Gelderloos Peter, “I fascisti sono strumenti dello Stato”

Bologna, 2016, 12 p.

Introduzione
È passato quasi un secolo da quando Luigi Fabbri, figura storica dell’anarchismo italiano, scriveva riguardo al crescente movimento fascista: “Prima che tutti i fattori reazionari [violenza illegale fascista, repressione legale governativa, pressione economica derivante dalla disoccupazione] contribuissero a dargli un terreno di sviluppo ed una atmosfera favorevole, il fascismo era una povera e malinconica cosa: gruppi minuscoli sparsi qua e là per la penisola, senza seguito notevole ed in uggia alla stessa classe dirigente. (Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo, Zero in Condotta, Milano 2009). Era l’ottobre del 1921, e a Bologna, città dalla quale l’autore scriveva queste righe, da “nucleotrascurabile” il fascismo “crebbe in modo indescrivibile e diventò gigante”.Quello che è accaduto in seguito lo conosciamo bene. Il fascismo è stato scelto e accolto in diverse parti del mondo come lo strumento di dominio più adatto al ruolo di “guardiano” degli interessi delle classi dominanti, non appena i regimi democratici di turno si sono dimostrati inadeguati nel rispondere alle spinte dal basso che minacciavano di sovvertire l’ordine costituito. Non è un segreto come in questi casi i governi liberal­democratici si siano sempre mostrati ben disposti a farsi da parte e lasciare a qualcun altro il compito di fare il lavoro sporco, con il plauso delle maggiori potenze internazionali (Churchill lodò Mussolini per aver “reso un servigio al mondo intero”) o persino offrendo aiuto materiale (il socialdemocratico Roosevelt fornì risorse essenziali,fra cui combustibile, alla dittatura franchista).
Se in Italia si passò dalla creazione dei Fasci di combattimento alla presa del potere del fascismo nel giro di soli tre anni, ciò è dovuto proprio al fatto che il movimento fascista si offrì di svolgere quelle funzioni di cui le classi dirigenti del tempo avevano bisogno (repressione del movimento rivoluzionario che durante il Biennio Rosso aveva dato una prova della sua vera forza, difesa del profitto capitalista messo in crisi dal movimento dei lavoratori e dalla congiuntura economica post­guerra), ma che non potevano essere portate a termine da un governo “democratico”, pena la caduta della maschera.
È quindi fondamentale, al fine di creare oggi un movimento antifascista che sappia agire coerentemente a quelli che sono i suoi obiettivi, opporsi alla falsa dicotomia “democrazia o fascismo”. Storicamente, democrazia e fascismo sono sempre andati a braccetto, completandosi a vicenda, e la vera alternativa che i movimenti rivoluzionari dell’ultimo secolo hanno individuato è una sola: dominio o libertà.Riconoscere questo significa già delineare un orizzonte d’azione preciso, significa rifuggire, nella lotta contro il fascismo, tutti quei canali “legittimi”, istituzionali, messi a disposizione dal regimedemocratico: per definizione, questi non potranno mai intaccare le radici che forniscono linfa vitale al fascismo, poiché sono parte del problema. Per dirla di nuovo con le parole di Fabbri, “il fascismo è un alleato dello Stato, un alleato noioso, esigente, incomodo, compromettente, insubordinato, tutto quello che vi pare; ma è un alleato. Come è possibile che lo Stato pensi sul serio di distruggerlo?”Muovendo da queste considerazioni, è forse il caso di far notare, se ancora ve ne fosse bisogno, che non sono le tattiche adottate da un movimento a definirne gli obiettivi, semmai il contrario, e che nella lotta contro ogni sistema di dominio e sfruttamento (capitalismo, Stato, patriarcato, razzismo, fascismo, ecc.) ogni mezzo, ogni strumento utile deve essere preso in considerazione, e non scartato a priori. Per fare solamente un esempio, è sconsolante notare, oggi, come un gran numero di italiani possa ritenere la Resistenza partigiana – movimento che si avvalse di una diversità di tattiche, tra cui una lotta armata fatta a colpi di bombe e fucili, sabotaggi ed espropri – uno dei momenti più alti della storia italiana, e allo stesso tempo condannare gli attuali movimenti antifascisti per l’impiego di metodi ritenuti “violenti”.
L’importanza di tutto questo appare più chiara se si considera che, a differenza di quanto l’ideologia egemone sostenuta dai media e dallo Stato vogliono farci credere, fascismo e antifascismo non sono delle semplici opinioni, degli argomenti da buttare nel “libero campo delle idee”, e che vinca il migliore. Questa visione delle cose non tiene conto del fatto che nella nostra società vi sono enormi disuguaglianze nelle concentrazioni di ricchezza e potere, perciò i termini del dibattito sono falsati in partenza: chi controlla i mezzi di comunicazione detta le regole del gioco. Soprattutto, fintantoché ci saranno persone e istituzioni in posizioni di potere che beneficiano dell’esistenza di ideologie reazionarie, queste continueranno ad esistere a meno che non vengano distrutte le stesse istituzioni che le fomentano, non importa quanto convincenti possano essere i nostri argomenti. Con la pubblicazione di questo testo di Peter Gelderloos, attivista anarchico statunitense immerso nel vivo delle lotte sociali, vorremmo portare un contributo che possa fornire strumenti di analisi utili per una comprensione del fenomeno del fascismo, della sua genesi storica, delle cause che ne permettono l’esistenza e che tutt’ora, in una fase storica caratterizzata da uno stato di “crisi permanente” e di “cannibalismo sociale”, ne stanno determinando la crescita, al fine di trarne suggerimenti pratici per la costruzione di un movimento autenticamente antifascista.

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Note dell’Archivio
-Traduzione del testo “Fascists are the Tools of the State”
-Traduzione a cura di Collettivo Exarchia di Bologna

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