranza religiosa e le sue vittime”: Giugno 1994, 201 p.

Verso la prima metà degli anni ’90, lo storico Mimmo Franzinelli ha raccolto una gran quantità di testi inerenti all’ateismo, laicismo e anticlericalismo. L’onnipresenza della Chiesa cattolica nella società italiano (specie sotto il papato di Wojtyla) e l’assottigliamento sempre più marcato del libero pensiero, ha spinto lo storico lombardo nel fare questo lavoro che definiremo “certosino”, cercando una serie di titoli storici e attuali (in quella fase storica) e con lo scopo, quindi, di riportare alla luce e ribadire il pensiero anticlericale e ateo.
La pubblicazione che ne è seguita è stata una corposa bibliografia, divisa per aree tematiche e in tre volumi, e con le recensioni dei titoli dello stesso curatore.

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Nota dell’Archivio
-Il progetto di Franzinelli doveva essere suddiviso nei seguenti volumi:
–Vol. 4: L’anticlericalismo nella letteratura
–Vol. 5: L’ateismo nella società contemporanea
–Vol. 6: Il libero pensiero e la critica anticlericale
–Vol. 7: L’anticlericalismo nell’arte, nella satira e nel folklore
–Vol. 8: Il pensiero dei classici
–Vol. 9: L’anticlericalismo nella stampa periodica
–Vol. 10: Miscellanea
Purtroppo il progetto si arenò e, quindi, vennero pubblicati soltanto 3 volumi.

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Clemente Duval. Memorie autobiografiche

Edito da Biblioteca de “L’Adunata dei Refrattari”, Newark, 1930, 1044 p.

Presentazione
Chi ricorda ormai più il vecchio combattente che la Corte d’Assise della Senna condannava a morte vent’anni fa per un atto di rivolta e di giustizia, e che la clemenza repubblicana seppelliva poi,t per sempre, nei penitenziari della torrida Gujana, dove, se egli è vivo, deve trovarsi tuttora?
Eppure Clemente Duval fu, dopo Gallo, tra i primi che dei proprii atti di ribellione contro l’ordine, e sopratutto con­tro la morale borghese, assumesse dinnanzi al magistrato la piena ed intera responsabilità, e dinnanzi al magistrato riven­dicasse il diritto d’espropriare il borghese, che vive di rapina, ogniqualvolta il bisogno urge о la lotta contro l’iniquo ordine sociale lo esige.
Ma i vecchi si fanno radi e taciturni, ed i giovani, venuti di poi, hanno trovato sul loro cammino troppo lavoro per ricordarsi dei pionieri.
Ora, un compagno che ha passato alla Gujana parecchi lustri ed a cui avevamo tempo addietro chiesto del vecchio Duval, rispondendoci che non sapeva quel che di lui fosse avvenuto, ci mandava per la Cronaca Sovversiva, col resoconto del processo svoltosi a Parigi nel Gennaio 1887, un pacco mano­scritto di appunti e note che il Duval stesso in questi ultimi anni aveva tracciato ed ordinato coll’intento di darle un giorno alla luce, ultimo contributo della sua energia alla propaganda delle idee libertarie che vent’anni di relegazione e di catena non avevano in lui nè soffocate nè attenuate.
Abbiamo letto il manoscritto che è un documento umano del più vivo interesse e del più alto valore: ed in uno dei pros­simi numeri della Cronaca Sovversiva ne inizieremo la pubbli­cazione sicuri di far cosa grata ai nostri lettori che nelle pagi­ne del vecchio deportato di Cajenna troveranno più d’un insegnamento, troveranno più di un’ora di profonda ed intensa commozione.
Luigi Galleani
(Cronaca Sovversiva, 15 Giugno 1907)

