
Edito da: Connessioni per la lotta di Classe
Luogo di pubblicazione: ///
Anno: 2012
Pagine: 138
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Abbiamo deciso di pubblicare questo testo di Hermann Gorter, Lettera a Lenin, scritto nel 1920 perché fissa alcuni presupposti del cosiddetto estremismo. E’ un testo storico legato ad uno specifico dibattito, era la risposta al saggio di Lenin Sull’estremismo malattia infantile del comunismo, dove venivano attaccate tutte le componenti radicali del movimento operaio dell’epoca, dalle sinistra tedesche agli IWW americani, compresa la stessa sinistra italiana anti-parlamentarista. Per molti versi le sigle, le situazioni che vengono riportare pensiamo possano essere lette da molti lettori come saghe di cartoni animati, belli ma sicuramente datati.. Detto ciò i dubbi che pone, le problematiche che affronta, possono rivivere in tutti coloro che si pongono il problema dalla rivoluzione e dell’essere pro-rivoluzionari oggi. E’ facile criticare il testo di Gorter, se ci basiamo sul realismo è evidente che le soluzioni e sviluppi che proponeva si sono rilevate fallaci. In retrospettiva, tutte le cause perse appaiono come sforzi irrazionali, mentre quelle che hanno successo sembrano razionali e giustificabili. Gli scopi di una minoranza rivoluzionaria sconfitta sono stati invariabilmente descritti come utopistici e, perciò, indifendibili. Il termine “utopia” non si applica, comunque, a progetti oggettivamente realizzabili, ma a sistemi immaginari, che potrebbero o non potrebbero avere fondamenti materiali concretamente dati che permettono la loro realizzazione. Non c’era niente di utopistico nel tentativo di guadagnare il controllo della società tramite i consigli dei lavoratori e nel finire con l’economia di mercato, per il sistema capitalista sviluppato il proletariato industriale è il fattore determinante nel processo di riproduzione sociale nel suo insieme, che non è necessariamente associato con il lavoro come lavoro salariato. Che una società sia capitalista o socialista, in ogni caso è la classe lavoratrice che permette ad essa di esistere, la produzione può essere portata avanti senza riguardo per la sua espansione in termini di valore e per le esigenze di accumulazione del capitale. La distribuzione e la ripartizione del lavoro sociale non dipendono dalle relazioni di scambio indirette del mercato, ma possono essere organizzate consapevolmente attraverso apposite nuove istituzioni sociali sotto il controllo aperto e diretto dei produttori. Il capitalismo occidentale nel 1918 non era il sistema necessario di produzione sociale, ma solo quello esistente, la cui caduta lo avrebbe semplicemente liberato dai suoi vincoli capitalisti. Lo spegnersi della possibilità di una rottura, dovuta alla capacità del capitale di riattivare un proprio ciclo di accumulazione e sviluppo, rese quindi inefficace ogni possibile rottura rivoluzionaria, tale da rendere l’estremismo una sterile proposizione di minoranze rimaste su posizioni e prassi pro-rivoluzionarie. Le stesse componenti sociali che potevano in base ai loro bisogni diretti optare per una scelta di radicale cambiamento diventavano minoritarie nella società nel suo complesso. Il fallimento della rivoluzione tedesca sembra rivendicare l’affermazione bolscevica che, lasciata a se stessa, la classe operaia non è in grado di fare una rivoluzione socialista e quindi richiede la leadership di un partito rivoluzionario pronto ad assumere poteri dittatoriali. Ma la classe operaia tedesca non ha tentato di fare una rivoluzione socialista e quindi la sua incapacità di farlo non è in grado di dimostrare la validità della proposizione bolscevica. Inoltre, vi era un’ “avanguardia” rivoluzionaria che ha cercato di cambiare il carattere puramente politico della rivoluzione. Anche se questa minoranza rivoluzionaria non sottoscrisse il concetto di partito bolscevico, non era meno pronta ad assumere la leadership, ma come una parte, non come dominatore, della classe operaia. Nelle condizioni dell’Europa occidentale, una rivoluzione socialista dipendeva chiaramente dalla classe e non sulle dalle azioni del partito, perché qui è la classe operaia nel suo insieme che deve prendere il potere politico e dei mezzi di produzione. È vero, naturalmente – ma vale per tutte le classi, la borghesia e il proletariato – che è sempre solo una parte del tutto che si