Edito da Sicilia Punto L, Ragusa, Giugno 1988, 112 p.
Nota Editoriale
Ci è sembrato estremamente opportuno riproporre oggi questo lavoro di Paolo Schicchi su “La Guerra e la Civiltà” per la pungente attualità che sprizza da ogni concetto, e per soddisfare un’esigenza nostra di contrapporci, anche in questo modo, alla campagna antiaraba, a difesa dei“valori di civiltà dell’Occidente”, che ogni giorno, da tempo, siamo costretti a subire, ieri per giustificare un bombardamento omicida amerikano a Tripoli, oggi per ammantare di un fumo di omertosa complicità il genocidio palestinese da parte dello Stato d’Israele. Il terzo motivo era quello di dare spazio, il giusto spazio, a Paolo Schicchi,nel contesto della cultura rivoluzionaria e anarchica contemporanea.Se da anni, infatti, ci troviamo impegnati in prima fila contro i processi di aggressione imperialista nel Mediterraneo, dentro i quali la Sicilia ha, suo malgrado, un ruolo centrale per lo spiegamento militare di quell’impero USA autoelettosi a “guardiano” del Mondo Occidentale,e cioè a gendarme e poliziotto del capitalismo e a stupratore e saccheggiatore delle altre “sotto-civiltà”, motivi ve ne sono abbastanza per difendersi anche attaccando,anche sbilanciandosi dalla parte delle vittime, una volta tanto. Come ha fatto Schicchi, il quale, infatti, ci ha dato una quasi apologia del Mondo Arabo, confutando tutte le amenità, i luoghi comuni, i pregiudizi, le chiusure mentali, il razzismo, eletti a supporto dell’aggressione italiana contro la Libia. E giustamente Schicchi faceva pendere la bilancia dalla parte degli arabi; egli non scriveva per mera esercitazione letteraria da sbandierare nei gratificanti salotti intellettuali dell’epoca, contro i quali si poneva polemicamente (vedi i graffianti riferimenti a Papini, alla Serao e ad altri), ma conduceva una battaglia dai toni duri; egli usava la polemica come strumento di lotta politica e ideologica, non disdegnando, come tutta la sua vita aveva dato e darà atto, di usare ogni altro mezzo per portare avanti la pratica rivoluzionaria. E la serietà, la documentazione riportata, giocano a favore di quella verità storica che, allora come oggi, si cercava di offuscare, il che ridimensiona gli spunti apologetici a quel modo tutto suo di scrivere e polemizzare.Si consideri il particolare momento, la ricerca da parte del Potere savoiardo del “posto al sole”, la campagna imbastita a giustificare il “barbaro ” saccheggio italiano, proseguito poi col fascismo, e si vede come le parole di questo testo abbiano assunto un significato importantissimo, sia per la portata “provocatoria”, sia perché mostrarono in altra luce personaggi insospettabili in realtà complici ideologici e pratici dell’“ubriacatura tripolina”. Un’avventura che oggi è divenuta tabù per lo Stato italiano; uno scheletro nell’armadio giustamente tirato fuori dalle vittime,ma che il governo “antifascista nato dalla resistenza” evita di riportare all’aria aperta. Ancora oggi un film su quegli orrori è proibito in Italia, e chi lo trasmette viene sottoposto a denunce e repressione; mostrare le stragi del colonialismo italiano, che non è stato da meno d’ogni altro, è dunque un reato; si schernisce un Gheddafi quando ricorda le forche, le stesse di cui il “Giornale d ’Italia” parlava con questi toni: “Indubbiamente per gli arabi la forca è il solo mezzo di dominazione”. D’altra parte, quella degli arabi non vuol essere per noi— siciliani — solo una difesa di principio; è difendere una storia, una cultura, da “saraceni di Sicilia” oggi risucchiati nell’orbita di sistemi nord-occidentali; è, quindi, anche un modo per sottolineare un processo storico di colonia,6subito ininterrottamente dalla Sicilia (ma non senza reazioni), e la continuità del regime capitalista, colonialista,autoritario di oggi, con quelli di ieri succedutisi sull’isola.Eccetto per il periodo arabo, che certo fu, come Schicchi spiegava bene, fra tutti il meno rovinoso, quello maggiormente produttore di elementi innovativi, di progresso in ogni campo, dall’agricoltura alle arti, dal costume alla letteratura, ecc.Certamente il lavoro ha anche dei limiti; si ricordi che è stato scritto oltre settanta anni fa; si riscontrano giudizi e affermazioni che la moderna antropologia ha precisato meglio, se non superato. Così come mancano considerazioni critiche sull’autoritarismo islamico, sul ruolo affidato alla donna nel Mondo Arabo; il lettore vi potrà trovare sparuti passi sui turchi o gli ebrei che potranno far gridare al “razzismo”, ma che sono riferiti al dominio degli Stati e delle classi dominanti, e perciò facilmente riassorbibili nel contesto storico in cui, con particolare violenza queste entità statali e nazionali si rapportavano l’una con l ’altra, per il predominio reciproco. Schicchi, dunque, da anarchico, nemico di ogni Stato e di ogni autorità, si proponeva di “ricordare che i conquistatori d ’ogni razza, d ’ogni tempo e d ’ogni luogo si somiglian tutti, come tante gocciole d ’acqua, nei pensieri, nelle parole, nei sentimenti e nelle azioni”. E noi oggi lo riproponiamo, in solidarietà con i palestinesi, i sudafricani, gli indiani d ’America e gli oppressi di tutto il mondo.
Note dell’Archivio
-“La guerra e la civiltà. Mondo arabo e aggressione occidentale” è inserito come introduzione ai due drammi “La morte dell’aquila” e “Tutto per l’amore”, pubblicati a Milano senza data (tra il 1912 e il 1915).
-Nel libro sono inseriti in appendice i testi di Arturo Schwartz, “Aldilà degli slogan”, Michele Corsentino, “Profilo di Paolo Schicchi”, e Natale Musarra, “Documenti di questura e articoli di giornali concernenti Paolo Schicchi (1890-1895)”