Edito da Edizioni Bruno Alpini, 6 Aprile 2012, 78 p.
Pochi personaggi hanno inciso come Armando Borghi sulla storia – in Italia e non solo – dell’anarchismo e del sindacalismo anarchico, eppure ancora oggi il giudizio sul ruolo da lui esercitato è ben lungi dall’essere unanime. Le sue scelte sono tuttora oggetto di dibattito e la sua figura resta controversa. La vita e la attività politica di Borghi hanno attraversato quasi interamente i primi sette decenni del Novecento, interrompendosi solo con la morte nel 1968, alla vigilia della fiammata rivoluzionario del maggio parigino. Gli studi le ricerche e le interpretazioni su di lui non mancano, resta però la sensazione che ci sia ancora da scavare — perlomeno su alcune fasi della sua vita — e da riflettere. Certamente non ci possiamo accontentare degli scritti autobiografici che ci ha lasciato lo stesso Borghi, a partire dal più noto e più importante di essi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), peraltro molto utile e di lettura godibilissima. Ma neanche possiamo ritenere che le ricerche degli storici che si sono occupati della sua figura, con contributi peraltro di alterno valore e affiancando testi storiografici in senso proprio a interventi di carattere più divulgativo, abbiano portato alla luce tutto quello che c’era nascosto e abbiano pronunciato una parola definitiva sui vari temi sul tappeto. Qualcuno potrebbe pensare che, nel panorama ancora piuttosto carente degli studi sull’anarchismo italiano (nonostante i progressi compiuti soprattutto nell’arco degli ultimi tre decenni), Borghi abbia avuto un trattamento privilegiato da parte sia degli storici di professione che dei militanti libertari. Alla sua figura sono stati dedicati ben due Convegni di studi, il primo a Bologna nel 1978 e il secondo a Castel Bolognese nel 1988. Sono state pubblicate monografie di un certo impegno da parte di Maurizio Antonioli (Armando Borghi e l’Unione Sindacale Italiana) e di Emilio Falco (Armando Borghi e gli anarchici italiani (1900-1922). Vittorio Emiliani gli ha dedicato un profilo nel suo libro Gli anarchici. Giampietro “Nico” Berti lo ha inserito, con un intero capitolo, nella sua monumentale opera su II pensiero anarchico promuovendolo così implicitamente al rango di teorico. Esistono numerosi altri saggi, articoli, interventi, schede in dizionari biografici dedicati specificamente a Borghi. Senza dimenticare che riferimenti più o meno ampi all’attività da lui svolta si trovano in molti lavori sulla storia del movimento operaio e socialista italiano e internazionale. A Castel Bolognese, suo paese natale, esiste fin dal 1973 una Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” che ha contribuito a mantenere vivo l’interesse nei suoi confronti e ha promosso iniziative e ricerche. La Biblioteca conserva tra i propri fondi documentari un “Archivio Armando Borghi”, creato nel 1982 e poi sempre arricchito, allo scopo di salvaguardare dalla dispersione la documentazione che lo riguarda (libri e opuscoli, giornali, manoscritti, lettere, articoli, ritagli, fotografie, registrazioni foniche). L’Archivio ormai da tempo costituisce una raccolta di fonti di primaria importanza per ricerche sul personaggio e sul contesto in cui si è svolta la sua attività politica e sindacale. Merita di essere ricordato che nel centro storico di Castel Bolognese esistono anche una Piazza Armando Borghi e un Giardino Armando Borghi, quest’ultimo con un monumento al centro — ideato e realizzato dallo scultore Angelo Biancini — che riporta la dedica, per la verità anodina e sibillina “Ad Armando Borghi un galantuomo che ha onorato l’Italia”. Si tratta in questo caso di iniziative istituzionali, dovute alla sensibilità e alla volontà di amministratori comunali e privati cittadini, che gli anarchici locali non hanno sollecitato ma hanno accolto con favore. Iniziative che dimostrano, in ogni caso, come la figura di Borghi trovi apprezzamento anche in ambiti molto più vasti, e talvolta idealmente e politicamente distanti, rispetto al mondo libertario. Eppure, anche di fronte a una tale messe di iniziative e di studi, non si può non notare che non esiste a tutt’oggi una completa biografìa scientifica di Borghi, come quella ormai classica di Pier Carlo Masini su Carlo Cafiero o le monografie che ci ha dato più recentemente Giampietro Berti su Francesco Saverio Merlino e su Errico Malatesta n. Questo saggio non pretende certo di essere esaustivo e neanche di dire una parola definitiva sui molti nodi problematici tuttora irrisolti. Più modestamente, esso si propone di ricostruire le concezioni teoriche e fattività politica di Borghi — lungo l’intero arco della sua esistenza — da un’ottica particolare ma in certo modo privilegiata, vale