(a cura di) Ellerani Piergiuseppe e Ria Demetrio, “Paulo Freire pedagogista di comunità. Libertà e democrazia in divenire”

Edito da Università del Salento, 2017, 292 p.
Introduzione
Il presente volume nasce quale esito di un seminario di studi svoltosi presso l’Università del Salento nel maggio 2017 sul tema oggetto di questa raccolta. Quest’evento è stato animato dalla presenza di studiosi di diverse discipline e soprattutto di diverse provenienze culturali. Ci si è offerta l’occasione di rileggere il contributo di Paulo Freire sotto diversi punti di vista. Si è discusso dell’attualità del pensiero e della prassi di Paulo Freire, la quale appare con maggiore nitidezza – se mai si fosse sfocata – in un contesto storico che porta in primo piano i dati di adulti analfabeti di ritorno, con deboli padronanze di comprensione nelle competenze di base, con una crescente difficoltà all’inclusione sociale (PIAAC-ISFOL, 2013). O, come scrive Colazzo, l’impegno socio-culturale di Paolo Freire impone oggi una complessiva ridefinizione del ruolo del pedagogista. Un professionista che deve abitare una pratica e compartecipare l’idea che la pedagogia sia essenzialmente una scienza pratica che si realizza in una condizione di relazionalità. A ciò si aggiunga che il forte mercantilismo del sapere e dell’educazione pone in evidenza più la necessità di rispondere a significati rendicontativi e di burocratizzazione della conoscenza – di più facile controllo e governo – piuttosto che di valorizzazione delle prassi e delle ricerche di tipo emancipativo e di empowerment – di maggiore complessità e unicità. In sintesi, stiamo vivendo nuovi tempi di disgregazione sociale e di esclusione, piuttosto che di inclusione, di competizione interna alle comunità, lacerante e confusa, piuttosto che di sviluppo e di sostenibilità, di messa in discussione della cittadinanza dunque, intesa nella sostanziale possibilità di uomini e donne di partecipare al loro e altrui sviluppo.
Le condizioni nelle quali adulti e giovani non sono in grado di apprendere e di comprendere, pongono in seria discussione l’opzione democratica: facendo emergere nuove oppressioni, che oramai stanno dilatando le categorie dell’accessibilità, e che interrogano all’unisono sia i sistemi dell’istruzione e della formazione sia quelli sociali e culturali, nonché produttivi. Come dire che innanzi alla prospettiva di lifelong learning e apprendimento continuo – proiezione di tutti i programmi dell’Europa di questi ultimi anni e delle policy – la realtà è di implosione dell’apprendere piuttosto che di espansione delle opportunità e delle libertà a partire dall’apprendere.
Si potrebbe azzardare il pensiero – come scrive Ellerani – che l’educazione, da una parte, come pratica della libertà sia stata svuotata di sostanza e di significato, a partire dalle prassi; dall’altra che l’emergente “inhuman development” ripropone il tema dei fini e degli scopi dell’educazione, già affrontata da Dewey, in “Democrazia ed Educazione”. Riconnettere l’educazione dunque, come tentativo di costante cambiamento e trasformazione degli atteggiamenti, in una continua creazione di disposizioni – e dispostivi – democratiche in grado di sostituire le passività e le consuetudini in metodi partecipativi e di innovazione sociale, di consapevolezza e di empowerment, di apprendimento.
