Giovannetti Alibrando, “Il sindacalismo rivoluzionario in Italia”

Edito da Zero in Condotta, USI Milano e Collegamenti Wobbly Genova, Milano, 2004, 224 p.

Una storia dell’USI, scritta da uno dei suoi più attivi militanti, testimone e attore delle vicende più importanti di quel periodo, basata su una puntigliosa ricostruzione delle lotte, delle vittorie e delle sconfitte proletarie negli anni che vanno dalla nascita del sindacalismo d’azione diretta all’affermazione violenta del fascismo, particolarmente utile oggi, non solo per rivendicare una memoria nostra rispetto al pensiero dominante, ma anche come contributo al dibattito che attraversa il sindacalismo di base nel suo complesso. Saggi (di Guido Barroero, Sergio Onesti, Giorgio Sacchetti e Cosimo Scarinzi), foto e riproduzioni d’epoca completano il libro.

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Nota dell’Archivio
-Il libro è stato curato da Marco Genzone e Franco Schirone. La scheda bio-bibliografica da Guido Barroero

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Meschi Alberto, “Dove va la Confederazione Generale del Lavoro?”

Edito/Ciclostilato da Luigi Assandri, Torino, 1976, 32 p.

Per comprendere nel suo giusto valore questo interessante opuscolo di Alberto Meschi è necessario fare attenzione alle date segnate dall’autore in calce agli scritti. Il saggio principale – che porta la data del Primo Maggio 1947 – fu preparato dal Meschi alla vigilia del Congresso confederale di Firenze (che ebbe luogo nel Giugno dello stesso anno) ed ha perciò indiscutibile valore di documentazione. L’incalzare degli eventi può aver fatto dimenticare molte cose, ma è necessario che i rilievi contenuti in questo opuscolo siano tenuti presenti da quanti intendono studiare seriamente i problemi dell’organizzazione operaia e rendersi conto delle cause che hanno portato alla presente situazione sindacale italiana, così piena di incongruenze, di aberrazioni e di incognite. In data 6 novembre 1948 Alberto Meschi, rileggendo il suo scritto, ha aggiunto altre opportune considerazioni che integrano ed aggiornano i punti di vista precedentemente svolti. E il 10 Dicembre di quest’anno, infine, licenziando alle stampe l’opuscolo, l’autore – nella sua grande onestà di sincero combattente per la redenzione degli operai e per la loro effettiva elevazione morale ed umana – ha parole di vera bontà per richiamare i lavoratori sulla via del loro affratellamento per combattere, uniti, contro il nemico comune: lo sfruttamento capitalista e la tirannia dello Stato, nel quale si annida l’ostacolo principale che impedisce la eliminazione dei privilegi di classe e la realizzazione della giustizia sociale. Le tre parti di questo opuscolo – se pure scritte in epoche diverse – costituiscono nel loro complesso una trattazione omogenea ed organica, utilissima per chi si appassioni al problema assillante delle lotte operaie tendenti al raggiungimento di una “umanità nova” di liberi e di uguali.
Gli Editori

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Nota dell’Archivio
-Prima edizione: Gruppo editoriale anarchico, Torino, 1948

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Hugo Rolland, “Il sindacalismo anarchico di Alberto Meschi”

Edito da La Nuova Italia, Firenze, 1972, XVI+293 p.