impegna nelle questioni sociali, mentre un’altra parte rimane inattiva. Ma in entrambi i casi, è la parte attiva che è determinante ai fini del risultato della lotta di classe. Non è dunque una questione di tutta la classe operaia che partecipa letteralmente al processo rivoluzionario, ma di una massa sufficiente per contrastare le forze mobilitate dalla borghesia. Questa massa relativa non si è aggregata abbastanza velocemente per compensare il crescente potere della contro- rivoluzione. La polemica di Gorter quindi era già all’epoca indietro rispetto alla fase che si apriva, tuttavia è naturale che un periodo rivoluzionario produca rivoluzionari i quali non spariscono completamente quando il vecchio sovrasta e ricaccia indietro il nuovo. Per quanto alcuni vengano uccisi, demoralizzati, o altri cambino di campo, rimane sempre una traccia pur minima. Per molti versi è proprio in questo periodo che i pro-rivoluzionari possono sviluppare una teoria, lo stesso marxismo è in fin dei conti una teoria delle contro-rivoluzioni e rivoluzioni future, in quanto può agire solo nel passato o nel futuro, ma mai nel presente perché immediato e diretto. Nel momento in cui la lotta di classe assume connotati radicali, praticando direttamente la critica dell’economia politica, lo stesso marxismo sparisce, gli stessi rivoluzionari intesi come singoli spariscono. Nel momento che non esiste questa condizione, dove i nuovi rapporti sociali sono cosi deboli di fronte ai vecchi, dove il movimento del capitale non presenta crepe, è inevitabile che i pro-rivoluzionari si trovino fuori dal tempo. Ma se è vero che i realisti hanno la meglio è altresì vero che ogni possibilità rivoluzionaria è negata. In questo senso la difesa dell’estremismo di Gorter contro il realismo di Lenin è la dinamica che ancora oggi tutti i pro-rivoluzionari vivono sulla loro pelle. Non esistono vie di mezzo, scorciatoie, lo stesso Marx, in modo crudele ricordava che il proletariato o è rivoluzionario o non è nulla. Il tentativo di Gorter letto in retrospettiva era inchiodato a questa dinamica, era il tentativo disperato di individuare una possibile prospettiva rivoluzionaria comunista in occidente, avendo ben presente le differenze che esistevano rispetto ai diversi contesti spaziali e sociali. Era la comprensione dell’impossibilità e della debolezza del modello bolscevico applicato a livello mondiale, critica che successivamente verrà ampliata dalla corrente che si svilupperà dentro la sinistra comunista tedesco-olandese denominata comunista dei consigli. Non era quindi una critica alla rivoluzione, all’assalto al cielo, ma come questa potesse effettivamente svilupparsi e non generare movimento per il capitale. In fondo la critica di Gorter a Lenin verte su un preciso punto: la contrapposizione tra sviluppo del movimento del comunismo contro lo sviluppo del movimento del capitale. Non è nostra intenzione riprendere i diversi aspetti della polemica e prospettiva di Gorter, e sarebbe riduttivo ridurre unicamente a lui e alla sua componente l’intera sinistra comunista tedesco-olandese. Per molti versi sarà un teorico della propaganda del fatto, di un acceso volontarismo, contrapposto all’interno della stessa sinistra comunista tedesco-olandese ad altri come Otto Ruhle che ponevano al centro la sola lotta autonoma di massa del proletariato. Il contesto in cui era inserito Gorter, la Germania uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale, era una società avanzata, che presentava problematiche inedite se viste in rapporto alla Russia. Esistevano una molteplicità di soggetti sociali che componevano la diverse fasce sociali, in un contesto sempre più legato alla dimensione urbana e industriale. Ma dove le componenti sociali radicali rimanevano comunque minoranze, se non nel brevissimo periodo post conflitto nel 1918. Vi era tuttavia in nuce il tentativo nel testo di Gorter di individuare nella figura del lavoratore collettivo l’agente del cambiamento, nel individuare l’impossibilità del proletariato di servirsi degli strumenti e fasce sociali esterne ad esso rispetto ad una possibile prospettiva rivoluzionaria, che veniva vista immanente visto la crisi considerata generale del capitalismo. Già Marx parlava dello sviluppo del proletariato rivoluzionario, non sulla base della distinzione tra i tipi di lavoro, ma nei cambiamenti che intervengono nei rapporti di classe