Edito da Edizioni Anarchismo, Trieste, 2003, 332 p., Seconda Edizione
Nota (anche metodologica) per il lettore
La distruzione necessaria è stata scritta di getto nel febbraio 1968. Mille problemi urgevano dentro di me, avvolti nel bisogno di assolutezza che ingigantiva sempre di più. Proprio questo bisogno dettava i limiti del quadro interpretativo: uscire dalle regole, rompere con la sentenza uniformante che mi ospitava, dire questa rottura, dirla al più presto, a qualsiasi costo.
Ogni esigenza è sempre un atto parziale, riflette e si nutre di quello che c’è in casa. L’armamentario giacobino è evidente in questo libro e il lettore deve tenerne conto. L’ideale anarchico è lontano ma non del tutto assente, emergerà più tardi. Mi muovo in quella direzione ma sono ancora portatore della misura rivoluzionaria appresa sui libri.
Principalmente è l’intellighentia che mi affascina, il suo ruolo guida. Dopo tutto sono un dirigente industriale con pruriti rivoluzionari, per il momento non c’è altro. Talvolta, senza sapere come, questa condizione di fondo si fa meno pesante e invadente (sparirà del tutto solo quattro anni dopo). Qualche altra volta è buio fitto. Mille ragionamenti e altrettante considerazioni critiche vengono inghiottiti dalla notte.
Segnare i punti di minore o maggiore distanza dall’anarchismo, dal mio anarchismo maturo, è opera inutile e fastidiosa. Il lettore può assolvere a questo compito, ma è pregato di non tenere conto dei risultati. Quello che può sembrare un colpo in pieno viso si rivela soltanto faccenda scolastica, scenari illuminati dai riflettori della storia, viaggi interrotti nel territorio delle certezze.
Pubblico la seconda edizione de La distruzione necessaria perché il lavoro presenta ancora un certo interesse, se non altro per ricostruire un itinerario di pensiero e di azione. Se quello che siamo è un universo assoluto, mai definibile con precisione, lo è come esigenza, come compito infinito mai completabile, implicito in ogni cosa che facciamo. Restare silenziosi come pesci in un acquario di fronte alle proprie arretratezze, ai conti da pagare con il passato, è vigliaccheria e stupidaggine. Se voglio diventare quello che sono è perché sono di già quello che diventerò. In caso contrario la partita è persa in partenza. Tutti scoprono più o meno presto nella vita che non c’è un percorso lineare da mantenere, ed è il motivo per cui le ricostruzioni del proprio trascorrere dei giorni è sempre un romanzo di avventure, alieno dal riproporre la realtà così come è stata. Ma poi, come è stata veramente la realtà? I momenti che si oppongono a una perfetta ricostruzione sono tanti, esaminandoli risultano essere essi stessi la ricostruzione, processo insufficiente di conoscenza, inevitabile inquinamento e distorsione di ogni certezza pura e semplice. Il ricordo è sventura se visto come coerenza senza pietà.
Il mio essere quello che sono non è mai esplicitato pienamente. Ogni tentativo è rammemorazione, ripresentificazione di un passato che aspira all’avvenire anticipando (e quindi costruendo) il proprio destino. Liberarsi del convincimento che la diversità (la stessa innocua novità) ci è nemica, sradicarlo dal fondo dell’animo di ognuno di noi dove giace indisturbato come una malattia sconosciuta, è il primo passo di questo processo, la porta di entrata. Ogni sillogismo, ben grattato, porta alla luce questa malattia e la paura che le è congenita.
La conquista del potere, il ruolo dell’intellighentia, il valore dei princìpi, il ritorno alla tradizione, sono ancora punti di riferimento che nel mio libro non vengono affrontati criticamente. Lo stesso impulso immediato e violento inteso come bisogno della violenza liberatoria è visto filtrato dalla logica giustificativa, quella stessa logica che qualche anno dopo definirò dell’ “a poco a poco”, la logica mirabilmente ingegnosa dell’aggiustamento e della riproduzione del dominio. La storia che avevo letto, studiato e meditato, era piena di echi nel buio, echi ricordati con terrore dai redattori, echi delle esplosioni di rabbia della povera gente, ma il tutto lo vedevo come deformato dal prisma della guida e della indicazione teorica.