Presentazione
Iniziamo la pubblicazione dei Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana con questo saggio, con questa testimonianza di Hugo Rolland sul movimento operaio apuano; saggio che abbraccia un periodo di tempo assai lungo, dagli inizi del secolo al secondo dopoguerra. Esso si accentra sulla figura dell’anarchico Alberto Meschi, il valoroso e valido organizzatore sindacale carrarino, con il quale Hugo Rolland ha vissuto per lunghi anni in fraterna dimestichezza e del quale con cura amorosa ha raccolto gli scritti ed 4 i documenti riguardanti la sua attività politica. Su questa vasta documentazione originale, che è stata raccolta e depositata dall’autore nell’Internationsal Instituut voor Sociale Geschiedens di Amsterdam, si basa la presente biografia, che è qualcosa di più di una biografia poiché rappresenta, a nostro avviso, un contributo essenziale alla storia politica ed economica della tormentata zona marmifera. Nessuno più di Rolland era indicato a fare simile lavoro. Rolland, in realtà Erasmo Abate, che si decise a mutare nome durante l’esilio negli Stati Uniti d’America per sottrarsi alle ricerche della polizia fascista, fu compagno di fede e di lotta del Meschi. Nato a Formia nel 1895, era emigrato giovanissimo in America, lavorando come operaio nei cantieri e come decoratore. Colà, vivendo l’esperienza dei poveri emigrati, aderì al movimento anarchico sindacale, perché il più impegnato nella lotta per migliorare le condizioni della classe proletaria. Il caso Sacco e Vanzetti lo spinse alla politica attiva, quale propagandista e conferenziere del Comitato di Difesa di Boston. Questa sua attività, nonché le prese di posizione a favore della d rivoluzione russa, gli procurarono l’accusa di « attività antinazionali » e di « sindacalismo criminale ». Quindi fu costretto a rientrare in Italia, dove giunse nel fatidico anno 1922. Errico Malatesta lo inviò ad Ancona per dar man forte ai compagni impegnati in una dura lotta. Ivi capeggiò, assieme al comunista Mario Zingaretti, gli Arditi del Popolo. Arrestato, processato e assolto per insufficenza di prove fu costretto ad abbandonare nuovamente l’Italia. Due anni d’esilio a Parigi (1923-25), persecuzioni poliziesche, contrasti amari con gli stessi compagni di lotta, di cui parlerà in altre sue opere, quindi ritorno negli Stati Uniti, dove lavorò con successo come decoratore e come agricoltore; fra l’altro collaborò anche alla fondazione del foglio anarchico « Germinal », non senza gravi dissensi e polemiche con quelli che avrebbero dovuto essere amici e collaboratori.
Infine definitivo ritorno in Italia nel 1960, anni in cui Rolland pensa e rimedita le esperienze del passato.
Noi crediamo di fare opera utile pubblicando questo volume, non solo per rendere omaggio al ricordo di un valoroso lottatore per l’emancipazione del proletariato, ma anche perché nelle pagine di Rolland rivive una parte della lotta che il popolo carrarino sostenne contro l’oppressione fascista.
Sono, queste, pagine di un compagno di lotta, scritte con l’immediatezza e l’impegno di chi ha sofferto le stesse vicende del protagonista, scritte con lo stile vivace dell’autodidatta che ha vissuto più all’estero che nella sua patria. E proprio in ciò sta il pregio dell’opera oltre che nell’obiettivo apporto di una documentazione inedita.
Per le ragioni implicite in quanto abbiamo detto e per espressa volontà dell’autore, l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana naturalmente non si sente responsabile dei singoli giudizi su persone e avvenimenti politici che il Rolland vi esprime.
Ma condividiamo con Rolland il suo anelito per la libertà e la giustizia sociale ed ammiriamo la passione e serietà d’intenti della sua ricerca. Questo è il motivo per cui diamo inizio con la biografia di Alberto Meschi alla collezione dei nostri Quaderni.
ISRT

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AA.VV., “Altri saraceni”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Marzo 1993, 135 p.

Altri Saraceni è un’antologia di racconti brevi; Igna­zio Agosta, Salvatore Cassarino, Pippo Gurrieri e Be­nito La Mantia vi s’incontrano con le loro storie e stili, convergendo, come torrenti autonomi, nel fiume di una letteratura impegnata e schierata. In un certo senso raccolgono l’appello lanciato ol­tre un ventennio fa dal «piccolo profeta del Giabel et­neo», Santo Cali, ai tanti Saraceni di Sicilia sparsi per il mondo, perché le parole dell’artista siano pietre pe­santi scagliate contro gli spacchi della realtà omolo­gante. Altri Saraceni, e altri e altri ancora, devono torna­ re al più presto a calpestare l’erba dei nostri prati moribondi, la sabbia delle nostre spiagge incatramate, le nebbie dei nostri sogni artificiali, per travolgere, con tutta la gamma delle loro armi, le armate di tutti i boss, signori e monsignori, ladri e mercanti di libertà, di ve­rità e di giustizia.

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Massari Angelo, “Non è facile neanche fare un buon caffè”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Maggio 1992, 104 p.

In questa storia che mi metto a scrivere c’è di tutto о quasi di tutto. Non ho motivazioni di qualsiasi gene­ re per scrivere un libro, e per giunta tutto mio, che ri­guarda me e il mio rapporto con gli altri, о forse è questo il vero motivo; che la cosa possa interessare о essere utile non lo so, e neanche mi pongo il problema; ma lo scrivo lo stesso. Quello che scriverò sarà più istintivo che ragiona­to a mente fredda, i fatti che racconterò sono avvenuti realmente e i personaggi sono veri; il racconto sarà un insieme di fatti e personaggi che cercherò di mettere insieme come in un gioco; non so se riuscirò nel mio intento ma ci proverò.

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Caldara Enrico, “Un colore che nessuno conosce”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Luglio 1995, 56 p.

