
Edito da: Editziones de su Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”
Luogo di pubblicazione: Guasila
Anno: 1992
Pagine: 181
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
La classe politica sarda è in piccolo lo specchio fedele di quella italiana in generale, e di quest’ultima riflette tutte le aberrazioni. Essa è parte integrante del sistema di dominio colonialista vigente nell’isola, dove il privilegio ed il clientelismo si sposano con l’impunità di cui gode chi comanda, e l’irresponsabilità dei responsabili con l’inamovibilità dei potenti. Non c’è misfatto о fallimento, о tangentopoli che allontani i politici sardi, al pari di quelli continentali, dal comando; solo la morte li può staccare dalle loro comode poltrone. Per chi ha conservato un minimo di dignità, vedere le facce che siedono in Parlamento, alla Regione, ai comuni, insomma di chi governa – ciò acca de quotidianamente – equivale ogni volta a ricevere uno sputo in faccia. Questo sistema di dominio ha contagiato e corrotto in profondità tutta la società, portandola allo sfascio. Vi è una tendenza generale verso il posto garantito, la fuga da ogni responsabilità, il parassitismo, la caccia al privilegio, le feroci spinte corporativiste e de-solidarizzanti, il servilismo (quasi) generalizzato, che riproducono nella struttura sociale quanto avviene in alto loco. Anche le aspirazioni di modesti ceti delle classi subalterne rispecchiano microscopicamente spesso l’arrogante pretesa di inamovibilità, irresponsabilità, impunità della classe dirigente; basta vedere quanto avviene nel pubblico impiego. Questi fenomeni sono l’entroterra del consenso dato alle istituzioni dove la regola è il ribadire la dipendenza, la subalternità verso chi comanda. Quando i lavoratori, scesi in piazza о in sciopero, si trincerano dietro frasi apparentemente grintose del tipo: “È lo Stato che deve provvedere”, “Ci pensino loro”, in realtà esprimono autospossessamento della propria forza, rinuncia ad intervenire, a dai- corso ad una qualsiasi azione diretta, a contare in sostanza qualcosa. Come nel caso dei minatori di Iglesias e degli operai di Portovesme, oppure della Jason di Olbia, che alle solite rivendicazioni per il mantenimento del posto di lavoro accoppiano iniziative di solidarietà verso quanto va promuovendo lo Stato (vedi le iniziative prese nel corso dei sequestri Diliberto e Kassam, ad esempio). In questi casi, invece di attaccare, confermano e perpetuano la delega in bianco, l’arbitrio di chi comanda e decide. In Sardegna, come accade dappertutto del resto, una buona parte della gente, giovani compresi, sta piegata ed accetta le regole del gioco; lavora e percepisce il sussidio di disoccupazione, studia, ubbidisce. C’è però – come sempre – un resto, uno scarto più о meno consistente: chi non ci sta, non vuole, non ci riesce. Una parte, certo, ma pericolosa per il potere, non perché numericamente cospicua, quanto invece perché manifesta, a volte anonimamente altre volte no, comunque direttamente, la propria opposizione, com’è avvenuto durante tutto il corso dell’operazione colonialista politico militare “Forza Paris”, attuata dall’esercito mandato dal ministro Andò. La propaganda di regime, assieme ai tzerakus dei vari partiti politici compresi quelli “indipendentisti” – che sarebbe più onesto qualificare come collaborazionisti – mosche cocchiere del potere coloniale, hanno cercato in tutti i modi di sminuire о meglio di cancellare le forme di opposizione espresse contro l’invasione dell’esercito, sostenendo che si trattava di pochi casi isolati rispetto alla totalità della popolazione. In cambio di questo loro servizio, profumatamente pagato dallo Stato italiano (vedi gli stipendi che si prendono), hanno, da veri infami quali sono, mirato a ridurre la cultura sarda, per la gioia dei turisti e dei colonizzatori in divisa. Gli attacchi compiuti contro l’esercito sono stati una risposta a quanti con la loro infame azione di sostegno al colonialismo, vanno lavorando alla disgregazione delle comunità sarde, creando con la penetrazione della droga e dei “valori” del consumismo mass-mediativo, le condizioni di una emarginazione, di una esclusione volta a cancellare l’identità etnica del popolo sardo. L’azione violenta espressa dagli anonimi autori di questi fatti, è stata di natura essenzialmente sociale, di rifiuto radicale della politica, in quanto ha espresso il rifiuto di chi si sente rifiutato, la negazione di chi si sente negato e in sostanza si è rotto i coglioni di subire tutto passivamente. Il centinaio di attacchi о “attentati” compiuti contro gli amministratori lo cali dell’isola in questi ultimi anni, sono una risposta a quanti vanno tradendo le aspettative e la Questione sarda, avendo fatto del tradimento, dell’opportunismo, del trasformismo la loro regola di vita. La cosa che fa più paura a questi signori è che i giovani prendano esempio da questi fatti e si sentano sempre più giustificati nel mettere in gioco la propria vita tranquilla, tramutandosi in reali nemici del colonialismo e non complici di un sistema che in guanti bianchi va uccidendoli. Il fatto positivo è che, nonostante la pesantissima situazione di repressione e di controllo “manu militari” che si mira ad istituire, nell’isola c’è chi ancora è disposto a rischiare la propria vita per liberarsi, e lo fa con i mezzi che ritiene più opportuni, attaccando il potere più che docilmente soggiacervi. Non dimentichiamo neppure che, dietro le quinte dello spettacolo di con senso all’operazione “Forza Paris” mandato in onda dai mass-media nazionali e locali, soprattutto nelle Barbagie si sono compiute vendette postume su ex-detenuti, che pur non rappresentando un reale pericolo sono stati ricacciati in cella, grazie a quel super-decretone “anti-mafia” dei famigerati Scotti-Martelli. Ed è solo per la mobilitazione della popolazione di quei luoghi che sono stati quasi subito di nuovo liberati. Inutile dire che in un “paese” com’è l’Italia quando si inaspriscono le pene, si limitano le libertà, trattasi di misure propagandistiche e spettacolari, poste in essere da un sistema che mira a risolvere la situazione critica col proclamare nelle zone considerate calde lo “stato di guerra”, proponendo lo sterminio di chi si oppone come la giusta soluzione del problema. Si pro cede così, con l’intimidazione, a creare il giusto clima di paura e di sospetto generalizzato che induce con premi ed altre regalie, alle collaborazioni e alle delazioni contro chi non ci sta. La parola d’ordine della “difesa dello Stato democratico” è un ottimo paravento per la classe dirigente, che in questo modo conserva e rafforza il suo potere, confermando l’imperitura sua inamovibilità e la sua impunità. L’anti-Stato non è la criminalità organizzata, come si vuole far credere, ma chi lotta contro il potere tanto legale (Stato), tanto illegale (Mafia, Camorra, ecc.), senza farsi portatore di alcun progetto di consenso da darsi a questo sistema. Da che parte stare, l’ha senza opportunismi e demagogici discorsi politici indicato, con l’azione, proprio chi ha attaccato questa estate in Sardegna l’esercito italiano.
Nota dell’Archivio: ////
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