Di Gioia Franco, “Storie nostre”

Edito da: Edizioni Underground
Luogo di pubblicazione: Catania
Anno: Maggio 1991
Pagine: 176
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

Di immediata e piacevole lettura, il libro di Franco Di Gioia ci porta in modo diretto ed efficace all’interno dei meccanismi di sfruttamento che nella maggior parte dei casi schiacciano e condizionano i proletari di tutto il mondo, con la specificità efferata e sconsolante con la quale gli stessi meccanismi agiscono nei confronti dei proletari del nostro Meridione. E la sua storia, una delle Storie nostre, “storie” di sfruttati che di regola restano vittime di processi più grandi di loro ma che qualche volta, come nel caso di Franco, riescono attraverso il meccanismo stesso di oppressione e di miseria e l’estraneazione d’un lavoro in fabbrica, a prendere coscienza del proprio essere proletari estraneati da ogni gestione della ricchezza che concorrono a produrre. E questa presa di coscienza viene tratteggiata puntigliosamente, nei suoi vari momenti, legandosi sì alla dimensione del lavoro, e quindi dell’alienazione specifica della fabbrica, ma anche alle occasioni che la vita non manca mai di fornire, incontri e letture, incontri con altri compagni e letture di testi anarchici e rivoluzionari. Il risveglio alla coscienza piena e matura di sfruttato, anticamera a quella coscienza ancora più articolata che agisce nella dimensione rivoluzionaria, è de­ scritto in tutti i suoi aspetti e costituisce uno dei punti migliori di tutto il libro. Franco abbandona il lavoro al Nord e ritorna a Grisolia spinto dall’idea di dare inizio qui, insieme ad altri compagni — che nel frattempo ha conosciuto – e agli sfruttati calabresi del suo paese d’origine, alle lotte. Ed è un’altra serie di descrizioni di iniziative in prima persona. Gli anarchici organizzano, senza delega e senza alcuna pretesa ideologica, rivolte di paese, occupazioni di Comuni e di stazioni ferroviarie, manifestazioni con centinaia di partecipanti anche nelle città sedi della Regione e delle Amministrazioni locali. E nel corso di queste lotte, man mano che l’intervento si articola e si sviluppa, Franco e gli altri compagni anarchici, scoprono una verità che teoricamente cono­scevano a priori, ma che nel riscontrarla in seno alla pratica non manca di sorpren­derli e amareggiarli: quando gli sfruttati riescono ad impadronirsi del potere – sia pure il potere locale di un’amministrazione comunale – diventano essi stessi sfrutta­ tori. E fanno presto a diventarlo, e non cedono a quegli altri sfruttatori, quelli che hanno dietro le spalle secoli di addestramento e di esercizio. Da qui le loro lotte contro la mafia emergente del PCI, insediatosi quest’ultimo in alcuni Consigli comunali della zona, e diventato nei fatti, nella mentalità, negli interessi e nella gestione della cosa pubblica, mafioso come tanti altri partiti con lunga tradizione alla spalle. La ricerca del dettaglio, nella narrazione poniamo dei fatti della sua infanzia, delle vicende della fanciullezza e del periodo che precede la presa di coscienza rivoluzionaria, sono in Franco un momento per scandagliare meglio le condizioni specifiche in cui si trova a vivere il proletario del nostro Meridione e i sentimenti e le sofferenze che vive quando si estranea da un tessuto che bene о male lo ha prodotto, e quindi anche condizionato, e si trova catapultato in situazioni di emigrazione, come potrebbe essere Milano о la Germania. Le difficoltà di una presa di coscienza, specialmente al Sud, sono quindi dovute, come emerge chiaramente dal racconto, alle scarse occasioni culturali fornite dal tessuto dei nostri paesi più arretrati: mancanza di una vera e propria circolazione delle idee, residui ancestrali di rispetto feudale e di chiusura contro cui è difficile lottare. Ma Franco e gli altri si inseriscono proprio in questo tessuto e vi apportano, come un innesco esplosivo, la circolazione vivacissima delle idee anarchiche, la distribuzione di libri, opuscoli, volantini, la gestione della parola pubblica, con quei comizi che nei piccoli paesi del nostro Sud fanno ancora tanta presa sulla gente, ed infine – come tratto originale e di grandis­sima presa — la lettura pubblica delle poesie, mirate su argomenti di grande impatto perché specifici e conosciuti da tutti, ma da nessuno apertamente affrontati in un di­ battito. Nel grande crogiuolo di queste lotte, che nel piccolo riflettono il grande del movimento che in questi ultimi vent’anni s’è sviluppato in tutta l’Italia e in Europa, Franco, insieme agli altri compagni, non solo verifica e sperimenta la fondatezza delle idee anarchiche, ma le rafforza, concludendo il suo libro proprio con un’affer­mazione di fiducia nel futuro: «Personalmente» — egli dice — «non mi interessa sapere se un giorno si riuscirà a vivere come noi desideriamo, perché mi preme più di ogni altra cosa lottare per le cose che ritengo più giuste. Per questo, il mio contributo sarà sempre e soltanto per l’anarchia». Ma, se dalla lettura di tutto il libro, emerge questa costante della fiducia in se stesso e della giustezza dell’ideale anarchico, parallelamente si sviluppa una considerazione di grande interesse, particolarmente per tutti quei compagni che in questi due ultimi decenni sono stati impegnati nelle lotte di ogni genere: l’illusione – sostanzialmente egli dice — di volere a tutti i costi essere capiti dalla gente, ci ha condotti a presentarci agli altri, e quindi anche ad agire, come “bravi ragazzi”, evitando per quanto è stato possibile il ricorso alla violenza о l’indirizzarsi verso scelte individuali ed organizzative di altro genere. Ed è proprio dall’alto della sua esperienza, di una serie considerevole di lotte sviluppate e portate avanti all’interno degli sfruttati, che Franco conclude per l’inutilità di questa preoccupazione, fondata sulla necessità assoluta di “farsi capire dalla gente”, e quindi per la legittimità di quelle scelte, operate da tanti altri compagni, che spesso sono state tacciate come scelte “incomprensibili” о che passavano sopra la testa degli sfruttati. Ognuno, egli afferma, deve lottare con i mezzi che crede opportuni, colpendo gli obiettivi e i responsabili dello sfruttamento secondo come riterrà necessario. Conclusione che spazza via, d’un sol colpo, tutte le chiacchiere sulla violenza о sulla nonviolenza, alternativa puramente metafisica, che hanno funestato il movimento anarchico per tantissimo tempo. Di questo libro, la cui lettura è certamente utile e piacevole, si potrebbero dire molte altre cose, noi preferiamo solo sottolineare gli spunti finali, che Franco pone sul tappeto come, più che altro, un soliloquio, un discorso rivolto a se stesso. Spunti che si potranno condividere о meno, affrontando problemi esistenziali che non tutti affrontiamo о consideriamo alla stessa maniera. Ma è anche qui una delle ricchezze del libro: il coraggio di affermare le proprie idee così come sono, senza nascondersi dietro il dito dei luoghi comuni о delle affermazioni che si presume possano risultare gradite al palato degli altri. Insomma, un’avventura per il lettore, uno di quei libri che una volta letti lasciano il segno così come accade quando s’incontra un’amico che non si vedeva da tanto tempo.
Alfredo Maria Bonanno

Note dell’Archivio: ////

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