Edito da Biblioteca del Novatore, Roma, 1911, XI+171 p.
Libero Tancredi dà al pubblico un libro non soltanto onesto, perchè sincero, ma coraggioso. Chi scrive così non ha la preoccupazione del pubblico. Conosco negatori, sovvertitori, pamphletisti, rivoluzionari d’ogni casella che hanno una tale preoccupazione e, scrivendo, assumono pose studiate, come dinanzi allo specchio gli avvocati e i demagoghi sciocchi e vanitosi o le bellezze femminili malsicure e si mettono in guardia verso se stessi, illusi che il solo fatto di chiamarsi o essere chiamati dinamitardi salvi dal rappresentare un personaggio ipocrita nel dramma letterario delle idee. La preoccupazione del pubblico è capace di ridurre un uomo a gittarsi – come suol dirsi – nelle file rivoluzionarie per la paura d’essere creduto pauroso e di costringere un altro eroe a mettere insieme, per esempio, Giordano Bruno e Francisco Ferrer per timore di non apparire abbastanza anticlericale. Libero Tancredi, schietta tempra d’uomo libero, s’infischia del pubblico e d’ogni pubblico. È tale chi abbia molte cose da dire e ne abbia sempre nuove da dire. Questo mio fratello d’armi – sono un po’ vanitoso nel dargli un siffatto titolo, perchè egli è certo più giovane di me d’anni, per iscritto e a voce è una tempesta di idee. Tancredi è, finalmente, una vivente opinione non di setta, perchè anche l’individualismo anarchico è settario nei più dei casi. Quando lo si legge o lo si ode, ci si accorge che egli non deve nulla ai gruppi, alle frazioni, alle scuole, ai testi, alle cento e una diavolerie sistematiche delle caste in giacca o in maniche di camicia. Dagli anarchici ha imparato ad essere libero; dalla libertà ad essere lui. Io sono assai lieto che egli sia venuto a me. S’è accorto che, per me, non è bella, non è buona, non è vera, non è sana e feconda se non l’idea che esce tutta vampante e vibrante, elica rischiosa e vertiginosa, dalla fucina del mio spirito, del suo spirito, quella che, scaturendo, dà lo strazio gioioso d’un amplesso felice. L’argomento del presente volume è – come si dice in giornalismo diplomatico – quanto mai delicato. Ma Libero Tancredi, intelletto libero, diffida delle opinioni generali, dei motivi follaiuoli, delle frasi fatte di cui s’ammantano o si coronano le varie Compagnie di Gesù massoniche, socialistiche, popolaresche, democratiche. C’è, nel libro, il bisogno di rivedere tutta e daccapo la grande faccenda ferreriana. Gagliarda, simpatica volontà, indizio di quell’istinto di superamento continuo che, diciamolo, è poi per l’appunto ciò che si chiama coscienza morale e pensiero responsabile e partito preso che rende conto di sè. Io vado più in là di Libero Tancredi nel giudizio su Ferrer: l’ho scritto da un anno oramai; e mi sento offeso quando rileggo per la centesima volta sui fogli bloccardi l’abbinamento di due nomi: del mediocre professore massone e libertario di scuola tradizionalista che si dichiarò innocente dinanzi ai giudici militari e che trova nei seguaci clamorosi dei proclamatori e documentatori della sua innocenza, con quello di Giordano Bruno! Tancredi fa opera documentaria e riesce ad essere sereno ed equilibrato, egli così veramente anarchista, in un libro tutto tendini e cervello, sincero, denso, ricco, il libro dell’anarchia che generosamente si profonde e gode dell’organismo dialettico solido, della fine linea descrittiva, del plasma estetico tutto proprio. Veggo, a traverso queste pagine come a traverso lo spiraglio d’un carcere tedioso l’azzurro, il cielo d’una liberazione intellettuale per il nostro mondo rivoluzionario.
Paolo Orano, Roma 12 Agosto 1911