Edito da Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo, Chieti, Ottobre 2009, 93 p.
Nota Introduttiva
Edoardo Puglielli. L’autoeducazione del maestro, pensiero e vita di Umberto Postiglione (1893-1924), Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo, Chieti, luglio 2006, pp. 128; Battaglie e vittorie dei ferrovieri abruzzesi, Sulmona, L’Aquila, Castellammare, Avezzano, 1894-1924, idem, dicembre 2006, pp. 190; Anticlericalismo e laicità nel socialismo aquilano (1894-1914), bozze di stampa. Puglielli (o piuttosto Edoardo, come ama chiamarsi e far- si chiamare, non soltanto per moda giovanilistica) è, per l’appunto, un giovane di trent’anni che da Popoli (Pratola Peligna!) rinverdisce una tradizione sovversiva protrattasi attraverso l’intero Novecento da Nerino Fracasso a Natale Camarra con al centro la personalità emblematica di Nicola Costantini: e la rinverdisce non soltanto grazie alla concreta militanza libertaria ma alla luce di un’attività di ricerca assoluta- mente torrenziale, come ho voluto sottolineare mediante le insolite precisazioni cronologiche dell’intestazione della presente nota. La quale nota ho preferito sostituire alla prefazione che Edoardo, con stima e con rispetto (sono i sentimenti che continuano a manifestarmi tanti giovani, spesso anonimi, e che mi ripagano delle amarezze inflittemi da questa nativa regione nella quale, checché ne fantastichi Umberto Dante, ho non già il privilegio ma la disgrazia di vivere) mi aveva sollecitato per il suo ultimo lavoro, che perciò mi ha presentato in bozze, accompagnandolo con un paio di pubblicazioni dei mesi precedenti che, si badi, non sono le uniche, ma si inseriscono in un gruppo consistente sempre animato da spirito anarchico, rivendicativo e protestatario. Ed ho preferito fare così per poter richiamare l’attenzione di un meno esiguo pubblico su questa produzione, che esiste e vigoreggia in Abruzzo, oggi che alla classica Samizdat pescarese si è affiancato un centro studi chietino doverosamente intitolato a Di Sciullo, senza che da parte dell’ufficialità accademica ed istituzionale in genere si mo- stri per essa quella cura che sarebbe altrettanto doverosa ed indispensabile, al di là della carenze molteplici e gravissime che non sarò certo io, con la stima e col rispetto che ricambio di gran cuore agli amici sovversivi, a mancare di rilevare. Ho già usato un paio di volte, e credo di dover adoperare per tutta l’intera atmosfera che ci concerne, come del resto fa più volte lo stesso Edoardo, il termine sovversivo ad omnicomprendere, per così dire, le svariate sfumature che l’atmosfera medesima presenta e quasi ostenta, e che già in seno all’anarchismo risultano visibilissime, per estendersi poi, storicamente parlando, all’intransigentismo più o meno rivoluzionario, al sindacalismo, al mussolinismo, al massimalismo, a certe forme di comunismo, di fascismo, di dannunzianesimo, e chi più ne ha più ne metta, tutti alla meglio tenuti insieme da quella aspirazione radicale a subvertere, al mettere sottosopra, senza poi trovarsi neppure lentamente d’accordo sul che cosa edificare, con la quale etichetta non a caso era la polizia a tenerli formalmente insieme un po’ tutti, come qualcosa di latamente negativo, di genericamente pericoloso, che per il momento non si poteva e non si doveva fare altro, da Bakunin a Malatesta, ma non soltanto a loro, che reprimere indiscriminatamente. In quest’ambito, per tornare all’Abruzzo, e per limitarci alla ricca fioritura dell’ultimo decennio, segnaleremo le ricerche sulla presenza anarchica nell’aquilano (Cicolani 1997), sugli anarchici abruzzesi nel periodo giolittiano (Calice 1998), su Carlo Tresca (autori vari 1999), su internazionalisti e repubblicani in Abruzzo 1865-1895 (Di Leonardo e Bentivoglio 1999), su Virgilia D’Andrea (Piccioli 2002), sul- l’Abruzzo “rosso e nero” (Puglielli 2003), su Camillo di Sciullo (Palombo 2004), su Luigi Meta (Puglielli 2004), alla quale va aggiunta quanto meno la recente indagine marsicana su Francesco Ippoliti. Balza subito all’attenzione l’assenza della figura senza paragone più rappresentativa dell’anzidetto sovversivismo, anche se torbida e burrascosa ben al di là della lineare e solida robustezza con cui Di Sciullo, tanto per fare il più cospicuo esempio, ha sviluppato il pensiero libertario, non esclusivamente sulle colonne dell’eccellente, interessantissimo foglio che reca quel titolo. Intendo riferirmi, si capisce, ad Ettore Croce, e non soltanto al tribuno, ma anche e soprattutto all’editore, al pro- motore di cultura in senso lato, il cui compito di propaganda e mediazione su orizzonte senz’altro nazionale attende ancora di venir esaminato a dovere. Ma ci sono altri nomi che urgono nello stesso senso, si