Edito da Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2003, 449 p.
Introduzione
In ogni tempo, in ogni luogo le persecuzioni scandiscono la storia degli anarchici, avversari irriducibili di qualsiasi potere costituito, temuti e odiati dai potenti di tutto il mondo che vedono in loro una minaccia e una sfida permanente all’ordine, nei regimi autoritari come in quelli democratici.
L’idea totalitaria di libertà che li anima, non consente al movimento anarchico altra collocazione se non l’opposizione, senza possibili mediazioni; un’opposizione il più delle volte isolata anche dalle altre forze politiche che pure lottano contro i sistemi, perché la traduzione politica dell’estremismo ideologico anarchico, prima o poi, entra inevitabilmente in contrasto con qualsiasi progetto di costruzione e di realizzazione di una società all’interno di strutture statali codificate. Persino l’utopia comunista che più si avvicina al sogno degli anarchici, viene respinta con orrore quando si fa realtà, sì dota di strumenti di lotta politica per attuarla, si concretizza in forme, modalità e organizzazioni per il governo delle masse. I limiti, seppure affascinanti, di questa fede ideale estrema imprimono alla storia dell’anarchismo dei caratteri peculiari, in primo luogo la dimensione internazionale che è elemento fondamentale dell’identità anarchica. Sparsi per l’intero pianeta, lontani mille miglia, estranei per lingue, culture e storie, gli anarchici si riconoscono appartenenti a ima stessa famiglia di “diversi”, di perseguitati, di “sognatori”, di donne e uomini “contro”, vincolati gli imi agli altri da infrangibili legami di solidarietà che sono essenziali per la loro stessa sopravvivenza. L’esilio, un evento ricorrente nella loro vicenda, accentua il distacco dalla nazione di appartenenza che, a ondate, nel corso degli anni lì respinge da sé, li espelle o li costringe all’espatrio, ultima strada rimasta per salvare la vita.
Una volta inserite in questa cornice/ le specifiche storie nazionali costituiscono però altrettanti tasselli per comporre il mosaico dell’anarchismo che vive in Europa/ negli anni tra le due guerre mondiali/ la sua ultima stagione come movimento di massa. A dare il colpo di grazia a questo soggetto politico/ il cui radicamento nella società è stato già profondamente indebolito dall’avvento dei partiti di integrazione marxisti e poi da quelli leninisti, contribuiscono i totalitarismi fascista e comunista, diventati via via egemoni nel vecchio continente.
Nel caso specifico dell’Italia dove fin dal 1922 il fascismo è al potere, la liquidazione degli anarchici rientra nel quadro complessivo dell’ascesa violenta e del consolidamento della dittatura che, per un ventennio, soffoca ogni forma di libertà e di organizzazione. La storia degli anarchici italiani in questo periodo si intreccia, dunque, con quella dell’antifascismo, una storia di persecuzioni, ma anche una storia di lotte in patria e all’estero, condotte da coloro che tenacemente rifiutano di piegarsi al regime. Il lavoro di scavo e di analisi sul mondo variegato degli antifascisti ha prodotto ormai una solida storiografia che presentava però una lacuna, proprio per quanto riguarda l’opposizione anarchica, studiata soprattutto nel primo periodo – dal biennio rosso al delitto Matteotti – ma di cui, per la fase successiva, si avevano solo poche tracce, qualche riferimento a episodi e a militanti, molti nomi inseriti negli elenchi dei perseguitati, dei condannati dal Tribunale Speciale, dei confinati, dei carcerati, dei condannati a morte, degli esiliati. Il lavoro di Fabrizio Giulietti viene a colmare questo vuoto con una puntuale, minuziosa ricerca sulle fonti documentarie, in primo luogo l’archivio centrale dello Stato, miniera in esauribile di informazioni. Con altrettanta sistematicità Giulietti ha proceduto allo spoglio della stampa, degli opuscoli e della pubblicistica anarchica, copiosamente prodotta, malgrado le difficoltà di pubblicazione e di diffusione, garantite pur saltuariamente proprio da quella rete internazionale cui si è fatto cenno.