Le unità ideali del passato, pur continuando a ruotare attorno al concetto di potere, cominciano a costituire un riferimento legato al concetto di “distruzione necessaria”. La vita attesta i suoi diritti imprevidenti e ribalta le pretese dei luoghi miserabili e sordidi dell’ideologia dominante. L’occultato viene alla luce e mostra la misera eredità dei postulati non discussi. La nuova presenza sotterranea lavora attivamente, alla lunga emergerà il nuovo punto di riferimento: la rivoluzione dal basso.
Forse una simile ricostruzione radicale non emerge chiaramente dalla scrittura, ma essa era presente nella connessione operativa tra cultura e sentimento, oltre a essere – entro breve volgere di giorni – nell’aria. L’apertura sotterranea di questa connessione produrrà tensioni dapprima inspiegabili poi sempre più evidenti di per sé, mai bisognose di spiegazioni sofisticate.
Ad assistere questa seconda edizione de La distruzione necessaria ho chiamato alcuni studi preparatori e collaterali in grado di fare vedere gli interessi più o meno dichiarati che completavano il quadro dei riferimenti. Il lettore potrà individuare in essi le origini di alcuni temi portanti del libro, ma anche riflessioni abbandonate che in altra sede troveranno opportuno sviluppo.
A parte qualche piccola modificazione formale questa seconda edizione riproduce esattamente la prima.
Una precisazione particolare meritano le pagine titolate: Note riguardanti l’introduzione di Vincenzo Di Maria alla prima edizione. Molto resta ancora da dire riguardo la collaborazione tra me e quest’uomo. Per quasi un ventennio abbiamo lavorato insieme nella stanza piena di ineliminabili ragnatele che costituiva l’ufficio della sua stamperia. Era questa un luogo come dovevano essercene nel Settecento, un punto di riferimento per tutti coloro che avevano qualcosa da dire a Catania negli anni Sessanta e Settanta, e che spinti da questo dèmone finivano per incontrare questo strano omone con un occhio storto, irrimediabilmente storto. Dotato di grandi capacità di scrittura, la nostra collaborazione si fissò ben presto nel mio compito di stilare per tanti lavori alcune note indicative da lui utilizzate poi per redigere testi che a volte firmava da solo, e che a volte firmavamo insieme. Non pubblico qui la sua Introduzione a La distruzione necessaria, ma ripristino il testo originario delle mie “Note”.
L’Introduzione del 1989 è stata scritta nel carcere di Bergamo. I saggi su Machiavelli sono le pagine residue di un libro dal titolo Filosofia di Machiavelli, andato perduto alla fine del 1958. Il saggio su Ortega y Gasset, ultimo di una serie di saggi su alcuni pensatori “reazionari” che penso di pubblicare in futuro col titolo di Studi indecenti, viene qui inserito perché strettamente connesso ad alcune idee di fondo de La distruzione necessaria. Lo studio su La teologia dei primi pensatori greci è la continuazione de Il problema della verità alle origini del pensiero filosofico, pubblicato su “Studi e ricerche”, 1965, pp. 33-48, di cui un rifacimento sostanziale è stato inserito nel primo capitolo del mio libro: Dire la verità [2001], pp. 25-41. Il saggio Analisi della normalità, redatto all’inizio del 1980 nel carcere di Parma sulla base di appunti risalenti al 1967, è stato successivamente riscritto e completato nel 1990 nel carcere di Bergamo.
Nota dell’Archivio
-La prima edizione venne pubblicata da Studi e Ricerche, Catania, 1968