«Un colore che nessuno conosce» rivela l’a­nima di un artista integro che, dietro la semplicità di linguaggio, nasconde amarezza e sentimento. Vita e morte, amore e tempo, ricordi e significati sono le note essenziali di immagini colte a volo e trasfigurate nel­ la liricità di un linguaggio sommesso, an­che se ricco di intensa interiorità. Caldara ha racchiuso in questa raccolta di versi tut­ta la sua verità, in cui si raccordano imma­gini intense, esprimendosi con assoluto ri­gore ed immergendosi in una serie di con­fessioni-riflessioni esistenziali. (Estratto dalla presentazione di Emanuele Schembari)

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Sommariva Marco, “Vorompatra”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Maggio 2003, 174 p.

Dopo Il cristallo di quarzo, romanzo d’esordio, Marco Sommariva torna a stupirci con Vorompatra, avvincente come un giallo, interessante come un trattato che, in forma di romanzo, sviscera la precarietà odierna quando si fa vita. L’autore ci fa ritrovare il gusto di soffermarci sulle cose semplici, con quella dosata e sapientemente somministrata componente di mistero che alimenta, pagina dopo pagina, la narrazione, fino alle ultime battute dell’ultimo capitolo.

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Sommariva Marco, “Il cristallo di quarzo”

Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Febbraio 2004, 63 p., Seconda Edizione

Un giornalista di provincia, l’Appennino Ligure, un commerciante di preziosi pakistano, i cristalli di quarzo nascosti sotto la roccia, un nastro avidamente conteso che forse contiene la chiave per svelare i segreti che circondano la strage aerea sui cieli di Ustica del giugno 1980. Fughe, omicidi, angosce, tra pullman, treni e aerei, in un’atmo­sfera squallida e surreale, sono i fotogrammi veloci di questo ro­manzo.

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Nota dell’Archivio
-Prima Edizione: 1999

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Collettivo donne sparse (poche e o tante) in libertà vigilata, “Appunti e voci varie di donne sul carcere”

Edito da Centro Internazionale Diffusione Stampa, Roma, 1978, 16 p.

Estratto dall’inizio dell’opuscolo
Tutta la nostra esistenza è preordinata secondo norme che ci espropriano.
La vita quotidiana della donna è ritmata da gabbie successive: le mura della casa, i suoi ruoli (figlia, moglie, madre), il lavoro. Apparentemente sono gabbie aperte, in realtà la donna vi è rigettata continuamente dentro come unico luogo dove il cosiddetto femminile può esprimersi.
Riusciamo a liberarci… che già ci troviamo incarcerate in un altro ruolo. Questa spirale oppressiva e annientatrice di noi come persone si rafforza e prende terreno proprio mentre la società ci “accetta” e si rispecchia.
C’è anche una nostra necessità di essere accettate; questa, se da una parte costruisce tutte le deformazioni e le storture dei nostri bisogni, dall’altra ci costringe ad adattarci a comportamenti imposti. In noi stesse c’è il divieto, l’abitudine, l’adattamento.
LE NUOVE, le sue mura di cinta danno un senso di terrore. Sembrano ‘‘l’estraneità”’’ dello stato, espressione fisica e visibile del luogo separato, l’espiazione della pena. Sembrano fuori del nostro percorso, già così rigidamente articolato; un iceberg di vite sopravvissute. Ma corrispondono per negativo ad una rottura violenta nel sociale o ad una ‘devianza’ dalla norma.
Per poter dire qualcosa sul carcere come istituzione bisogna capire le fasi di incarceramento nel nostro quotidiano, come donne. Ricostruirle a ritroso, scardinare le norme per collocarci interamente e consapevolmente nel sociale. Le gabbie: del ruolo sono elemento di ricomposizione: la donna che sta al suo posto è funzionale a conservare e a riprodurre gli stessi rapporti sociali. L’istituzione carcere, intervenendo su un rifiuto, su una ribellione sociale e politica, riconferma l’ordinamento esistente ed è perciò interna alla nostra pratica di vita.

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Zarcone Pier Francesco, “L’anarchismo portoghese. Dalle origini ai garofani dell’illusione, e oltre”

Edito da I Quaderni di Alternativa Libertaria, Fano, 2003, 72 p.

La grande esplosione di rivolta sociale iniziata nel secolo XIX si è notoriamente propagata a livello di massa nella penisola iberica. Al riguardo il pensiero corre subito alla grande epopea anarchica e comunista libertaria della Spagna, ma pochi sanno che il fenomeno non lasciò affatto indenne l’altro (e poco focalizzato) paese della penisola: il Portogallo, rimasto fino al 1975 la più arretrata regione dell’Europa occidentale. Eppure in questo paese l’anarchismo, almeno fino agli anni ’40, aveva costituito la corrente ideologica predomi­nante nella classe operaia.

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