pensi a Manlio D’Eramo, per esempio, a questo repubblica- no che si colloca formalmente, per così dire, all’estrema de- stra del mondo sovversivo, ma la cui definizione critica è imprescindibile se si vuol comprendere bene la Sulmona del primo quarto del Novecento, e non soltanto Sulmona, in una dialettica con Tresca e Trozzi, tanto per fare i due nomi più rilevanti e conosciuti, tutta da precisare o addirittura da scoprire. E, sempre per restare a Sulmona, quando cercheremo di sapere e di capire se e in qual misura esponenti nazionali del socialismo riformista e massonico quali Arnaldo Lucci ed Attilio Susi abbiano operato sulla città nativa? E chi sia stato davvero, prima e dopo la deputazione massimalista, Bruno Cassinelli? E quello stravagante di Federico Mola? E così via dicendo. Ampio come da arare, dunque: per la quale aratura, tuttavia, e qui torniamo finalmente all’ottimo Edoardo, ma non a lui soltanto, s’intende, non basta assolutamente scorrere sempre, ed in via esclusiva, la stampa di partito e le carte di polizia, con la quale documentazione si fa apologia, s’informa, forse, ma non si fa certamente storia, non si comprende, per trasferirci brevemente all’Aquila, e per fare un unico grosso esempio, chi sia stato davvero l’arcivescovo Carrano a prescindere dalle trivialità della “fogna clericale”, con i suoi tentativi di azione cattolica da cui sono venuti fuori i preti del giornalismo, del segretariato dell’emigrazione, del partito popolare (e non si parla dei vescovi di Sulmona e di Gennaro Sardi, degli interlocutori ed avversari di Di Sciullo a Chieti, dalla variegata società pescarese, del socialismo a Penne e della sua assenza a Lanciano, del fenomeno Celli a Tera- mo e di tutto il retroterra bloccardo che gli sta alle spalle). Già questi brevissimi cenni stanno dunque a ribadire la cautela con cui occorre procedere sul terreno di quella che è l’ultima fatica ancora inedita di Edoardo, alle origini, benissimo, i reduci garibaldini (ma qui andrebbe rivisitato il ruolo dell’Aquila e della Marsica nella preparazione di Mentana, da Pietro Marrelli ad Orazio Mattei), poi i bakuninisti, ma tenendo ben distinto il limpido e patetico Carlo Leoni dagli 9arruffoni sconclusionati alla Pisarri ed alla Tommassetti, e così via via il socialismo cristianeggiante anticattolico che confondeva nella barba e nel rosso della veste Cristo, Garibaldi e Marx (precisante questa era l’immagine che aveva condotto Panfilo Sclocchi, prima che il terremoto l’uccidesse, ad essere il sindaco di Pescina) mentre Giordano Bruno, porta Pia, Francisco Ferrer, appartengono ad un mondo diverso, inconfondibilmente borghese, i cui protagonisti, per rimanere in ambito aquilano, possono essere gli insegnanti forestieri, e gli imminenti interventisti alla Chiarizia ed alla Marinucci, ma non certamente i lavoratori.
In altre parole, quando Edoardo ci ha fatto la cronaca accuratissima degli interventi del periodico socialista «L’Avvenire» e di qualche sparso ed occasionale foglio anarchicheggiante (ma senza dirci che Piccinini era giovane di studio dell’avvocato Lopardi, che Urbani sarebbe diventato il più conformista dei verseggiatori locali e Pighetti deputato fascista, ancorché nel risvolto sovversivo che si è accennato) nei più svariati settori dell’anticlericalismo e della laicità, non riusciamo ancora a cogliere le ragioni per le quali, tanto per starci alle sue stesse constatazioni, sia un prete a sfidare in contraddittorio Emidio Lopardi, siano in molti i proletari che trasmigrano nelle organizzazioni cattoliche (mentre la camera del lavoro fa vita rachitica stentatissima, e perché?), sia il bloccardismo (di cui mai non si parla espressamente et pour cause) ad ispirare nel quinquennio a cavallo del 1910 le rivendicazioni del 20 settembre e le campagne per il divorzio e contro l’insegnamento religioso, ancora sentite ed avvertite di fatto (anche se culturalmente a torto) come prettamente borghesi, a non parlare del libero pensiero, tutto intellettualistico e professionistico, sia l’emancipazione del- la donna infine (non parliamo del libero amore!) a segnare il passo quando si tratti di certe condanne moralistiche in clamorosi casi di cronaca, o dell’ingresso concreto, massiccio, nel mondo del lavoro, le operaie del cotonificio Tobler. Sfumature del genere non vanno trascurate anche a proposito della vicenda abruzzese di un sindacato poderoso e tradizionalmente gelosissimo della propria autonomia e del- le proprie capacità tecniche (l’autogestione delle linee) come quello dei ferrovieri, un discorso che, dal punto di vista regionale, si accentra su Sulmona, e sostanzialmente su due forti figure di leaders assai ben rimarcati sotto un profilo politico massimalista ante