a dire quella del suo rapporto con il movimento operaio e del suo atteggiamento nei confronti del sindacalismo, così come è venuto configurandosi nelle varie fasi della sua esistenza.. Schematizzando notevolmente si può suddividere la biografia politica di Borghi in almeno quattro grandi periodi. Il primo inizia nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e si conclude nel 1907. Sono gli anni della prima formazione e dell’inizio di un’attività politica sempre più incessante e frenetica, che lo mette presto in evidenza e attira su di lui le prime persecuzioni poliziesche, che continueranno negli anni successivi fino a renderlo uno dei “sovversivi” più colpiti dell’Italia giolittiana. Sul piano teorico in quegli anni Borghi, pur sensibile ai temi della propaganda di Malatesta a favore dell’organizzazione, si avvicina piuttosto alle posizioni prevalenti negli ambienti comunisti anarchici antiorganizzatori, mostrandosi critico sia degli individualisti puri (di cui condanna le estremizzazioni amoraliste e borghesi), sia nei confronti di quegli anarchici organizzatori che portavano alle estreme conseguenze il metodo organizzativo, sfociando a suo avviso in forme dogmatiche e autoritarie. Lo attestano in particolare gli articoli pubblicati in qualità di redattore del settimanale “L’Aurora” di Ravenna (1906-1907) e l’opuscolo — di fondamentale importanza per stabilire le posizioni politiche di Borghi in quel periodo — Il nostro e l’altrui individualismo (1907). Per tutta questa fase Borghi manifesta un limitato interesse per il sindacalismo, sia da un punto di vista teorico che pratico, e non partecipa direttamente alla vita delle organizzazioni operaie. Il secondo periodo va dal 1908 all’avvento del fascismo, ed è contrassegnato da un avvicinamento al sindacalismo rivoluzionario e dall’impegno a tempo pieno nelle organizzazioni sindacali. Sul piano storico rappresenta sicuramente la fase più rilevante dell’attività di Borghi, per il ruolo di primo piano da lui esercitato all’interno delle lotte sociali e per la sua influenza nelle dinamiche politiche generali dell’epoca. Per anni Borghi dedica la maggior parte delle proprie energie all’organizzazione operaia, vista come strumento principale, anche se non esclusivo, per creare la coscienza di classe, giungere alla rivoluzione sociale e instaurare il comunismo libertario. In particolare Borghi, pur non essendo presente al Congresso di fondazione a Modena nel novembre 1912, si impegna a favore dell’Unione Sindacale Italiana e ne regge le sorti, in qualità di Segretario generale, per un lungo periodo che va dal settembre 1914 fino al 1921. Per l’USI il periodo che va dalla sua fondazione all’avvento del fascismo rappresenta – fuori di ogni dubbio e senza possibilità di smentita – il più importante della propria storia, e quella fase è indissolubilmente legata alla figura di Armando Borghi. Nessun altro potrebbe realmente pretendere di avere esercitato un ruolo altrettanto importante all’interno dell’USI nel suo primo decennio di vita. E’ un periodo di attività frenetica e di eventi di enorme portata che si succedono con grande velocità. Lo si può suddividere a sua volta in tre sottoperiodi: a) dal 1908 alla settimana rossa; b) la battaglia contro gli interventisti e la Prima guerra mondiale; c) il primo dopoguerra fino al fascismo. Il terzo periodo è quello dell’emigrazione antifascista, prima brevemente in Germania e Francia, e poi definitivamente negli Stati Uniti. L’affermarsi della reazione fascista in Italia costringe Borghi – e la sua compagna Virgilia d’Andrea – a trovare rifugio all’estero. Segue, a distanza di qualche tempo, la messa fuori legge dell’USI. I venti anni circa trascorsi in America si rivelano determinanti per una nuova evoluzione di Borghi, che rivisita criticamente la precedente esperienza sindacalista e se ne allontana definitivamente, per avvicinarsi alle posizioni antiorganizzatrici molto diffuse tra gli anarchici italo- americani, efficacemente espresse in quegli anni dalle colonne del periodico “L’Adunata dei Refrattari”. Sotto un certo profilo questa evoluzione può essere vista come un ritorno alle origini, alla matrice dell’anarchismo antiorganizzatore degli anni di apprendistato politico. Il quarto e ultimo periodo è rappresentato dal secondo dopoguerra, col ritorno di Borghi in Italia e l’assunzione da parte sua, dopo la morte di Errico Malatesta, Luigi Fabbri e Camillo Berneri, di un ruolo di assoluta preminenza all’interno dell’anarchismo italiano. Con l’autorità morale derivante dal suo passato e facendo leva sulle indubbie sue notevoli capacità di oratore, giornalista e scrittore, Borghi esercita un influsso determinante sul movimento anarchico di lingua