Prefazione
A raccogliere in volume le “Memorie Autobiografiche di Clemente Duval” che la Cronaca Sovversiva accolse, prima, tradotte con affettuosa cura dal suo vecchio compilatore, mi induce un antico acuto desiderio dei compagni e mio.
E’ prima, nei cenni biografici abbozzati vigorosamente da mano fraterna, la tragedia violenta nei suoi schianti, nell’im­peto con cui le più temerarie affermazioni dell’anarchismo si urtano alle tradizioni morali più gelosamente custodite; nelle “Memorie” è, lungo l’erta di un calvario che non finisce mai, che ha in vetta la ghigliottina e ad ogni tappa l’aceto ed il fiele di tutti i tormenti, di tutti gli schermi, la passione quotidiana di un iconoclasta il quale ha intraveduta la libertà, ne ha colto i sorrisi e le promesse, e ne sogna, ne vuole benedizioni e glorie per sè, per tutti, sfidando impavido sdegni, adii, vendette cieche e collere inesauste di tutto un mondo; esempio di audacia e di tenacia, di coraggio e di fede.
Densa d’insegnamenti ogni pagina, degna di essere meglio custodita che dalla dubbia fortuna del foglio di battaglia, incerto tra un lampo d’entusiasmo e uno d’esecrazione; echi di vigilie che attendono sempre la loro giornata, e che non voglio­no andare perduti.
Non appaiono in buon punto. La guerra ha tutto ipote­cato e sconvolto, e dai fragili mezzi di cui posso disporre, di cui mi hanno così male armato i pochi compagni che ha disper­so pei vari continenti la bufera, non può uscire la splendida edizione che io aveva sognato, e mi ero dentro di me ripro­messo, e darà più fortunato editore.
Ma è di una promessa l’assoluzione fedele, ed ai compagni è pegno che il comune proposito di veder in volume raccolte le “Memorie Autobiografiche di Clemente Duval”, è entrato nella via dell’attesa realizzazione, e che a questo primo volume gli altri seguiranno fino ad opera compiuta se non mi manchino le forze e mi sorregga la cooperazione dei buoni.
L’editore
(Andrea Salsedo — 1917)

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Note dell’Archivio
-La prima traduzione in italiano, come si evince dalla Presentazione, è di Luigi Galleani.
-Come spiegato dagli editori, la pubblicazione di queste “Memorie” avvenne dopo la morte di Salsedo: “Colto nel vortice sanguinoso della patriottica reazione che, regnando Woodrow Wilson, prima durante e dopo l’intervento degli Stati Uniti fece strame e strage d’ogni più coscienziosa opposizione alla grande guerra, Andrea Salsedo non potè realizzare il suo sogno: il 3 maggio 1920 precipitava dal quattordicesimo piano di un edificio di Park Row a New York, dove la polizia politica dell’V. S. Attorney General Mitchell Palmer, l’aveva per circa due mesi tenuto segretamente prigioniero. La fine tragica e immatura tolse ch’egli conducesse a termine l’edizione delle Memorie di cui aveva pubblicato un primo volume nel 1917. Riprendendo ora, in condizioni meno sfavorevoli, l’opera ch’egli aveva coraggiosamente iniziata, ritorniamo sui suoi passi, includendo nel presente unico volume delle Memorie Autobiografiche di Clemente Duval anche la prima parte pubblicata da Salsedo nel 1917, andata, nel volgere degli avvenimenti e tra tante vicende e persecuzioni, dispersa o, comun­que, esaurita.”
-Marianne Enckell, nel 1980, recuperò parte del manoscritto di Duval presso il CIRA di Losanna e lo pubblicò nel 1991 col titolo “Moi Clément Duval : bagnard et anarchiste” per le Éditions de l’Atelier.
-In italiano le Memorie di Duval sono state pubblicate dalle Editziones de su arkiviu-bibrioteka T. Serra (diviso in 4 tomi) nel 1995 e da Kaos (rinominato come “Il fuggiasco della Guyana”) nel 2012

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Minasso Gianni, “Sapevo il Credo e ora l’ho scordato. 469 motivi per diventare infedeli”

Edito da La Fiaccola, Ragusa,

La consultazione di 57 periodici e 123 libri genera questi 469 para­grafi in cui viene smontata, pezzo per pezzo, una considerevole parte degli assiomi cattolici. L’esame prospettico dalle tre dimensioni del pensiero laico, anticlericale e religioso, mette poi impietosamente a nudo le macchinose mistificazioni cristiane. Dall’Inquisizione alla Candelora, dalla teologia negativa all’Opus Dei, dall’acqua benedetta alla retinite della Madonna, passando attraverso una Sacra Scrittura manipo­lata e contraddittoria, un Cristo inventato, papi assassini e santi cerebrolesi, si delinea un quadro per nulla edificante dei ceppi vaticani. Qual­che spruzzata di ironia e la comici­tà involontaria di certi episodi servono appena a mitigare il fosco panora­ma dell’asservimento provocato dal­la religione.

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