Edito da BFS, Pisa, Aprile 1994, 352 p.
Premessa
Oggi giorno i Kurdi sono un popolo di oltre 30 milioni di persone. Hanno una propria storia, lingua, cultura e tradizioni millenarie, vivono nella loro patria: il Kurdistan, situato in una regione di grande interesse strategico per la Comunità internazionale, e diviso fra Iran, Iraq, Siria e la Turchia. Sono privati dei semplici e fondamentali diritti umani, sottoposti ad una incessante repressione; la loro identità nazionale, la loro lingua, i loro costumi sono interdetti, vivono in una condizione tremenda, sul piano politico, economico, culturale. Sono considerati “cittadini di serie b”. I villaggi kurdi vengono distrutti, gli abitanti sono deportati lontano dai territori di origine e spesso internati in campi di concentramento. L’uso di armi chimiche contro la popolazione civile del Kurdistan, la presa di ostaggi, il rapimento di bambini, la fucilazione di massa, l’oltraggio alla dignità umana sono episodi talmente ordinari e quotidiani che si può parlare di un vero e proprio genocidio, di un crimine contro l’umanità intera. Eppure tutto ciò avviene nella totale indifferenza delle organizzazioni dell’ONU, in un mondo dove le più semplici violazioni dei diritti umani suscitano la commozione della pubblica opinione e vengono denunciate e condannate fermamente. I Kurdi, invece, non hanno fatto e non fanno notizia a livello internazionale; i mass media, l’opinione pubblica e gli organismi competenti per la difesa dei diritti dell’uomo e dei popoli non si sono occupati della loro sofferenza fino allo scoppio della guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait. In quell’occasione la questione kurda per la prima volta è salita alla ribalta delle cronache come uno dei problemi cruciali del Medio Oriente. Ma il dramma del popolo kurdo è antico, l’elenco dei massacri e degli stermini subiti sarebbe assai lungo; gli orribili crimini perpetrati da Iran, Iraq, Siria e Turchia a danno dei Kurdi per molto tempo sono stati ignorati e tollerati dalla Comunità internazionale. Tutto questo è avvenuto perché il problema kurdo finora è stato considerato un affare interno (dominio riservato) degli Stati occupanti il Kurdistan. Come conseguenza di ciò i Kurdi, sono stati ingiustamente privati di ogni status giuridico come po polo, come minoranza, come esseri umani degni di protezione da parte della Comunità internazionale. Con la fine dell’era della guerra fredda e dei blocchi contrapposti si è parlato sempre di più di solidarietà, di cooperazione e di interdipendenza, di rispetto dei diritti dell’uomo e dei popoli e di un nuovo ordine mondiale basato sulla giustizia e sul rispetto del diritto. Perciò abbiamo ritenuto necessario presentare la tragedia del popolo kurdo proprio alla luce del “rispetto dei diritti umani e dei diritti dei popoli”, così tanto osannati in questa fase storica e politica. Quando uno di questi nobili principi viene violato si commette un crimine a danno dell’umanità e tutti sono chiamati ad agire contro i responsabili, soprattutto l’ONU e le sue organizzazioni. Gli Stati di Iran, Iraq, Siria, e Turchia hanno sottoscritto numerosi accordi concernenti i diritti umani, i diritti dei popoli, la discriminazione razziale, il genocidio, l’uso di armi chimiche e biologiche, ecc., ma li hanno violati e calpestati in modo continuo e palese a danno del popolo kurdo, senza subire alcuna denuncia da parte dell’ONU in virtù del principio di non ingerenza negli affari interni dei suoi membri. In questo lavoro si è cercato di analizzare l’affare interno (dominio riservato), avanzando il dubbio se il problema kurdo costituisca о meno un’affare interno. In ogni caso ci siamo chiesti se tale questione debba essere ignorata dalla Comunità internazionale, in particolare dall’ONU. Quest’ultimo è intervenuto in numerose situazioni analoghe a quella kurda; la sua attenzione è stata rivolta a molte aree calde del pianeta: Palestina, Libano, Afghanistan, Salvador, Sud Africa, Congo, Cipro, Cambogia, Angola, Mozambico, Nagorno Karabakh, Moldavia, Abkhasia, Sahara occidentale e recentemente ex Jugoslavia e Somalia, ecc. I caschi blu sono stati inviati