Breton Philippe, “Elogio della parola. Il potere della parola contro la parola del potere”

Edito da Eleuthera, Milano, 2004, 175 p.

In questo libro, Breton esplora le immense potenzialità della parola sia sul piano personale sia sul piano sociale e dimostra come, storicamente, la parola abbia costituito uno spazio sostitutivo alla violenza e all’onnipotenza del potere. E come le risorse dell’argomentazione – ma anche quelle dell’oggettivizzazione delle passioni – abbiano consentito di fare sempre più retrocedere quella violenza. Ma soprattutto, e questo è lo scopo principale del libro, l’autore spiega come si possano superare gli ostacoli che s’oppongono oggi al pieno sviluppo del potere della parola. Contro la parola del potere.

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Note dell’Archivio
-Traduzione del libro “Éloge de la parole”, Éditions La Découverte, 2003
-Il traduttore riporta la seguente nota: “Il titolo originale del libro è Éloge de la parole, e la parole ha senza dubbio il ruolo di protagonista nelle pagine che seguono. Va detto che il significato di questo termine non corrisponde a quello italiano di parola, ed è anzi citato come uno dei numerosi esempi di «falsi amici» che ahimé presentano due lingue contigue come il francese e l’italiano. L’etimologia è di derivazione greca: parabolé significa «confronto», e poi, per traslato, «favola» o «apologo». Entra nel tardo latino, parabola, molto probabilmente dalle traduzioni del Vangelo, e accomuna il sostantivo al verbo parlare o parler. Il senso assunto nel francese è quindi più vicino all’etimo originale. La definizione che ne dà il dizionario Hachette è: «Voce articolata necessaria al linguaggio, le cui caratteristiche comprendono l’elocuzione, l’intensità della voce, la qualità, l’intonazione e la forza». Nella tradizione della linguistica, è poi nota la definizione che ne diede de Saussure, per distinguere la parole dalla langue: la prima è sempre «l’esecuzione individuale [della langue], l’individuo ne è sempre il padrone: noi la chiameremo la parole.[…] Essa è un atto individuale di volontà e intelligenza, nel quale conviene distinguere: 1. le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale; 2. il meccanismo psico-fisico che gli consente di esternare tali combinazioni». Per questo, una traduzione più vicina al senso originale sarebbe piuttosto discorso o dire. Ho tuttavia scelto di tradurre sistematicamente il termine con «parola», perché nell’economia del testo, con l’impiego che ne fa l’autore, esso acquista un senso specifico e inequivocabile, che va al di là di quello in uso nella lingua corrente. Usare «discorso» avrebbe generato equivoci, soprattutto per l’uso che di quest’ultimo termine si fa negli studi di linguistica e di comunicazione, e la scelta di un infinito sostantivato come «il dire» avrebbe appesantito in modo irrimediabile il testo.”

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