Giulietti Fabrizio, “Il movimento anarchico italiano nella lotta contro il fascismo. 1927-1945”

Edito da Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2003, 449 p.

Introduzione
In ogni tempo, in ogni luogo le persecuzioni scandiscono la storia degli anarchici, avversari irriducibili di qualsiasi po­tere costituito, temuti e odiati dai potenti di tutto il mondo che vedono in loro una minaccia e una sfida permanente al­l’ordine, nei regimi autoritari come in quelli democratici.
L’idea totalitaria di libertà che li anima, non consente al mo­vimento anarchico altra collocazione se non l’opposizione, senza possibili mediazioni; un’opposizione il più delle volte isolata anche dalle altre forze politiche che pure lottano con­tro i sistemi, perché la traduzione politica dell’estremismo ide­ologico anarchico, prima o poi, entra inevitabilmente in con­trasto con qualsiasi progetto di costruzione e di realizzazione di una società all’interno di strutture statali codificate. Persi­no l’utopia comunista che più si avvicina al sogno degli anar­chici, viene respinta con orrore quando si fa realtà, sì dota di strumenti di lotta politica per attuarla, si concretizza in for­me, modalità e organizzazioni per il governo delle masse. I limiti, seppure affascinanti, di questa fede ideale estrema imprimono alla storia dell’anarchismo dei caratteri peculia­ri, in primo luogo la dimensione internazionale che è elemento fondamentale dell’identità anarchica. Sparsi per l’intero pia­neta, lontani mille miglia, estranei per lingue, culture e storie, gli anarchici si riconoscono appartenenti a ima stessa fa­miglia di “diversi”, di perseguitati, di “sognatori”, di donne e uomini “contro”, vincolati gli imi agli altri da infrangibili legami di solidarietà che sono essenziali per la loro stessa so­pravvivenza. L’esilio, un evento ricorrente nella loro vicen­da, accentua il distacco dalla nazione di appartenenza che, a ondate, nel corso degli anni lì respinge da sé, li espelle o li costringe all’espatrio, ultima strada rimasta per salvare la vita.
Una volta inserite in questa cornice/ le specifiche storie na­zionali costituiscono però altrettanti tasselli per comporre il mosaico dell’anarchismo che vive in Europa/ negli anni tra le due guerre mondiali/ la sua ultima stagione come movimen­to di massa. A dare il colpo di grazia a questo soggetto politi­co/ il cui radicamento nella società è stato già profondamente indebolito dall’avvento dei partiti di integrazione marxisti e poi da quelli leninisti, contribuiscono i totalitarismi fascista e comunista, diventati via via egemoni nel vecchio continente.
Nel caso specifico dell’Italia dove fin dal 1922 il fascismo è al potere, la liquidazione degli anarchici rientra nel quadro com­plessivo dell’ascesa violenta e del consolidamento della dit­tatura che, per un ventennio, soffoca ogni forma di libertà e di organizzazione. La storia degli anarchici italiani in questo periodo si intreccia, dunque, con quella dell’antifascismo, una storia di persecuzioni, ma anche una storia di lotte in patria e all’estero, condotte da coloro che tenacemente rifiutano di piegarsi al regime. Il lavoro di scavo e di analisi sul mondo variegato degli antifascisti ha prodotto ormai una solida storiografia che presentava però una lacuna, proprio per quan­to riguarda l’opposizione anarchica, studiata soprattutto nel primo periodo – dal biennio rosso al delitto Matteotti – ma di cui, per la fase successiva, si avevano solo poche tracce, qual­che riferimento a episodi e a militanti, molti nomi inseriti negli elenchi dei perseguitati, dei condannati dal Tribunale Spe­ciale, dei confinati, dei carcerati, dei condannati a morte, de­gli esiliati. Il lavoro di Fabrizio Giulietti viene a colmare que­sto vuoto con una puntuale, minuziosa ricerca sulle fonti do­cumentarie, in primo luogo l’archivio centrale dello Stato, miniera in esauribile di informazioni. Con altrettanta sistematicità Giulietti ha proceduto allo spoglio della stam­pa, degli opuscoli e della pubblicistica anarchica, copiosamente prodotta, malgrado le difficoltà di pubblica­zione e di diffusione, garantite pur saltuariamente proprio da quella rete internazionale cui si è fatto cenno.
