Edito da La Fiaccola, Ragusa, Novembre 1961, 35 p.
Prefazione
Qua e là, da questo о da quello, qualche volta, quando si vede con occhi propri che le cose non vanno per il giusto verso », si sente dire come una invocazione sommessa che « bisogna ritornare alle fonti », alle origini, alla radice. E allora, siccome per noi « ritornare alle fonti » vuol dire rimettere in discussione anche i cardini sui quali si poggiano le strutturazioni politico-economiche-culturali della società imprigionata nella ferrea morsa dello Stato, ecco la necessità della ristampa di questo opuscoletto del K.; di questo opuscoletto col quale K. va diritto a puntare gli strali arroventati della polemica anarchica contro la « Legge » e contro « l’Autorità » : cardini questi che, oggi più che mai, nell’occidente come, piaccia о non piaccia, anche in oriente; nei paesi a regime democratico-capitalista, come in quelli a regime socialista-autoritari e in quelli cristiano-fascista-totalitari, son divenuti dei tabù veri e propri per molta, per moltissima gente. Si sente discutere di tante cose e si sente criticare un mucchio di roba davvero anacronistica, da tanta gente, ma nessuno, tranne qualche anarchico preistorico, che viene a tirare per i capelli la « Legge » e « l’Autorità », quella Legge e quella Autorità che pur assommano tante malefatte e tanti delitti e tanta responsabilità nell’andamento delle cose della società, e lungo lo svolgimento della Storia. Nessuno che viene a domandarsi: la «Legge», cos’è la Legge? A cosa serve? A chi serve? E perchè? E l’« Autorità », che cosa è l’Autorità? Dove affonda le sue radici malefiche? Qual’è, dappertutto, la sua vera essenza? La sua funzione? A togliersi i paraocchi della disciplina rinunciatrice (cosa che, senza nessuna esitazione, dovrebbero riuscire a fare sopratutto i giovani, gli operai, i contadini, gli studenti e, in particolare, i rivoluzionari) si vedrebbe subito che sono domande pertinenti e di cocente attualità: domande, comunque, che tutti coloro che non sono per niente soddisfatti di come vanno le cose di tutti e di ognuno, della società e degli individui, dovranno pur porsi ed alle quali dovranno dare una risposta. Perchè, altrimenti, che senso ha, che valore può mai avere il parlare e scrivere , il lottare per la Libertà e per l’Uguaglianza? Bisogna sfatare l’antica leggenda, accomodante e comoda, secondo la quale è impossibile l’umana convivenza senza la Legge e senza l’Autorità. E, per contro, riconsiderare con molta attenzione e serietà quei concetti principi de « il libero accordo » e del « mutuo appoggio », che son concetti principi kropotkiniani e anarchici attorno ai quali è possibile — è urgente fare un lunghissimo discorso, con i quali orientare ogni azione veramente rivoluzionaria, e aprirsi delle prospettive veramente nuove e veramente degne, cioè rivoluzionarie. Noi, intanto, pensiamo che l’opuscoletto del K. assolve, entro certi limiti, s’intende, a questo compito in modo gagliardo, appassionato e diretto. E vorremmo che non si facesse torto alla modestia del testo, ma che si cercasse in esso il « nocciolo della questione ». Per tirarlo fuori, alla luce di tutti: perchè tutti — tutti, cioè gli interessati — possano rendersi conto appieno di quanta violenza e di quanto sangue si sono inzuppati, a danno di tutti, la Legge e l’Autorità. E, allora, si vedrà che questo opuscoletto — come gli altri che seguiranno — son meno vecchi di quanto possa apparire a prima vista, о di quanto vorrebbero tanti superficialoni che si sciacquano la bocca coi termini abusati di « moderno » di « attualità ». di « realismo », di « socialismo ». Quindi un opuscoletto valido sotto molti aspetti. Valido per il discorso di cui si diceva prima e che, come dicevamo, dovranno affrontare sopratutto i giovani che, tanto per fare un esempio, in fatto di Legge