2004, 56 p.
Prefazione
I libri di storia, il cinema, la memorialistica, le fotografie, gli sceneggiati televisivi, per gli anni del fascismo ci hanno consegnato, plasticamente, il trasferimento e l’ idea della vita degli antifascisti, sottoposti a misura cautelativa nei rispettivi luoghi di confino (Cesare Pavese a Brancaleone o Carlo Levi in Basilicata). “La traduzione con i suoi ritmi lentissimi, – così si legge in un volume sui simboli e i miti dell’Italia unita, pubblicato dall’Editore Laterza in questi ultimi anni- i ferri ai polsi e le catene, i viaggi negli angusti cubicoli dei vagoni cellulari, riarsi d’estate, freddi come celle frigorifere d’inverno, le soste in luridi cameroni di transito, le traversate, l’ accoglienza da parte degli altri confinati all’arrivo nelle colonie di pena”, oppure “il riferimento alla vita monotona, alle giornate vuote, alla strana esistenza di prigionieri all’aria aperta”, sono momenti che, nelle diverse località, hanno segnato la permanenza degli oppositori al regime. Lipari, Ventotene, le isole Tremiti, Favignana, erano le località più “gettonate”, i posti dove gli antifascisti più irriducibili venivano inviati non a villeggiare ma ad espiare una pena che era stata comminata dalle autorità del tempo, perché essi, per il loro dissenso, o non accettavano la dittatura o costituivano un pericolo per le istituzioni.
La storia di questi “antifascisti” è stata conosciuta grazie alle memorie che alcuni di essi ci hanno lasciato oppure è stata studiata attraverso le carte di polizia (opera molto valida ed utile sono i diversi volumi, curati dall’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti – A.N.P.P.I.A. – che, attraverso brevi biografie, offrono un panorama completo sull’antifascismo popolare italiano), per cui si deve salutare, con attenzione, la pubblicazione di questo volumetto di Angelo Pagliaro, che parla solo con i documenti, e il cui merito è quello di allineare alcuni nomi di antifascisti di Paola, inviati, durante gli anni della dittatura, al confino in varie località italiane. La cittadina tirrenica, nel corso della sua ultima storia, si è distinta per aver dato i natali ad alcuni esponenti di quel socialismo democratico, già presenti in Calabria, tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, ed attivi e combattivi, quali l’avvocato Raffaele De Luca, il maestro Francesco Itria ed anche, in qualche modo, lo stesso Maurizio Maraviglia. Nel 1896, inoltre, con la partecipazione dei più noti socialisti del tempo (da Giovanni Domanico a Pasquale Rossi, ad Antonino De Bella), aveva anche ospitato un convegno delle forze socialiste calabresi, durante il quale erano state gettate le basi per una più incisiva e capillare propaganda nella regione e per fissare i criteri da seguire nelle competizioni elettorali. Paola, che tutti conoscono per essere la patria di san Francesco, è anche la cittadina che, oltre al Maraviglia, il quale dopo la sua breve esperienza nelle file del partito socialista, divenne uno dei maggiori interpreti del pensiero nazionalista, ha dato i natali anche a Carlo Scorza, il segretario del Partito fascista che, nella notte famosa del 25 luglio 1943, guidò i lavori del Gran Consiglio e che,dopo una burrascosa seduta, decretò la fine di Mussolini e del fascismo. L’autore di questo agile testo documentario ha fatto bene, pertanto, a presentare i nomi dei paolani,che si sono opposti alla dittatura e che per questo hanno pagato, coscienti che la loro azione potesse servire a qualcosa per le generazioni più giovani. Personaggi non di secondo piano, se si pensa che il De Luca fu poi attivo nella Resistenza romana; condannato a morte da un tribunale militare tedesco, scampò alla pena perché la sua esecuzione fu più volte rinviata, in quanto era stato dichiarato “intrasportabile” a causa dell’ età avanzata, con la tacita complicità del medico di Regina Coeli. Ma accanto al De Luca, le cui vicende erano peraltro già note agli specialisti del settore, si devono ricordare Ida Scarselli, paolana d’adozione e Giacomo Bottino, paolano, marito della stessa; entrambi anarchici (la Scarselli faceva parte di una famiglia di anarchici, protagonista nel 1921 dei fatti di Certaldo).
Sono storie, a volte minori, storie – scrive l’autore- di dimenticati, ma hanno tutte un grande significato denotante i valori di libertà, di democrazia cui questi militanti sono stati fedeli durante la loro vita e che, con la loro azione, prepararono il terreno alla lotta di liberazione.Oggi qualcuno può anche sorridere di fronte a queste vicende, perché “la crisi del paradigma antifascista, la ricaduta di massa del revisionismo storiografico, la frammentazione sociale e la chiusura di un ciclo storico – politico” hanno modificato, in profondità, il rapporto con il nostro passato, in particolare con gli eventi del Novecento, “quasi che esso costituisca un impedimento all’avvio di un nuovo inizio, all’ingresso in una modernità che si pretende simile ad uno spazio vuoto, ricco di possibilità inedite”, ma che, in definitiva, se la si consideri meglio, è un’altra dimensione rispetto alla vera storia. E’ un’esigenza che, un poco più un poco meno, viene, purtroppo, avvertita da tutte le forze politiche (poche sono escluse), mentre non lo è per gli Istituti che si ricollegano alla Resistenza. L’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (Icsaic) di Cosenza, per quel che lo riguarda, non solo promuove ricerche e scavi sugli anni del ventennio fascista, ma incoraggia anche studi come questi che vedono singole persone impegnate a scoprire ed identificare, nei piccoli paesi della regione, i protagonisti di queste battaglie. Tutte queste indagini devono, alla fine, servire a dare un’idea complessiva dell’ antifascismo popolare calabrese, ancora, per molti aspetti, poco noto, e a scrivere anche “la storia sulla vita e sull’atteggiamento di opposizione al regime da parte degli umili, che lottarono contro il fascismo e patirono carcere e confino”. Proprio per questo, per ospitare i risultati e far conoscere questa documentazione, l’Icsaic si impegna a riprendere le pubblicazioni del suo Bollettino, che, grazie alla preziosa collaborazione del compianto ed indimenticabile prof. Tobia Cornacchioli, comandato, per diversi anni, presso l’istituto di Cosenza e recentemente scomparso, ha visto ininterrottamente la luce dal 1987 al 1996, rappresentando un momento importante nella vita stessa del nostro organismo culturale e storico.
Cosenza 7 gennaio 2004
Giuseppe Masi, Direttore ICSAIC
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