Edito da Edizioni Anarchismo, Trieste, 2015, 336 p., Seconda Edizione
Introduzione alla prima edizione
La presente ricerca è stata condotta, al limite tra filosofia e scienza, su interessi e problemi che, come è naturale, non sempre possono essere sufficientemente abbracciati da un solo ricercatore. Da qui le lacune, eliminabili, almeno me lo auguro, in futuro, ma alle quali ho cercato di porre rimedio, fin d’ora, dedicando un’Appendice alle “Questioni da discutere”, nella quale entrano tutti quei cenni a problemi non affrontati nel testo e che restano vitali e decisivi per un approfondimento della ricerca intrapresa. Spero che dalla lettura dell’Appendice il lettore ricavi uno stimolo di ricerca, per cui potrebbe dirsi concluso lo scopo del mio lavoro, se poi la lettura del testo può aiutare nel portare avanti quella ricerca, la mia fatica non sarà stata del tutto inutile.
La mia ipotesi metodologica si fonda su di una necessità di collaborazione tra scienza e filosofia. Per quanto indigesta possa sembrare ai filosofi e agli scienziati, questa coabitazione non può rifiutarsi, salvo che non si voglia chiudere gli occhi ai problemi che la stessa ricerca scientifica viene proponendo e che sono problemi d’ordine filosofico, salvo che non si voglia ridurre la ricerca filosofica a un gioco tedioso e antiquato, mantenendola ancora sui vecchi canovacci ormai sbiaditi dall’uso.
Questa necessità di collaborazione è provata dallo stesso sviluppo del pensiero moderno, con il suo sottofondo di irrazionalità e con il suo continuo riferirsi a forze di rottura antitradizionali. Il positivismo e l’idealismo hanno entrambi fallito il proprio compito. La scienza moderna ha ridotto le illusioni del primo e la filosofia moderna ha distrutto anche l’ultima fioritura tra le due guerre.
Scomparsa la sicurezza romantica nei destini del mondo, è rimasta l’instabilità, l’insicurezza, la mancanza di garanzia. Su questo terreno hanno lavorato il neopositivismo, la fenomenologia e l’esistenzialismo. Dal loro insegnamento l’uomo ha appreso l’attenzione al proprio perché, all’essere che gli appartiene, ai valori di fondo della sua esistenza, alla misura del rischio e della sconfitta, alla eterna compresenzialità della possibilità negativa.
Ma il significato più recondito, quello che può ancora definirsi come motivo conduttore di tutta un’epoca, resta sempre l’instabilità. In tutti i campi dell’attività umana questa sensazione prende forma e viene analizzata fino a scomparire come sensazione di insofferenza per diventare principio e legge.
L’arte propone questo rifiuto del legame alla realtà, affermando l’inconsistenza di quest’ultima o, in ogni caso, la sua insufficienza a seguire e a valorizzare l’ispirazione e l’interpretazione. Da ciò una penetrazione della conoscenza artistica al di là dell’immediatamente intuitivo, nel pieno riconoscimento dell’instabilità di ciò che apparentemente vuole sembrare ordinato e determinato. In questo modo la narrativa contemporanea sovrappone al tipo ideale del passato il tipo moderno che presenta aspetti della vita di tutti i giorni, anche malsani o sconcertanti. In questo modo l’arte figurativa cerca di arrivare al fondamento della comunicazione percettiva, separando la sovrastruttura dalla infrastruttura del reale, lavorando soltanto su quest’ultima e stabilendo delle relazioni comunicative, affidate nella maggior parte dei casi, ancora al messaggio visivo, ma limitate soltanto al sottofondo infrastrutturale. In questo modo la musica riconosce l’intrinseca libertà e indeterminatezza del contesto musicale, facendone il fondamento dell’armonia. In questo modo la poesia si scioglie dal tradizionale vincolo sintattico e metrico per comunicare l’intima instabilità della sua interpretazione della realtà.
La psicanalisi ci ha fatto conoscere come la fondamentale struttura dell’uomo non sia soltanto razionalità, ma vi giochi un emittente ruolo anche la sessualità, venendosi pertanto a rendere evidenti forti contrasti con una concezione della vita legata a un tradizionale determinismo di fattura razionalisti.
Anche in manifestazioni meno importanti della vita, o almeno non valutabili intellettualmente alla stessa stregua delle precedenti, si manifesta questo stesso sottofondo di instabilità.
Di fronte a questo stato di cose si rendeva necessaria una prima presa di posizione nei confronti della logica tradizionale. In ogni caso andava modificato il vecchio concetto di causalità. L’applicazione di una teoria fondata su relazioni non sempre riscontrabili con misurazioni dirette, o almeno non riscontrabili nella totalità dei termini che le pongono, conduce infatti a una sostituzione del principio di causalità. Una logica di tipo nuovo ci serve pure per potere comprendere il principio fisico di indeterminazione, che altrimenti resterebbe un puro concetto operazionistico e, pertanto, non generalizzabile in casi diversi da quello tradizionale della misurazione contemporanea della posizione e della velocità di una particella atomica.
L’applicazione in filosofia della teoria fisica dell’indeterminazione, trasformata in principio di indeterminazione, dà luogo a una serie di problemi di grande difficoltà che spero di avere almeno delineato con un minimo di compiutezza. Manca ogni riferimento al problema della storia e a quello dell’arte che ritengo sia opportuno trattare in uno studio a parte, proprio perché presentano interessi di ordine specifico, particolarmente se portati a un notevole grado di approfondimento.
La novità dell’argomento, la difficoltà di giungere alla conoscenza dello stato attuale della ricerca scientifica, la stessa nebulosità della riflessione filosofica contemporanea, possono essere tenute presenti come limiti, a volte insormontabili, del mio lavoro, sebbene non possono, ovviamente, considerarsi come scusanti alle mie imprecisioni o manchevolezze.
Catania, 7 gennaio 1968
Alfredo M. Bonanno
Nota dell’Archivio
-La prima edizione venne pubblicata da Studi e Ricerche, Catania, 1968