e di Autorità, di anarchia, di anarchici e di anarchismo, di rivoluzione e di rivoluzionari, hanno avuto, ed hanno, la rifrittura di tutti quei luoghi comuni i più triti e convenzionali della più vieta e prevenuta polemica spicciola a base di malafede e di ignoranza. Un opuscoletto valido anche come seme pregnante di sovversivismo (un termine malfamato che vuol dire qualcosa e che bisogna rivalutare) e come carica dirompente. Ecco: dare ai giovani, intrappolati nella rete dei pantafolai di tutti i Partiti e le organizzazioni sindacali e partigiane, anche, dei testi antichi, se si vuole, ma genuini e freschi, anche se modesti. Dei testi, tanto per intenderci, non sacri (no, perdio) ma sui quali, se si vuole — Viva la Libertà! _ si potrà pisciarci sopra, sicuri che nessuna Legge e Autorità anarchica, verranno a processarli per nessun vilipendio od oltraggio, né tantomeno imprigionarli, о fucilarli, come di fatto fanno tutti gli adoratori della Legge e dell’Autorità (con la propria Legge e la propria Autorità) con gli anarchici. Sono in molti, oggi, a sostenere che l’anarchismo è morto о che è divenuto un relitto preistorico buono per i musei. Ebbene, si consideri l’anarchismo — le istanze intrinseche che ne derivano dalla formulazione teoretica, dai suoi principi e dalle sue idee e metodi, e come, queste istanze e formulazioni e principi e metodi, affondino le proprie radici nella realtà e si identifichino con le aspirazioni più profonde, genuine e rivoluzionarie dei popoli — contrapposto alla Legge e all’Autorità e si vedrà quanto viva e valida e attuale è la sua “carica”. La « Legge » e l’”Autorità” imperano ancora oggi armati di strumenti liberticidi, di terrore e di coercizione: le polizie, gli eserciti, i tribunali, le galere: le discriminazioni, le persecuzioni, la tortura, ecc. ecc., sono ancora oggi le « cose », i « muri » contro i quali si scontrano le più elementari aspirazioni e rivendicazioni di benessere, di libertà, di dignità, di autonomia di tutti. Ciò malgrado, ancora oggi, tutti — meno gli anarchici che fanno? Non trovano di meglio _ come, appunto quei tutti dei tempi dell’opuscoletto che chiedere sempre una nuova legge per sanare i mali che li angustiano e affliggono, e di richiamarsi a quella Autorità che s’è dimostrata, ovunque, incapace e impotente, inadeguata e contro producente, a liberare la società, ammesso che l’abbiano mai voluto, dalle sue profonde contraddizioni. Ha davvero ragione K. quando afferma che « L’anno I della libertà non è mai durato più di un giorno perchè dopo averlo proclamato l’indomani stesso gli uomini si ricacciavano sotto il gioco della Legge e dell’Autorità. E’ vero che K. si rifà alla Società scaturita dall’incendio della « grande rivoluzione » francese, ma il lettore attento di oggi si può benissimo rifare alla Società di oggi, alla Società scaturita dalle grandi rivoluzioni moderne — in Russia, nel Mexico, in Jugoslavia, in Cina, nelle Indie, nei paesi dell’Africa e delle Americhe —: non si sente forse ripetere continuamente con toni di minaccia e argomenti liberticide, « rispetto alla Legge», e « obbedienza all’Autorità », ovunque, come allora? Ordunque, dato che cosi stanno le cose, con più forza che mai noi diciamo col K. che « il meglio che si possa fare di tutte le leggi (anche dei paesi cosi detti «socialisti») è di accenderne un gran falò! Abbiamo ritenuto opportuno completare l’opuscoletto con lo scritto dello stesso К. « I diritti politici » ed ognuno vedrà dalla lettura come sia vera e attuale la conclusione a cui perviene K.: « Le libertà non si concedono, si prendono »! Che ognuno ne faccia tesoro.
Note dell’Archivio
– Opuscolo fotografato
– Traduzione dello scritto “La Loi et l’autorité”, 1892
– Traduzioni in italiano: Tipografia Economica Anconitana (1897), Camillo Di Sciullo (1908) e La Rivolta (1945)