Giugno 2014, 28 p.
Lo Stato con i suoi organi di “disinformazione”, oggi come sempre nei tempi di acutizzazione delle lotte in ogni ambito sociale, manipola la realtà. All’opinione pubblica non viene detto nulla su quanto avviene realmente in carcere: violenze e vessazioni quotidiane (in particolar modo sulle persone immigrate), isolamento, video-conferenza, divieti di incontro, uso mirato e massiccio degli psicofarmaci, teoria e pratica della premiazione e del ricatto (esempio evidente ne è l’applicazione recente dell’aumento della liberazione anticipata portata a 75 giorni ogni sei mesi scontati di detenzione) tutte situazioni ben descritte dalle tante lettere che ci arrivano dal carcere. Alla miseria generalizzata lo Stato risponde riducendo fortemente la spesa sociale ed accrescendo esclusivamente la spesa per le guerre ed il controllo con più polizia, più carceri e interi quartieri delle metropoli messi sotto sorveglianza satellitare.
Le persone in generale hanno fatto propria il concetto di giustizia e diritto come se nella società capitalistica potessero esistere valori di libertà e dignità umana nel senso più profondo e ampio, quando invece sappiamo che da sempre in particolare nei momenti di crisi il capitalismo, in nome del profitto, schiaccia e annulla le persone in modo massificato e selettivo, con guerre interne e esterne, razzismo, e fascismo. In breve affinché possa esistere una società fondata sulle classi, sulla proprietà privata, ovvero sul dominio, è necessario che esistano delle leggi che escludano dai privilegi larghe fette di persone e delle punizioni che possano tenere lontano chi non si conforma a queste leggi.
Immaginare un mondo senza galere significa per noi immaginare un modo di vita che non comprenda, classi, frontiere, guerre, stati e potere ma che invece nasca da condivisione, solidarietà, accordo, accettazione delle differenze. Il consenso forzato, spacciato per “patto sociale”, è volto ad una pace che non significa certo convivenza pacifica fra le persone, ma piuttosto collaborazione sociale imposta con la forza fra sfruttatori e sfruttati, dominatori e dominati, tra dirigenti ed esecutori.
Questa “pace sociale” che organi ben precisi come magistratura, eserciti e forze dell’ordine sono deputati a proteggere attraverso la repressione, è diffusa attraverso l’indottrinamento clericale, scolastico e televisivo volti ad annientare qualunque spirito critico che possa intaccarli. Il carcere è la forma più brutale ed evidente di tutto ciò. Esso mira a far sì che le persone colpite confermino nell’opinione pubblica la sua funzione di esperienza terribile che mira a far piegare la testa, portando le persone a non cercare nemmeno di immaginare un modo diverso di vivere ed intrecciare relazioni. Coloro che nella storia sono stati definiti dai dominatori, ribelli, malfattori, partigiani, banditi, terroristi sono quelli che lo Stato vuole punire maggiormente e per i quali ha studiato nel tempo forme di punizione estreme volte ad annientare loro stessi e chi li vuole seguire. In questo opuscolo, che non ha la pretesa di essere completo ed esaustivo ma parte della necessaria discussione più generale fra dentro e fuori, vogliamo parlare dell’evoluzione del carcere in Italia con un focus particolare sul carcere “speciale”.
Anche oggi ci troviamo di fronte ad un riassestamento del carcere, ovvero riorganizzazione sulla base di sperimentazioni e relativi aggravamenti riguardanti le forme di isolamento, di tortura, di censura, di riduzione estrema di tutti i rapporti con l’esterno sia che riguardino i colloqui con familiari ed avvocati, della negazione della propria identità attraverso il processoin video-conferenza, della limitazione dei libri in cella e della negazione della loro socializzazione.
Siamo perciò solidali con tutti i detenuti e tutte le detenute che lottano e si ribellano contro questa pianificazione mortifera sulla quale poggia la ristrutturazione del carcere attraverso il 41bis, l’Alta Sorveglianza, 14bis (che è rivolto a chi si ribella in carcere), l’ampio uso degli psicofarmaci, la censura ufficiale e ufficiosa della posta, il controllo sulla circolazione dei libri, delle riviste e degli opuscoli ecc… e sicuramente appoggeremo, come sempre abbiamo fatto, anche istanze di miglioramenti parziali che possano rendere la condizione detentiva meno terribile, ma lottiamo soprattutto per abbattere la società del Capitale, ridurre in macerie tutte le galere, cancellare tutte le frontiere, bruciare tutte le divise. Nell’estate e autunno scorso e durante la primavera del 2014, sono avvenute all’interno di svariate galere, per la prima volta dopo tanti anni, delle discussioni collettive rispetto alla lotta con rivolte (come a Cagliari e a Piacenza,) scioperi del carrello e della fame e battiture. Pensiamo a questo opuscolo come un foglio che riesca a contribuire al rafforzamento della lotta dentro e fuori dal carcere.
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