mentre continua l’accumulazione del capitale e aumenta quindi la divisione della società in due grandi classi con una progressiva proletarizzazione delle masse. In questo senso la stessa categoria di ceti medi non è corretta perché rappresenta semplicemente un periodo reddituale che investe fasce del proletariato o della stessa borghesia. Non è un caso che il termine classe media in paesi come gli USA abbia avuto una caratterizzazione più ideologico-sociale che realmente legata a quello che sono in realtà i rapporti di produzione capitalista. Col termine lavoratore collettivo, intendiamo una massificazione del proletariato a classe universale, questa ovviamente non appare come d’incanto, ma è sicuramente una tendenza insita nello stesso movimento del capitale. La persistenza di svariate stratificazioni sociali indica solamente la capacità del movimento del capitale, di esercitare una concorrenza al suo interno, ma tale da non creare una sua auto-dissoluzione. Il processo integrativo del capitale aveva dato vita ad un “ceto medio” che da un punto di vista ideologico rendeva superfluo il solo parlare della rivoluzione, della sua necessità. In questo senso il proletariato era interno al movimento del capitale e ne rafforzava il suo sviluppo. Non vi quindi tradimento, ma solo sviluppo conseguente del movimento del capitale (in questo senso la categoria di tradimento per la sinistra ufficiale o antagonista è stupida). La difficoltà di Gorter stava nel difendere una ipotesi rivoluzionaria, in assenza di una effettivo processo prolungato di de-integrazione prodotto dal capitale. Solo più tardi, pur esprimendo approcci diversi, i comunisti dei consigli, svilupperanno una analisi delle contraddizioni immanenti alle società capitaliste avanzate e delle tendenze economiche di crisi, superando i tratti volontaristici propri della fase di nascita della sinistra comunista tedesco-olandese. Quindi le componenti sociali radicali rimanevano, anche se in un primo periodo numericamente consistenti, comunque minoranze se viste nel complesso della società tedesca. Aveva quindi gioco facile il realismo leninista, ma la sua vittoria sia sotto il profilo teorico che pratico era la dimostrazione dell’impossibilità rivoluzionaria e dall’ennesimo sviluppo del movimento del capitale, prodotto come in Russia dalla sinistra stessa. Abbiamo voluto inserire il testo di H.C. Meijer, Il movimento dei consigli in Germania, che pur limitato nella analisi storica e a tratti apologetico, offre una panoramica di quello che è stata la sinistra comunista tedesco-olandese, tale da rendere possibile ai lettori districarsi all’interno delle diverse componenti e fazioni in campo nel contesto tedesco uscito dalla prima guerra mondiale. Il lettore potrà inoltre trovare una lista ragionata delle principali sigle utilizzate. Sempre come appendice pubblichiamo il testo di P.Mattick, La rivoluzione tedesca. Mattick fu un protagonista diretto di quegli avvenimenti. Riteniamo che sia uno dei più importanti lavori di valutazione critica di quello che è stata la rivoluzione tedesca e della stessa sinistra comunista tedesco-olandese, cogliendone i limiti sia di fase che teorici. L’approccio di Mattick, è radicalmente non apologetico e capace di svelare le dinamiche interne alla “possibilità” e impossibilità rivoluzionaria in Germania. Inseriamo un breve saggio dello stesso Gorter scritto nel 1920, La vittoria del marxismo, pubblicato in italiano sulle pagine del “Soviet” diretto da A.Bordiga, che illustra la sua posizione di fronte al marxismo e alla rivoluzione e fa capire quale sensazione di imminenza vivevano i rivoluzionari, tale da giustificare il loro estremismo. E per illustrare, anche se in modo molto sommario, le posizioni della sinistra radicale tedesca pubblichiamo il programma della KAPD e le tesi di orientamento della AAU-E. Al testo di Gorter, la risposta a Lenin, abbiamo allegato l’introduzione di Serge Bricianer, uscita nel 1979, per il libro, Herman Gorter, Reponse a Lenin, per l’edizione Spartacus francese. Come curiosità segnaliamo che la prima traduzione del testo in tedesco della lettera di Gorter, usci per opera di un gruppo di comunisti francesi e esuli italiani in Francia nel 1929, vicini alle posizioni dei comunisti dei consigli, attraverso il giornale L’Ouvrier comuniste.
Nota dell’Archivio: ///
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