Da un’altra prospettiva, però, è emergente il tema del “contesto” come luogo interdipendente – e dunque non solitario dell’istruzione – nel quale accadono i fatti educativi e formativi, e nei quali uomini e donne possono formare agentività e capacità di dirigere le loro scelte. Le comunità vengono interrogate nella loro capacità di slegare le nuove oppressioni, trasformandosi in contesti in grado di capacitare lo sviluppo umano e l’agentività di uomini e donne. Una nuova condizione che – con Freire – possiamo identificare nella trasformazione della pratica pedagogica e sociale che conduca all’auto-riconoscimento di ognuno – e all’interno di una collettività – in quanto coscienza critica, che trova nella fase riflessiva – individuale e sociale – il nucleo fondante della trasformatività. Sono le comunità i luoghi e i contesti dell’emancipazione moderna, nelle quali sono riconosciuti – e ri-trovano significato – gli apprendimenti di tipo informale e non-formale, tessuto di quell’immateriale che oggi forma il valore del locale, del milieu dei territori, restituendo alle comunità allargate l’espressione di culture, di relazioni e di artefatti che divengono il “nuovo patrimonio” sul quale contare. Le comunità divengono i contesti per superare le contraddizioni attraverso l’affermazione del dialogo, problematizzante e che è pratica della libertà, permettendo di interpretare il mondo e i rapporti che si stabiliscono come un processo in divenire, stimolando la riflessione e l’azione dell’uomo sulla realtà storica e agire per trasformarla.
La prospettiva dello sviluppo umano come piano dal quale ripartire per ritessere nuove alfabetizzazioni, emancipazioni, potere di agire, cittadinanze, nuove comunità deve impegnarsi a ridare parole e linguaggi, capacitare ad essere autori e autrici, rinnovare i temi generativi, che forniscono nuovi significati nelle e delle comunità, dei loro saperi e prassi contestuali. In questa ottica occorre affrontare tre importanti problemi – come scrivono Arelaro e Caetano – che sono alla base della visione freireiana: la teoria epistemologica del dialogo, l’umanizzazione e l’educazione come atto politico e impegno per la trasformazione sociale. Quindi, sostiene Patera, appare cogente interrogarsi sull’effettiva necessità nonché sul significato di una teoria e di una pratica del cambiamento sociale che incarni oggi le sfide della contemporaneità. Rispetto a ciò, la pratica educativa e la riflessione pedagogica devono avere ancora un ruolo, ma è importante chiarire di quale tipo questo debba essere. Pertanto occorre confrontarsi con alcuni concetti chiave due dei quali sono stati messi in luce da Castiglioni la quale sostiene che adattamento ed emancipazione nel pensiero pedagogico devono essere compresi meglio in modo costruttivamente critico. Se non opportunamente supportati da una visone critica tali dimensioni potrebbero condurre verso “circoli di sicurezza” che imprigionano l’esperienza e imbrigliano l’individuo, creando intenzionalmente e paradossalmente, nuove marginalità. In tal senso Rosati considera – con Freire – che l’alfabetizzazione, l’esercizio di coscienza e la pratica di libertà costituiscono la risposta ai bisogni personali che sviluppano e sostengono la lettura della realtà e il riconoscimento dei propri diritti universali.
D’altra parte lo spaesamento, la perdita dei propri riferimenti culturali, scrivono Infantino, Zuccoli e Goulart de Faria, sono diventati l’input scatenante per riaccostarsi ai testi di Freire. Questa sagittale modalità di lettura, collegata in modo stringente ai dati di ricerca, sta facendo emergere una serie di ipotesi dirompenti nella direzione dell’educazione come “pratica di libertà”. Anche Manfreda segnala che quando Freire si propone di alfabetizzare gli abitanti delle favelas non parte dal suo vocabolario, dunque dal suo sistema culturale, egli vuole ricostruire il vocabolario di quelle persone, il loro sistema culturale, per costruire un percorso di alfabetizzazione alla loro cultura, ai loro sistemi di significazione, affinché il processo educativo sia autenticamente a servizio e non strumento di conformizzazione della differenza che disegna una asimmetria e non una reciprocità.
Per sostenere la riflessione degli adulti e dei professionisti, sostiene Michelini, è necessario costruire contesti atti a pensare in maniera intenzionale, secondo le logiche della comunità, assicurando alcune caratteristiche distintive: reciprocità, dialogicità, democrazia, riflessività. Ciascuna caratteristica trova nel pensiero di Paulo Freire la sua radice vitale e feconda. La reciprocità, in particolare delinea l’esigenza dell’assunzione di un impegno congiunto e reciproco da parte dei membri della comunità affinché la riflessione possa essere autenticamente trasformativa ed emancipativa. Occorre dunque costruire un tessuto sociale che si insinui nella prospettiva del Capability Approach, come “ecosistema” di apprendimento “capacitante”, attento alle relazioni, a essere sistema di opportunità, a rispettare e vivere l’ambiente, di innovazione sociale, culturale ed economica.
