Sapere, “Seveso”

Mensile, n. 796, Novembre-Dicembre 1976, 161 p.
Estratto dal n. 812, Luglio-Agosto 1978, pagg. 2-20
Mensile, n. 848, Giugno-Agosto 1982, 130 p.

dal primo articolo del n. 796
Si compiono, mentre scriviamo, sei mesi dal giorno in cui una larga nube di sostanze straordinariamente tossiche si alzò da uno dei cento punti in cui si articola nel mondo la produzione di una gigantesca impresa multinazionale per abbattersi e rotolare su una regione densamente popolata del nostro Paese, investendo da sè uomini, abitazioni, culture, animali, corsi d’acqua ed estesi terreni, avvelenando non si sa ancora quanti, producendo danni non si sa completamente quali, per un unico, noto, identificato fine: il profitto del capitale che trasforma in se stesso non solo il pluslavoro degli uomini, ma anche le condizioni, la nocività, i rischi di questo lavoro. Non si è trattato di un incidente ma di un delitto. Data: 10 Luglio 1976; luogo: Seveso ed altri comuni della Brianza; colpevole: ICMESA di Meda; mandante: HOFFMAN e la ROCHE di Basilea; complici: governanti e amministratori italiani di vario livello (centrale, regionale, locale); arma: organizzazione scientifica di produzioni tossiche; reato: lesioni e danni di varia natura e gravità; vittime: lavoratori, popolazione, ambiente.
Un delitto, diciamolo chiaramente, di cui nessuno vorrebbe più sentire parlare: nè gli esecutori nè i mandanti ma nemmeno i complici e le vittime perchè il potere – mai così sconciamente solidale e compromissorio in tutte le sue più diversificate istituzioni ed aggiornate declinazioni – lo ha gestito con apparente dabbenaggine ma perversa accortezza per portare le cose al punto in cui, con derubricazione ad incidente e la minimizzazione delle conseguenze, si verificasse nella coscienza collettiva – così crudelmente ferita ma deliberatamente confusa – un traviamento di bisogni in desiderio di rimozione: basta, non è stata che una calamità, si paghino i danni e si ritorni alla “normalità”! Noi, invece insistiamo a dire che si tratta di un delitto – come documentano i contributi raccolti in questo fascicolo – cui sono inadeguate persino le precisazioni circostanziali date nelle righe precedenti. Vogliamo, cioè, chiarire subito che non è corretto assegnargli una data se è vero, come è vero, che esso veniva compiendosi da tempo ed ora estende i suoi effetti in un altro tempo che nessuno può, oggi, determinare ma che qualcuno, già oggi, si prepara a confondere; nè è corretto indicare un luogo, orgami assunto a toponimo dell’evento, se nessuno può dire e ancora altri non vuole, dove è ormai giunta la diossina – in profondità e in estensione – e in quali cicli bioalimentari si è ormai inserita; nè è corretto limitarci a parlare di “lesioni e danni” mentre ci è e ci sarà ancora negato conoscere – perchè questa è la ratio dell’apparente insipienza di commissioni assortite per omertà politica e aggettivate per specificità scientifica – con quali modalità e frequenze si convertiranno in morte dei colpiti o sventura della loro progenie. Per tutto ciò e ben altro numero di SAPERE non ci sembra tardivo, forse prematuro. Almeno nel senso che “la faccenda dell’ICMESA” non è accaduta ma sta tuttora accadendo, i “fatti di Seveso” sono scritti solo in parte nel passato ma dovremo leggerne ben altri nel futuro, che “il significato della diossina” non lo conosciamo se non per rari squarci di un ben custodito segreto di guerra e di morte. E così per molti altri aspetti e sviluppi del problema. Per questo, se qui presentiamo materiali e considerazioni raccolti secondo il piano da tempo formulato, di una ricognizione e di un’analisi sviluppatesi in questo semestre, non pensiamo certamente che si esaurisca qui l’attenzione di SAPERE per quanto è accaduto e accadrà, ma anticipiamo al lettore ulteriori interventi su questo che, consapevolmente, abbiamo definito delitto contro i lavoratori, la popolazione: l’ambiente.

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