litteram, Vincenzo Scapaticci e Quirino Perfetto, mentre, tanto per non perdere di vista l’accennata esigenza di distinzione, un esponente altrettanto qualificato ed attivo come Patrizio Monreale si adatta di buon grado a fare tranquillamente il consigliere comunale all’Aquila. Nel capoluogo infatti l’incidenza sociale e politica dei ferrovieri è obiettivamente assai meno considerevole che a Sulmona ed a Castellammare, nella quale ultima località, com’è noto, essi si inseriscono in prospettiva urbanistica nel- l’opera di governo dell’amministrazione socialista Basile con risultati che la sensibilità odierna va sempre meglio positiva- mente valutando ed apprezzando. Ed eccoci infine in questa necessariamente veloce carrellata ad un personaggio indiscusso ed indiscutibile come Postiglione, al quale il Nostro si accosta simpateticamente anche grazie alla sua personale qualifica professionale, che è precisamente quella di studioso di scienze pedagogiche. In questo campo, com’è noto, emerge la figura indubbia- mente, schiettamente libertaria nel miglior senso del termine, che da Raiano all’America e di nuovo in Abruzzo fino alla morte dolorosamente immatura poco più che trentenne, ebbe con altrettanta certezza una vocazione prepotente, improvvisa ma assolutamente impressionante, il maestro che s’innesta sul giornalista e sull’oratore della propaganda anarchica e del sindacato operaio con i risultati che in meno di un paio d’anni lo conducono agli straordinari esiti del novembre 1923, quattro mesi prima della scomparsa, la relazione al convegno magistrale dell’Aquila che leggiamo più che opportunamente riproposta. Senonché, mentre il pedagogista risalta a luce meridiana, il propagandista ed il sindacalista d’oltre Oceano vengono a definirsi con assai mino- re chiarezza, così nello studio approntato sollecitamente post mortem di Marchesani come nell’assai più tarda raccolta di scritti sociali curata da un suo compagno d’armi appunto in quella propaganda ed in quelle lotte operaie come Venanzio Vallera. Non solo: ma la splendida relazione, tutta fitta contesta di richiami a Croce ed a De Sanctis, ma anche ad un “certo” Mazzini, è affidata a Postiglione da un Giovanni Ferretti che intanto è provveditore regionale agli studi per l’Abruzzo in quanto vicinissimo al Gentile ministro dell’Istruzione, quel Gentile il cui pathos percorre da un capo all’altro il testo del Nostro, magari accentuato nella chiave tecnica che ad esso conferiva da poco meno di un ventennio Giuseppe Lombardo Radice non a caso direttore generale dell’istruzione primaria. In altre parole a me sembra che dalla casa del popolo di Raiano alla scuola elementare di S. Demetrio attraverso quel libro di testo di cultura regionale che, altrettanto non a caso, Ferretti gli aveva affidato nella geniale prospettiva elaborata appunto alla Minerva da Lombardo Radice (ed in Abruzzo si sarebbe affiancato al Nostro un esperto come Berengario Amorosa mentre nel Molise avrebbe tenuto significativamente il campo un poeta, Eugenio Cirese) il Postiglione 1923 sia entrato genuinamente, decisamente in un clima gentiliano che risente solo dal punto di vista emotivo, temperamentale, del d’altronde affine background libertario, clima, si badi, che non vuol dire affatto fascista, prova ne sia il distacco o addirittura l’opposizione che nei confronti del regime seppero con maggiore o minore prontezza assumere rispettiva- mente Ferretti e Lombardo Radice. Ma nel libro di Edoardo c’è anche una succosa appendi- ce, non tanto magari il dramma sociale “roboante” per dirla con Vallera ad altro proposito, quanto la mirabile lettera 10 agosto 1915 da Seattle con la quale il ventiduenne Umberto respinge l’invito dei genitori a tornare in Italia per combattere la guerra della monarchia e della borghesia, respingendo al tempo steso il menzognero concetto di patria che ani- ma quella guerra in pro di un altro più nobile ed elevato concetto che, a questi chiari di luna di orgia patriottarda, noi uomini del Duemila faremmo bene a non perdere di vista. E non solo i chiari di luna di oggi: Edoardo fa benissimo a ricordare la ristampa 1960 Giannangeli del volume 1925 di Marchesani, quella ristampa pavida, conformista e malamente scorretta su cu si esercitò a suo tempo il sacrosanto sarcasmo di Antonio Gasbarrini: benissimo, il mostro sacro Ottaviano Giannangeli si prosternava nel 1960 al regime democristiano così come il buon Marchesani non aveva fatto nel 1925 dinanzi al fascismo trionfante (che si era quanto meno astenuto dal perseguitarlo): la cupidigia di servilismo è sempre fiorente e feconda tra noi: anche per questo, leggere le pagine ed i fatti degli anarchici non ha fatto e non farà mai male.
Raffaele Colapietra L’Aquila, agosto 2007