1993, 132 p.
I moti carraresi del gennaio 1894 sono stati studiati ed analizzati in maniera diversa da numerosi storici negli anni passati. Tranne che in alcuni casi, queste ricerche tendevano ad avallare la tesi della dimostrazione pacifica, ipotizzandone talvolta una natura spontanea. Inoltre, relativamente pochi sono i lavori riguardanti specificatamente le giornate del 13, 14, 15 e 16 gennaio ’94, mentre più numerosi sono quelli dedicati alla storia dei movimenti politici e sociali del comprensorio apuano di cui tali giornate fanno parte. Se da un lato l’inserimento dei moti in una ricerca storica di ampio respiro avrebbe potenzialmente potuto esaltare e mettere in luce il loro profondo significato, dall’altro ha invece paradossalmente portato ad una lettura superficiale degli stessi. Molti infatti sono stati indotti a vedervi l’ultimo e confuso sussulto di un anarchismo “barricadero” di stampo ottocentesco in via di estinzione. E a conferma di ciò è stato spesso preso ad esempio il sindacalismo di Alberto Meschi, la cui opera e le cui lotte sono state valutate ed analizzate in un senso di rottura e superamento dei metodi e della prassi insurrezionale in voga nel secolo precedente, ricorrendo alla classica metodologia storica marxista di stampo ortodosso poggiante sul cosiddetto principio evoluzionista. In realtà i fatti del ’94 vanno inquadrati come anello di congiunzione tra l’insurrezionalismo precedente e il sindacalismo rivoluziona rio seguente. In essi la pratica della guerra per bande tradizionale si fonde con l’idea dello sciopero generale inteso come miccia dell’insurrezione popolare. In un certo senso le giornate del ’94 anticiparono i tempi. Il sindacalismo anarchico del 1911-14 non farà altro che recuperare e sviluppare quell’idea che nei moti risultava ancora allo stato embrionale, e lo stesso Meschi ammise di dover essere largamente debitore a quegli uomini che combatterono e morirono in quei freddi giorni di gennaio. In definitiva, se una simile metodologia di lotta sindacale riuscì ad imporsi all’interno della C.d.L. di Carrara ciò lo si deve anche al retaggio teorico, spirituale, culturale è psicologico del locale movimento anarchico, di cui le giornate del ’94 rappresentano una chiara ed evidente “messa in opera”. L’utilizzazione dei moti come tassello di un mosaico di analisi storico-marxista di lunga durata ha progressivamente svuotato e svilito il loro studio come evento geograficamente e temporalmente circoscritto. Insufficienti, infatti, risultano le ricerche riguardanti le settimane ed i mesi immediatamente precedenti la rivolta e in particolare sulla preparazione della stessa. In pratica il 1893 si presenta come una sorta di grande “buco nero”, non solo dal punto di vista narrativo-interpretativo ma anche da quello archivistico-documentario. Il terzo capitolo del presente libro è il primo e limitato tentativo di far luce su questa problematica questione. Limitato poiché si basa quasi esclusivamente su documenti di polizia, molti dei quali stilati a posteriori, e quindi doppiamente pericolosi in senso storico. Mancano tutta una serie di fonti quali lettere, opuscoli, manifesti e fogli volanti “prodotte”dagli stessi anarchici, talvolta menzionate nelle relazioni di vari agenti di P. S. in seguito a perquisizioni domiciliari, sequestri ed altro, ma di cui non è rimasta praticamente traccia, neppure sotto forma di copie, nei fondi archivistici, facendone così temere una irrimediabile dispersione. Dunque, il capitolo sulla preparazione dei moti si presenta come una sfida storico-interpretativa, volta ad aprire, o riaprire, un dibattito su una questione per troppo tempo taciuta o addirittura evitata, nella quale si cela la chiave di volta che permetterà di dare finalmente una risposta esaustiva e definitiva alla ricorrente domanda: “furono moti o dimostrazione1?”. Allo stesso tempo si potrà gettare nuova luce sull’anarchismo apuano di quel particolare periodo, chiarendo meglio quella prassi, tattica e strategia di lotta che portarono una città a sollevarsi contro uno Stato monarchico-borghese