Edito da Trimarchi Editore, Palermo, 1919, 159 p.
Il ritorno alla terra o, per meglio dire, la lotta contro il consumismo attraverso la coltivazione agricola, viene vista ancor oggi come una forma di resistenza e panacea al modello capitalista vigente.
Ciò che in apparenza sembra diverso tra queste due forme di produzione e distribuzione (neoliberista da una parte e, dall’altra, quella che possiamo definire volgarmente “a chilometro zero”) in realtà è soltanto fumo agli occhi: la differenza è soltanto in termini quantitativi e di persone raggiunte all’atto che il prodotto viene venduto. La lotta per mantenere la produzione e i livelli distributivi o, per sintetizzare al meglio la cosa, il proprio status all’interno dell’immenso ed enorme mercato (agricolo, in questo caso) è vitale e fondamentale in termini di sopravvivenza sia dell’azienda (che sia singola, cooperativa, associazione etc) che dell’individuo-proprietario che vi lavora. È in questo ambito che “il contadino” diventa la figura chiave o principale della produzione e distribuzione agricola. Questo soggetto economico, per millenni, è stato ritratto in modo positivo o negativo, a seconda del periodo e degli eventi storici. Da Verga a Rapisardi, passando per Marx e Malatesta, arrivando fino ai giorni nostri con i difensori de “il ritorno alla terra”, il contadino viene rappresentato come: il pezzente che subisce o si vuol arricchire, il benefattore e protettore della terra, il soggetto rivoluzionario o reazionario capace di sovvertire o difendere l’ordine costituito, il partigiano che combatte contro il neoliberismo e via dicendo.
Se usciamo da questo recinto mitologico ed idealizzato, troviamo pochi testi e personaggi capaci di aver decostruito questa figura e, più in generale, il lavoro agricolo in ambito capitalistico.
Paolo Schicchi è uno di questi. L’anarchico di Collesano, nel libro “Il contadino e la questione sociale”, riuscì ad uscire fuori dalle rappresentazioni demonizzate o giulive sia dei letterati (Rapisardi) che di soggetti politici (Marx e Malatesta) dei suoi tempi, analizzando la questione contadina da un punto di vista storico e di esperienza politico-personale (in quanto egli partecipò attivamente alle lotte dei Fasci Siciliani), decostruendo e al contempo ricostruendo la figura del “villano” in ambito storico e attuale (del suo tempo ovviamente), denudando o mostrando realmente quel che era (e lo è in parte ancor oggi) il lavoro agricolo inserito nei meccanismi capitalistici: sfruttamento e mercificazione dell’individuo e della terra.