Edito da Idea Editions, Milano, Giugno 1977, 74 p.
Il 10 luglio 1976, alle ore 12,37’7″ si rompe la valvola di sicurezza, che sfiatava direttamente nell’atmosfera, di uno dei due reattori del reparto B dell’industria chimica Icmesa, di Meda. La popolazione spaventata vede irrompere un pennacchio bianco – qualcuno, più tardi, dirà grigio, scuro … – che si muove velocemente. Il vento spira al suolo a 7 chilometri all’ora verso sud e a 1.500 metri di altezza a 40 chilometri all’ora verso nord. Le descrizioni che faranno poi del fenomeno le persone interrogate, saranno diverse e talvolta contraddittorie, ma concorderanno tutte sull’ora, sul senso di bruciore agli occhi, alla gola, sull’irrespirabilità dell’aria, sulla paura. Alla vista di questa nube compatta che si avvicina veloce come una minaccia molti si barricano in casa, chiudono porte e finestre, rimangono spaventati a guardare dietro i vetri. Alcuni ricordano altre nubi, più piccole, odori sgradevoli, la gola secca, gli occhi che lagrimano un po’; fenomeni rimasti misteriosi, ma brevi, fugaci come un refolo di vento che solleva un polverone e si dilegua. Una donna che abita in via Carlo Porta – quella che diventerà poi la zona A della prima evacuazione – dirà più tardi che l’odore della nube di Seveso era lo stesso di un pennacchio di fumo fuoriuscito dall’Icmesa il 13 gennaio 1975 e nel maggio del 1976. Fu lei stessa a dare l’allarme all’Icmesa, spaventata perché sua figlia che stava andando a scuola era tornata a casa di corsa premendosi il fazzoletto sulla bocca. La gente di Meda e di Seveso si era abituata a queste stranezze metereologiche. […]