Partendo dalla fase successiva al delitto Matteotti, quando ormai si è conclusa e perduta l’ultima battaglia delle opposizioni antifasciste in Italia, Giulietti percorre tutte le tappe dell’esistenza clandestina del movimento anarchico in Italia: dai tentativi sempre frustrati di riorganizzare le file disperse dei militanti che la polizia tiene sotto ferrea sorveglianza, ai progetti dei falliti attentati per uccidere il tiranno, pagati da Schirru e Sbardellotto con la condanna a morte; dalla ricerca del riscatto nella guerra in Spagna che per gli anarchici, come per tutti gli antifascisti italiani, inquadrati nelle brigate internazionali, rappresenta l’occasione di combattere il fascismo in campo aperto, armi alla mano, fino alla resistenza armata nel 1943-45, culmine di un ventennio di opposizione. Da questa approfondita ricerca emerge un quadro complessivo del movimento anarchico nel ventennio fascista assai più variegato e, direi tormentato, rispetto all’immagine stereotipata che la stessa propaganda anarchica ha tramandato. E non si tratta solo del nuovo spessore che acquistano i militanti più noti sotto la benevola, simpatetica lente di ingrandimento di Giulietti – è il caso dei paragrafi dedicati a Schirru e Sbardellotto. La diversità dei contesti sociali e geografici in cui operano gli anarchici, costituisce un elemento importante di differenziazione che traccia una sorta di spartiacque tra l’anarchismo radicato nelle zone operaie dove è rimasta ancora viva la tradizione anarchica, e quello disperso, isolato in realtà ostili o del tutto impermeabili al messaggio degli anarchici. Qui si sviluppa un’opposizione, definita “esistenziale” da Giulietti che puntigliosamente raccoglie anche le informazioni sull’insulto urlato, la scritta offensiva sul muro, la minaccia e il grido di protesta; tutta quella serie di piccoli atti individuali che, nella loro continuità e ripetitività, denunciano soprattutto il disagio di chi, anarchico nel profondo dell’animo, percepisce come insopportabile la cappa di ordine e di conformismo imposta dal regime.
Il filo dell’attività anarchica più propriamente militante, seguito grazie soprattutto alla documentazione dì fiduciari e spie della polizia, disegna una fitta trama di contatti e di scambi dall’Italia all’estero – e viceversa – che testimonia non solo l’attiva solidarietà della famiglia internazionale, ma anche la vivacità del dibattito in corso nei congressi e nelle riunioni dove si danno appuntamento le tante anime dell’anarchismo.
Di fronte alla drammaticità degli eventi che segnano questa lunga vigilia di un altro devastante conflitto mondiale, gli anarchici si interrogano, polemizzano e si dividono sui principi fondanti della loro ideologia e, soprattutto, sulle scelte strategiche da adottare nella lotta ai fascismi, prima fra tutte la questione delle alleanze. Il tradizionale isolamento politico sembra stridere con le necessità di una lotta antifascista, combattuta in clandestinità, le cui schiere, col passare degli anni e le retate continue si vanno assottigliando fino a ridursi a poche migliaia di militanti. Ma il passaggio dalla spontanea fratellanza che nasce nella quotidianità tra chi combatte un nemico comune, a un’organica unità d’azione ripropone un confronto incomponibile sul piano ideologico, anche se fa emergere affinità interessanti, come nel caso della vicinanza ai giellisti. Prevalgono, comunque, i motivi di differenziazione, addirittura di conflitto diretto e violento quando comunisti e anarchici si ritrovano fianco a fianco nella battaglia contro il fascismo in Spagna. La sanguinosa resa dei conti tra le formazioni anarchiche spagnole e il Pce ha ripercussioni pesanti anche sui volontari italiani e, tra questi, è Camillo Berneri a pagare con la vita il prezzo di ima guerra civile che si combatte al fronte, ma anche nelle stesse file dell’antifascismo.
La pagina nera dell’assassinio di Berneri e di tanti altri combattenti libertari è parte integrante della storia dell’opposizione al fascismo di cui gli anarchici, pur con la loro specifica diversità, rappresentano un tassello importante. Del resto, proprio la complessità di questo mondo antifascista, quale emerge dal lavoro degli studiosi che hanno indagato sulle singole forze politiche, distanti l’una dall’altra per ideali e progetti, ne esclude un’interpretazione come fenomeno unitario. L’unità dell’antifascismo si iscrive entro i confini del mito ufficiale, pubblico, funzionale alla ricostruzione della nuova Italia antifascista all’indomani della guerra, ma assai poco aderente ai risultati della ricerca storica. Il comune nemico che unisce i militanti antifascisti nella lotta, non basta a far superare i fossati scavati dalle ideologie totalitarie ancora dominanti, come nel caso degli anarchici e dei comunisti. La certezza di possedere la verità, il culto religioso del proprio credo politico trasformano in avversario da abbattere chiunque non condivida la stessa fede. I comunisti possono abdicare temporaneamente alla purezza dottrinaria, a seconda delle necessità politiche contingenti, nella convinzione di operare sempre per il trionfo della causa; gli anarchici invece rifiutano per principio di piegarsi alle esigenze di una politica aderente alla realtà, persino quando si tratta di far fronte comune nella guerra al fascismo. Il che, naturalmente, nulla toglie al coraggio e al sacrificio di quanti hanno lottato contro la dittatura.
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