Partendo dalla fase successiva al delitto Matteotti, quan­do ormai si è conclusa e perduta l’ultima battaglia delle opposizioni antifasciste in Italia, Giulietti percorre tutte le tap­pe dell’esistenza clandestina del movimento anarchico in Ita­lia: dai tentativi sempre frustrati di riorganizzare le file di­sperse dei militanti che la polizia tiene sotto ferrea sorveglian­za, ai progetti dei falliti attentati per uccidere il tiranno, pa­gati da Schirru e Sbardellotto con la condanna a morte; dalla ricerca del riscatto nella guerra in Spagna che per gli anarchi­ci, come per tutti gli antifascisti italiani, inquadrati nelle bri­gate internazionali, rappresenta l’occasione di combattere il fascismo in campo aperto, armi alla mano, fino alla resisten­za armata nel 1943-45, culmine di un ventennio di opposizio­ne. Da questa approfondita ricerca emerge un quadro com­plessivo del movimento anarchico nel ventennio fascista as­sai più variegato e, direi tormentato, rispetto all’immagine stereotipata che la stessa propaganda anarchica ha traman­dato. E non si tratta solo del nuovo spessore che acquistano i militanti più noti sotto la benevola, simpatetica lente di in­grandimento di Giulietti – è il caso dei paragrafi dedicati a Schirru e Sbardellotto. La diversità dei contesti sociali e geo­grafici in cui operano gli anarchici, costituisce un elemento importante di differenziazione che traccia una sorta di spartiacque tra l’anarchismo radicato nelle zone operaie dove è rimasta ancora viva la tradizione anarchica, e quello disper­so, isolato in realtà ostili o del tutto impermeabili al messag­gio degli anarchici. Qui si sviluppa un’opposizione, definita “esistenziale” da Giulietti che puntigliosamente raccoglie anche le informazioni sull’insulto urlato, la scritta offensiva sul muro, la minaccia e il grido di protesta; tutta quella serie di piccoli atti individuali che, nella loro continuità e ripeti­tività, denunciano soprattutto il disagio di chi, anarchico nel profondo dell’animo, percepisce come insopportabile la cap­pa di ordine e di conformismo imposta dal regime.
Il filo dell’attività anarchica più propriamente militante, seguito grazie soprattutto alla documentazione dì fiduciari e spie della polizia, disegna una fitta trama di contatti e di scam­bi dall’Italia all’estero – e viceversa – che testimonia non solo l’attiva solidarietà della famiglia internazionale, ma anche la vivacità del dibattito in corso nei congressi e nelle riunioni dove si danno appuntamento le tante anime dell’anarchismo.
Di fronte alla drammaticità degli eventi che segnano questa lunga vigilia di un altro devastante conflitto mondiale, gli anarchici si interrogano, polemizzano e si dividono sui prin­cipi fondanti della loro ideologia e, soprattutto, sulle scelte strategiche da adottare nella lotta ai fascismi, prima fra tutte la questione delle alleanze. Il tradizionale isolamento politi­co sembra stridere con le necessità di una lotta antifascista, combattuta in clandestinità, le cui schiere, col passare degli anni e le retate continue si vanno assottigliando fino a ridursi a po­che migliaia di militanti. Ma il passaggio dalla spontanea fra­tellanza che nasce nella quotidianità tra chi combatte un nemi­co comune, a un’organica unità d’azione ripropone un con­fronto incomponibile sul piano ideologico, anche se fa emer­gere affinità interessanti, come nel caso della vicinanza ai giellisti. Prevalgono, comunque, i motivi di differenziazione, addirittura di conflitto diretto e violento quando comunisti e anarchici si ritrovano fianco a fianco nella battaglia contro il fascismo in Spagna. La sanguinosa resa dei conti tra le forma­zioni anarchiche spagnole e il Pce ha ripercussioni pesanti an­che sui volontari italiani e, tra questi, è Camillo Berneri a paga­re con la vita il prezzo di ima guerra civile che si combatte al fronte, ma anche nelle stesse file dell’antifascismo.
La pagina nera dell’assassinio di Berneri e di tanti altri combattenti libertari è parte integrante della storia dell’op­posizione al fascismo di cui gli anarchici, pur con la loro spe­cifica diversità, rappresentano un tassello importante. Del resto, proprio la complessità di questo mondo antifascista, quale emerge dal lavoro degli studiosi che hanno indagato sulle singole forze politiche, distanti l’una dall’altra per idea­li e progetti, ne esclude un’interpretazione come fenomeno unitario. L’unità dell’antifascismo si iscrive entro i confini del mito ufficiale, pubblico, funzionale alla ricostruzione della nuova Italia antifascista all’indomani della guerra, ma assai poco aderente ai risultati della ricerca storica. Il comune ne­mico che unisce i militanti antifascisti nella lotta, non basta a far superare i fossati scavati dalle ideologie totalitarie ancora dominanti, come nel caso degli anarchici e dei comunisti. La certezza di possedere la verità, il culto religioso del proprio credo politico trasformano in avversario da abbattere chiun­que non condivida la stessa fede. I comunisti possono abdi­care temporaneamente alla purezza dottrinaria, a seconda delle necessità politiche contingenti, nella convinzione di operare sempre per il trionfo della causa; gli anarchici invece rifiutano per principio di piegarsi alle esigenze di una politi­ca aderente alla realtà, persino quando si tratta di far fronte comune nella guerra al fascismo. Il che, naturalmente, nulla toglie al coraggio e al sacrificio di quanti hanno lottato contro la dittatura.

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