Edito da BFS, Pisa, 2009, 216 p.
Nella pubblicistica, nella poesia, nella canzone anarchica la morte è un’immagine familiare, quasi invocata. Ma di quale morte si parla, la morte di chi? Tenendo nel mirino tale interrogativo, Antonioli rintraccia alcune stimolanti risposte indagando la produzione culturale del movimento, in particolare le sue espressioni meno “impegnate”. Nel garibaldinismo di fine ottocento, nel rapporto con D’Annunzio, nell’interventismo e nell’antimilitarismo all’epoca della Prima guerra mondiale prendono forma diverse immagini della morte, comuni all’immaginario anarchico e popolare. La morte delle “vittime invendicate” dell’ingiustizia sociale, quella del nemico “borghese, sfruttatore, papa o re”, ma soprattutto quella di chi cade combattendo per l’ideale: il titano, l’eroe, il martire. Bruno, Caserio, Ferrer, Gori: un pantheon di “cavalieri dell’ideale” ma anche di “cavalieri della morte e del dolore”. E una morte che, da sacrificio in vista della vittoria, si trasforma anche in morte “per nulla”, “bella e vendicatrice”.