Mannarini affronta la questione del dualismo oppressore-oppresso, tema chiave del lavoro di Paulo Freire. Il dato è che nelle società democratiche del mondo globalizzato le forme di oppressione non scompaiono, ma assumono forme sottili e ubiquitarie particolarmente insidiose da riconoscere e contrastare. Così una psicologia della resistenza e del cambiamento sociopolitico è possibile se minoranze attive e progettuali sviluppano processi di sostegno comunitario e di contrasto all’oppressione. Il nucleo fondante della democrazia, quindi, scrive Scandurra, va oltre l’adesione formale ad un sistema di regole e chiama in causa uno specifico ethos di cui occorre pedagogicamente farsi carico. Una scuola che possa affrontare con serietà tale questione non può che essere plurale fondata sul dialogo tra culture e generazioni diverse, orientata a sostenere e valorizzare la forza trasformatrice della parola, del dialogo, e l’impegno civile. Ridisegnando – come scrivono Muscarà e Zaparrata – anche la relazione tra scuola e territorio attraverso una progettazione educativa partecipata con e nel territorio, entro cui si colloca.
Riflessioni sulle logiche di potere implicito nelle pratiche educative elaborate da Freire, sono state tematizzate da Ceretti e Ravanelli nel tentativo di esplicitare percorsi che possano riequilibrare la dialettica oppressore oppresso nei contesti mediali; come pure nella rilettura di De Serio dei percorsi della Philosophy for Childern; di Ria per la didattica emancipativa della matematica e di Sgambelluri per il tema della disabilità. In tutti questi saggi si ritrovano tensioni umaniste ed emancipative in pratiche che solitamente hanno una direzionalità conservativa. La stessa tensione la si coglie nel contributo di Benelli e Schachter che mettendo in tensione le prospettive metodologiche di Freire e Dolci in particolare sui temi dell’educazione sociale e di comunità, colgono l’impegno nel sostegno della capacità di scelta e di progettazione e a dare voce ai “senza voce” come matrice imprescindibile di qualunque discorso pedagogico.
Non sono mancati contributi che hanno affrontato aspetti filosofici che sono insiti alle teorie e alle pratiche freieriane. In particolare, Secci ripercorre la maturazione del pensiero critico freieriano a partire dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo verso posizioni più d’afflato utopistico e marxista. Un percorso che potremmo definire non lineare in quanto dialogato in modo critico con la cultura pedagogica nordamericana e quindi anche con il pragmatismo e Dewey. Un poliedro teoretico critico e immagine metaforica della relazione educativa che, come scrivono Armenise e De Leo, sviluppa percorsi aperti e problematizzanti, generativi e creativi. La creatività è capace di generare processi di rivalutazione di sé, di generare il cambiamento, stimola l’azione e la partecipazione attiva al contesto. Come scrive De Giorgi interpreta la proposta freieriana dell’educazione come “pratica di liberta” ipotizzando l’esistenza di un “processo ri-creativo coscientizzante” legato allo sviluppo di pratiche performative. Apre il volume un contributo di particolare intensità perché, come scrive Grion, molti scrittori usano le citazioni dell’opera di Freire, invece di parafrasare i suoi scritti. Questo contributo vuole decentrare dalla parola scritta e vuole andare su alcune delle questioni sollevate dagli studenti di tre decenni fa, che non hanno mai raggiunto un ampio pubblico ma sono comunque ancora nelle menti di molti studenti attualmente ancora interessati al lavoro del loro maestro. È una breve intervista inedita con Freire nel 1988 che parla di affiliazione teorica, critiche e obiettivi delle sue opere. Questo contributo lo si deve alla sua ex studentessa Carmen de Mattos, la quale permetterà al lettore di partecipare ad un’esperienza di grande valore intellettuale e culturale: Quasi cento anni dal pensiero di Freire, eppure ancora di grande e profonda innovazione sociale e culturale.

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