in numerose zone dove è in corso un conflitto sia di carattere internazionale, sia di carattere interno. L’unica anomalia è rappresentata dal caso kurdo. Dalla fine della prima guerra mondiale, neLpaesi coinvolti nell’“imbroglio kurdo” è in corso una guerra di liberazione nazionale del Kurdistan che vede contrapposti i Movimenti kurdi nei diversi Stati occupanti il Kurdistan e i rispettivi governi centrali. Solo dopo la fine della guerra per il Kuwait (17 gennaio-28 febbraio 1991 ), la questione kurda irachena è arrivata per la prima volta al Consiglio di Sicurezza-CdS delle NU. Sono passati tre anni, ma la situazione dei Kurdi non è cambiata; l’ONU non ha intrapreso nessuna iniziativa per una soluzione politica e pacifica; si è parlato solo dei Kurdi iracheni, ignorando quelli negli altri Stati. Anche nei paesi democratici dell’occidente il problema kurdo non suscita più interesse per l’opinione pubblica, nemmeno negli ambienti sensibili ai diritti dei popoli, ai diritti umani, ai temi della pace, della solidarietà e della cooperazione internazionale. In Italia, dove esiste un grande e variegato movimento attento alle suddette tematiche, il problema kurdo rimane tuttora ignorato. Paradossalmente, quando alla fine questo arcipelago di forze ha preso posizione sul caso kurdo, ha finito quasi per assumere il punto di vista del responsabile del genocidio kurdo ossia di Saddam Hussein. Infatti tale movimento in passato ha trascurato totalmente resistenza dei Kurdi di Iran, Siria, Turchia. Nel settembre 1992 una delegazione, composta da uomini di grande serietà morale, impegnati su vari campi per la difesa della pace, dei diritti umani e dei popoli1 ha visitato l’Iraq, ha manifestato la sua solidarietà a Saddam Hussein e ha incontrato numerosi dirigenti del regime. Ci siamo rammaricati per il fatto che la delegazione non ha visitato i territori kurdi. Nella parte kurda del paese, come è noto, esistevano già un Parlamento e un governo kurdo, eletti democraticamente dalla popolazione. Purtroppo la delegazione italiana non ha ritenuto necessario visitare e conoscere questa “reale opposizione”. Sembra che la delegazione italiana abbia dimenticato che il vero responsabile della sofferenza di tutti gli Iracheni (kurdi, arabi, sciiti, sunniti, cristiani) è il regime di Saddam Hussein, che tuttora continua a infliggere loro nuove sofferenze. Ci siamo spesso rattristati anche per la mancanza – nonostante reiterate sollecitazioni – di una parola di attenzione del Santo Padre rivolta ai Kurdi, dimenticati anche in occasione delle feste di Natale e di Pasqua. In tali cerimonie il Papa continua a ricordare la sofferenza di molti popoli, ma non dei Kurdi. Tuttavia, in questi ultimi anni, gli Italiani hanno espresso in varie forme solidarietà al popolo kurdo; molta gente semplice si è impegnata con entusiasmo in suo favore, tanti si sono recati in Kurdistan a vedere con i propri occhi la situazione. Un numero sempre maggiore di istituzioni, enti locali, sindacati e singoli individui stringono rapporti di solidarietà e di amicizia con le organizzazioni e le popolazioni del Kurdistan. Dopo il fermo di due turisti italiani da parte dei guerriglieri di PKK (agosto-settembre 1993) e l’arresto del portavoce di PKK, Ali Sapan, da parte delle autorità italiane, i mass media hanno dedicato molta attenzione alla questione kurda. In seguito a ciò un gruppo di parlamentari (Chiara Ingrao per il Pds, Giovanni Russo Spena per RC, Emilio Molinari per Verdi, Raffaele Tiscar per DC, e Roberto Visentini per Lega Nord), si è recato nel Kurdistan turco (13-15 settembre 1993). Alla fine la questione si è conclusa felicemente, ma il governo italiano continua a fornire armamenti sofisticati allo Stato turco per la repressione dei Kurdi. Una soluzione pacifica e politica per la questione kurda è fondamentale per la pace, la stabilità, la democrazia parlamentare, il pluralismo politico, etnico, religioso e per il rispetto dei diritti umani non solo nei paesi dove vivono i Kurdi, ma, crediamo, per tutto il Medio Oriente. Tale soluzione è indispensabile anche per lo sviluppo economico, sociale, culturale dei popoli della regione. […]