Torza Federico, “Il sindacalismo rivoluzionario di Armando Borghi”

Università degli studi di Milano, Facoltà di Scienze Politiche, 2009/2010, 85 p.

Introduzione
Il fenomeno del sindacalismo rivoluzionario di matrice anarchica in Italia, poco studiato e ritenuto da molti una parentesi storicamente marginale, ebbe nell’Unione Sindacale Italiana e nella figura di Armando Borghi la sua espressione più significativa. Per capire l’U.S.I. e Borghi è necessario delineare il contesto storico, economico e sociale nel quale si sviluppò questa esperienza e, ancora prima, il quadro teorico che portò all’incontro di anarchismo e sindacalismo. Il frastagliato percorso, che porta all’avvicinamento della dottrina libertaria alla pratica sindacalista, affonda le sue radici nella Prima Internazionale e nello scontro tra anarchici e marxisti. Il motto originario dell’Internazionale londinese “L’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi” sintetizza in modo efficace le due diverse visioni: per i marxisti, l’azione politica della classe operaia avrebbe dovuto essere guidata dal partito, unico attore rivoluzionario capace di muovere le masse per giungere al crollo dello stato borghese e del sistema economico capitalista; l’ala dell’Internazionale legata a Bakunin, invece, considerava questa impostazione liberticida ed auspicava ad una radicale distribuzione di ogni potere: solo in questo modo, secondo la dottrina anarchica, la classe operaia avrebbe potuto realmente essere soggetto della propria emancipazione. Com’è noto, la spaccatura tra marxisti e bakunisti portò all’espulsione di questi ultimi e alla creazione, con il Congresso di Berlino del 1922, della Federazione Internazionale degli Anarchici. La nascita del sindacalismo rivoluzionario è da ricercarsi in Francia, nell’ultimo decennio del XIX secolo. Una serie di congressi operai, da quello di Lione del 1886 a quello di Saint-Etienne del 1892, portarono alla luce una corrente sindacalista, portata avanti da esponenti legati all’anarchismo come Pelloutier, Pouget e Delesalle, che criticava fortemente l’impostazione rivendicazionista del sindacato, considerato invece come struttura rivoluzionaria. Secondo questa visione, sindacalista e operaista, solo il sindacato avrebbe portato all’emancipazione di classe, tramite un percorso rivoluzionario in cui il proletariato potesse davvero essere soggetto e non oggetto del cambiamento. In tale contesto ideologico-politico, si colloca la figura di Armando Borghi, noto agitatore e sindacalista anarchico italiano. La sua figura non può essere analizzata senza fare riferimento all’U.S.I. e, biunivocamente, non si può studiare l’U.S.I. senza approfondire la sua influenza e ciò che Borghi rappresentò per il sindacato; tuttavia, come osserva Antonioli, Borghi non è l’USI e l’USI non può sintetizzarsi con la vicenda umana e politica del suo segretario storico. In questa analisi cercherò di presentare la vicenda dell’anarchico di Castelbolognese e dell’Unione Sindacale Italiana dal 1900 fino all’espatrio e al conseguente esilio del 1922, cercando di contestualizzare il fenomeno nella crisi dello stato liberale in Italia, analizzando i rapporti della galassia anarchica con quella socialista e comunista, dei contrasti con il bolscevismo e l’avversione verso il modello della “dittatura del proletariato”. Verrà sottolineata con particolare attenzione la natura “ibrida” del personaggio Borghi, leader carismatico, provvisto di ottima oratoria e di un buon senso pratico; anarchico ma fortemente criticato da molti compagni libertari (e dall’amico Malatesta, in primis); sindacalista atipico, dotato di una visione politico- rivoluzionaria di ampio respiro; organizzatore e anima politico- ideologica dell’USI durante tutto il suo segretariato. In ultima analisi, proporrò un punto di vista diverso rispetto a quegli storici che, come già espresso in precedenza, giudicano non essenziale l’esperienza anarchica e sindacalista rivoluzionaria nell’Italia pre-fascista: l’U.S.I., con Borghi segretario, riuscì a presentare nel paese un metodo nuovo di fare sindacalismo, partecipò alla diffusione in Italia dell’ “azione diretta” da parte della classe operaia, collaborò sul piano internazionale con sindacalisti dei principali paesi europei, fu prima sostenitore e poi contestatore – dopo il viaggio in Russia – del bolscevismo sovietico, contribuì a fare uscire (anche se parzialmente) il movimento anarchico dall’isolamento individualista di fine ‘800, conquistò – sia dal punto di vista politico che sindacale – una percentuale rilevante della classe operaia in molte regioni italiane, tra le più importanti l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Liguria e la Puglia. Difficile risulta quindi, dal mio punto di vista, considerare l’esperienza dell’U.S.I. e la figura di Armando Borghi come marginali nel panorama politico e sindacale italiano, almeno dalla sua fondazione fino all’avvento del fascismo. Un’attenta critica sarà rivolta, in fine, a quel metodo di analisi storica – emerso con chiarezza in alcuni saggi utilizzati per la stesura di questo elaborato – che ricerca le colpe degli insuccessi operai ed anarchici nei primi vent’anni del ‘900, le responsabilità della mancata unità sindacale, gli errori che contribuirono al crollo dello stato liberale e all’avvento del fascismo. A mio modesto parere, questo metodo di analisi inficia anche valide ricostruzioni; sarebbe forse più efficace un metodo che analizzi le relazioni tra le diverse parti (sindacati, partiti e movimenti), i diversi metodi e le differenti visioni politiche, i diversi approcci alle masse operaie, senza omettere – cosa fondamentale – il contesto politico e dottrinario. Un criterio di questo tipo sarebbe forse più utile ai fini di una analisi storica depurata, per quanto possibile, da ogni dogmatismo ideologico.

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