italiana degli anni che vanno dal 1945 alla sua morte, contribuendo in maniera notevole a farlo evolvere e sviluppare secondo linee congrue con le posizioni teoriche da lui maturate durante l’esilio. Particolarmente rilevante — e ancora oggi molto discussa — è la sua posizione nei confronti dell’USI e dell’attività sindacale in genere da parte degli anarchici, in quegli anni per molti versi decisivi per le sorti successive del movimento libertario. Dopo la fine della II guerra mondiale, Borghi si schiera infatti contro ogni tentativo di ridare vita all’USI, ritenendo l’esperienza sindacalista criticabile dal punto di vista teorico e ormai anacronistica. La idiosincrasia da lui maturata nei confronti del sindacalismo lo spinge a criticare e ad ostacolare addirittura i tentativi di alcuni compagni di creare una corrente sindacale libertaria all’interno della C G IL . Riguardo l’organizzazione anarchica specifica, si batte contro ogni tentativo di dare alla Federazione Anarchica Italiana, costituitasi al Congresso di Carrara del 1945, una struttura organizzativa non puramente formale. Sul piano teorico sostiene posizioni puriste, e insorge contro ogni deviazionismo vero e presunto. Dal 1953 dirige “Umanità Nova”, l’organo settimanale della FAI in cui si identifica all’epoca pressoché tutto l’anarchismo italiano, e lo fa lasciando una forte impronta personale nel giornale e nel movimento. Lascia l’incarico solo nel 1965, pochi anni prima della morte, a seguito del Congresso di Carrara in cui prevale la corrente favorevole a una svolta accentuatamente organizzatrice della FAI, da lui sempre osteggiata. Si tratta per lui di una sconfitta, giunta proprio al termine della sua esistenza, e poco lo consola il fatto di continuare a rappresentare un punto di riferimento ideale per i compagni che, condividendo le sue critiche al nuovo corso, lasciano polemicamente la FAI e fondano i Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIÀ). Le concezioni e il comportamento di Borghi nel periodo successivo alla fine della II guerra mondiale hanno suscitato spesso critiche anche aspre in settori del movimento anarchico, e anche dopo la sua scomparsa sono stati oggetto di contrastanti valutazioni. E’ questo sicuramente il periodo più discusso e discutibile della sua pluridecennale attività, intorno al quale fino a tempi relativamente recenti si sono accese vivaci e appassionate polemiche. Se questo è il quadro complessivo, per ora piuttosto schematizzato, dell’evoluzione politica di Borghi — che è bene sottolinearlo, aldilà di ogni oscillazione rimase sempre un anarchico convinto e si mosse sempre all’interno del solco dell’anarchismo, pagando sul piano personale dei prezzi non indifferenti per questa sua ostinata coerenza — problemi non indifferenti sorgono allorché si passa a ricostruire e a mettere a fuoco maggiormente i diversi periodi, e a cercare di interpretare le motivazioni e le conseguenze dei vari passaggi. Ancor più difficoltoso si presenta poi ogni tentativo di interpretazione complessiva del personaggio. A differenza di altre figure di rilievo dell’anarchismo, l’evoluzione di Borghi si è mossa in modi spesso non lineari, ed è comunque difficilmente riconducibile a linee di sviluppo univoche e facilmente individuabili. In alcune delle fasi salienti della vita di Borghi si può assistere a un passaggio talora rapido — e fino a poco tempo prima imprevedibile – da determinate posizioni politiche ad altre anche piuttosto distanti, e non è sempre agevole rendere conto delle reali motivazioni. D’altra parte — come già si è accennato – non è possibile limitarsi ad accettare le versioni fornite dallo stesso Borghi nei propri libri, che restano comunque di utilissima consultazione. Se è vero che gli scritti autobiografici, per quanto importanti, devono sempre essere utilizzati con cautela dallo storico e messi a confronto con altre fonti, questo vale a maggior ragione con Borghi. Non tanto perché sia riscontrabile in lui una più spiccata tendenza alla mistificazione – accusarlo di questo sarebbe del tutto ingiusto – , quanto piuttosto per una certa sua approssimazione e trascuratezza (riscontrabile, ad esempio, nei frequenti errori a proposito delle date) e soprattutto per una sua spiccata tendenza a rileggere il proprio passato come un tutto unitario, nel corso del quale si sarebbero prodotti cambiamenti minimi. Già nel 1930 del resto, presentando una propria raccolta di scritti, egli stesso affermava: “Il lettore confronti le prime colle ultime pagine e […] se vi trova eguaglianza, forse ripetizione, di pensiero la metta nel conto del fatto che io non progredii che in un tempo in mia vita: quando mi occupai di politica la prima volta, adolescente e divenni anarchico”.