Massara Katia, Greco Oscar, “Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi”

Edito da BFS, Pisa, 2010, VIII+248 p.

Prefazione di Maurizio Antonioli
Questo libro, che per me è un piacere presentare, appare utile perché ci indica, o ci conferma una volta di più, a quale punto sia giunto lo stato di avanzamento degli studi su una componente rilevante del movimento operaio italiano, il movimento anarchico. Potrà sembrare inusuale iniziare la presentazione di un libro da considerazioni di ordine metodologico, e quindi specialistiche e per addetti ai lavori. Nondimeno questo mi pare il punto di vista euristicamente più interessante e ampio, quello che rende meglio l’interes­se di questo studio nonché la sua importanza nel definirne i legami con i lavori che lo cir­condano e le prospettive che ne possono scaturire. Vorrei partire, in queste mie brevi considerazioni, da una metafora coerente con la mia sempre coltivata, parallela, passione per la storia dell’arte. La storiografia del movimento anarchico, praticata per lungo tempo da molti studiosi con strumenti diversi, da angolazioni differenti, mossi da passione scientifica e sovente politica, è un affresco che ormai ha svela­to in gran parte il suo complesso e articolato soggetto. Alcuni studi di una fase pionieristica ormai lontana, di cui molti ricorderanno fra le caratteristiche principali i guizzi istintivi, gli spunti originali, la forte partecipazione da cui erano mossi, ebbero il merito di delimitare il perimetro dell’opera, di tratteggiarne il pae­saggio, di delinearne il profilo e lo sfondo. Per molto tempo il lavoro degli studiosi proseguì poi nel raffinare questo sfondo, nel definirne i contorni fino a renderlo preciso nei tratti e accogliente per i personaggi che avrebbe ospitato. Poi, per alcuni versi consapevolmente e per altri in modo irriflesso, alcu­ni anni fa si preparò un passaggio di fase da parte della quasi totalità degli studiosi che fino a quel momento avevano lavorato all’affresco. Mancavano, è vero, alcuni dei pionieri e fra gli altri si avvertiva la mancanza di Pier Carlo Masini, che, da grande conoscitore del movimento libertario, aveva avuto un ruolo certamente centrale nell’indicare la stra­ da da seguire e nell’ispirare l’opera. Questo passaggio di fase, a testimonianza della sua fondamentale importanza, dopo alcuni momenti interlocutori e tentativi falliti, ebbe bisogno di alcuni anni per maturare, ma infine si realizzò. Quando oltre un centinaio di studiosi, appassionati, riuniti attorno ai principali centri studi del movimento anarchico e in stretto collegamento con alcune strut­ture universitarie, sostenendo uno sforzo collettivo e comune di oltre due anni, riuscirono a realizzare il Dizionario biografico degli anarchici italiani, si passò, sempre per rimane­ re nella nostra metafora, alla raffigurazione, sullo sfondo suggestivo ormai ben definito, dei personaggi fondamentali dell’affresco del movimento anarchico italiano.
Ho scritto diverse volte dell’importanza di ricostruire e sistematizzare le biografie di molti personaggi di primo piano e di tessere la trama delle loro relazioni attorno ai momen­ti centrali che avevano segnato l’evoluzione della storia a cui essi appartenevano; e di come il prodotto di questo intenso lavoro abbia permesso infine di riavviare un nuovo corso della storiografia del movimento anarchico. Sono troppo modesti gli autori di questo studio quando definiscono il loro lavoro “com­plementare” a quello del Dizionario; poiché in realtà il loro lavoro, come altri incentrati su singole biografie che ho avuto modo di apprezzare in questo decennio ormai trascorso dal­ l’avvio del progetto nazionale, in realtà non solo proseguono, ma danno un senso al Dizionario e alla ulteriore fase degli studi, tuttora aperta.
Una fase in cui fra lo sfondo, senza il quale i protagonisti avrebbero galleggiato nel vuoto, e i personaggi di primo piano stessi, è necessario impegnarsi collettivamente per inserire figure apparentemente meno rilevanti e di contorno, ma in realtà di importanza sostanziale per proseguire nell’affresco di un movimento così originale e sfaccettato come quello anarchico. Se il dizionario indicava un metodo di ricerca, questo lavoro lo applica in modo effi­cace e così facendo permette di disegnare, attorno ai ventiquattro calabresi contenuti nel­ l’opera precedente, il coro degli oltre cinquecento schedati quali anarchici nel periodo analizzato.
Il lavoro sistematico di scavo condotto dagli autori, inoltre, permette di con­nettere il ruolo dei primi ai secondi e, così facendo, di articolare i vari livelli di un movi­mento che, come più volte ripetuto e per definizione, sfuggendo a ogni rigida organizza­zione, si incardinava su legami così flessibili e fragili da risultare impalpabili come sono i legami personali nella storia. E stabilendo questo nuovo livello di connessione, si riav­via una nuova tessitura di legami, relazioni, esperienze, luoghi che permette di disvelare una nuova porzione del movimento anarchico e, nel dettaglio, un nuovo paesaggio, quel­ lo di una regione originale come la Calabria. Qui l’identità anarchica, come specie del più ampio genus del movimento operaio, si sviluppa in un contesto socioeconomico difficile, “arretrato” potremmo dire usando i consueti parametri interpretativi. Non a caso, molto più che altrove, ricostruire le singole bio­grafie di “militanti” – quale complessità in un termine come questo, specialmente se ricon­dotto ad un territorio e ad una società come quelli esaminati – significa seguirle in un per­ corso di emigrazione che, più che altrove, è un percorso di ricerca di una vita dignitosa. La spinta ribellistica originale del singolo, qui, non solamente è più “individuale” che altrove, per la mancanza di un contesto associativo di riferimento, ma è forse addirittura più ardua per la presenza, o la mancanza, di fragili articolazioni statali e per l’esistenza di organiz­zazioni ben più “illegali” dell’illegalismo anarchico e operaio. La storia del movimento libertario si intreccia fortemente con i movimenti sociali, ma ancor più con la storia dell’emigrazione non legata a motivi politici ma a mere ragioni di sussistenza, e le cifre riportate al riguardo sono impressionanti. È una considerazione inte­ressante, anzi, quella che indica la politicizzazione del territorio e l’innesco di istanze rivendicative organizzate, associative e mutualistiche, proprio al ritorno degli “americani”, quale conseguenza indiretta dell’emigrazione. Quasi che quest’ultima sia un lungo, tortuo­so e doloroso processo di formazione della rappresentanza degli interessi dei ceti subalter­ni condotto all’estero, sotto la minaccia di repressioni che parlano una lingua straniera, in Argentina o negli Stati Uniti. Infine, questo libro, con l’inserire nell’affresco collettivo le biografie mancanti degli anarchici calabresi, non rappresenta una folla indistinta ma un insieme ben definito di sin­ gole persone; e, una volta ancora, testimonia delle molte vite condotte, contro ogni diffi­coltà opposta dagli uomini e dagli eventi, a riaffermare la propria individualità anarchica, il bisogno di tutelare da tutto un inestirpabile bisogno di giustizia e un’esistenza libertaria.
Milano, settembre 2010

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