Gianicola Mirko, “Da Algeri a Santiago del Cile. Circolazione delle idee e controrivoluzione nello spazio Atlantico”

Edito da: Storicamente. Laboratorio di Storia
Luogo di pubblicazione: Bologna
Anno: n. 10, 2014
Pagine: 32
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Il saggio analizza la circolazione delle idee in materia di “guerra irregolare” tra Francia, Stati Uniti e Cile dopo la Seconda guerra mondiale. Il contesto internazionale della guerra fredda è caratterizzato dall’emergere della guerra irregolare come paradigma dei conflitti moderni. L’impiego di tecniche eterodosse da parte dei movimenti di guerriglia provoca il disorientamento degli eserciti professionali, inducendoli alla ricerca di soluzioni in grado di stabilizzare la situazione. Più che dimostrare le origini di ciascuna dottrina, il saggio analizza la loro derivazione da un complesso circuito di sistematizzazione teorica, risultante da una tensione continua tra elaborazione locale e circolazione globale. La presenza di elementi comuni in diversi contesti nazionali, malgrado l’assenza di una comprovata volontà di collaborazione ufficiale tra paesi, mostra la capacità di circolazione delle idee attraverso canali diversi da quelli istituzionali. L’obiettivo di questo studio è di analizzare le dinamiche di tale circolazione nell’ambito della contro-rivoluzione e di considerare il ruolo delle reti sociali nei processi di comunicazione.

Nota dell’Archivio: ///

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Binazzi Pasquale, “Abbattiamo il Vaticano”

Edito da: Tipografia La Sociale
Luogo di pubblicazione: La Spezia
Anno: 1910
Pagine: 32
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
L’anticlericalismo è stato sempre ben presente e radicato nella storia italiana già a partire dal Risorgimento, a causa essenzialmente dell’impedimento che la Chiesa costituiva per l’unificazione del Paese, ma anche per la sua modernizzazione sia culturale che economica in un’epoca in cui l’industrializzazione stava trasformando diversi Paesi europei in grandi Potenze. Questa corrente ideologica si esplicò con atteggiamenti sia pacifici che violenti volti a contrastare quella che veniva interpretata come un’intromissione del potere ecclesiastico nella vita politico-sociale italiana. Tra i primi si distinguevano gli scritti liberali, tra i secondi soprattutto le azioni dei socialisti e degli anarchici. Per quanto riguarda questi ultimi non mancarono anche produzioni di carattere intellettuale come la pubblicazione di giornali, libelli e conferenze di carattere propagandistico che costituirono nell’insieme quel periodo del cosiddetto “risveglio anticlericale nazionale” che si protrasse in particolare tra il 1906 ed il 1911. In tale contesto si inserisce quest’opera di Pasquale Binazzi, uno dei più attivi anarchici del tempo, il quale sull’onda dell’emozione per la condanna a morte dell’intellettuale repubblicano spagnolo Francisco Ferrer y Guardia pensatore pacifista, anticlericale, pedagogista libertario, realizzò questo opuscolo che rappresenta una delle poche opere d’analisi intellettuale che esplicano il perché sia necessario superare l’istituzione ecclesiastica per dar modo al libero pensiero umano di esprimersi senza limiti.

Nota dell’Archivio: ////

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Cafiero Carlo, “Rivoluzione per la rivoluzione”

Edito da: Samonà e Savelli
Luogo di pubblicazione: Roma
Anno: 1970
Pagine: 122
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
La raccolta più organica di scritti del Cafiero: dai discorsi documentanti la rottura con Bakunin alla serie di articoli apparsi sulla “Révolution sociale” nota sotto il titolo “La rivoluzione per la rivoluzione, in cui è sviluppata la tesi che la rivoluzione è una legge naturale, causa ed effetto di ogni progresso umano, condizione di vita […]

Nota dell’Archivio
– Non sono presenti in questo file l’introduzione di Gianni Bosio e l’Appendice di Angelo Tasca.

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John Vincent St., “L’IWW, la sua storia, struttura e metodi”

Edito da: Libreria Editrice dei lavoratori industriali del mondo
Luogo di pubblicazione: Brooklyn, New York
Anno: [1919]
Pagine: 39
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Storia, strutture e metodi dell’IWW. Materiale di propaganda per i lavoratori e le lavoratrici di lingua italiana.

Nota dell’Archivio
– Traduzione dell’opuscolo “The IWW. Its history, structure and methods”

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(a cura di) Musto Renato, “Gli IWW e il movimento operaio americano”

Edito da: Theléme
Luogo di pubblicazione: Napoli
Anno: 1975
Pagine: XLVIII+317
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Gli Industrial Workers of the World hanno costituito una tra le più radicali organizzazioni operaie americane. Gli anni del loro sviluppo – caratterizzati da importanti trasformazioni industria e, conseguentemente, della composizione della classe operaia – sono tra i più significativi, più ricchi di esperienze pratiche e teoriche dell’intera storia del movimento operaio, negli USA. L’analisi delle vicende degli 1.W.W. e, soprattutto, l’ampia raccolta di documenti proposta mostrano la novità, spesso l’attualità, dei loro metodi d’intervento e d’organizzazione. Da un lato c’è un’assoluta fiducia nelle capacità autonome del proletariato, l’enorme ricchezza dei metodi di lotta, basati sull’azione diretta, dallo sciopero di massa al sabotaggio; c’è la continua demistificazione dei valori borghesi, dal mito della eguaglianza di diritto all’etica del lavoro. Dall’altro, in polemica sia con la politica del riformismo parlamentare che con la ristretta gestione trade-unignista delle lotte operaie, c’è l’esigenza di costruire una unica organizzazione per tutto il proletariato, che sia non solo uno strumento per la lotta economica quotidiana e per lo scontro finale con il capitalismo, ma anche struttura portante nella costruzione della società futura. Emerge allora un progetto, una speranza complessiva: costituire istituzioni e proporre esperienze di vita attraverso cui il proletariato possa sviluppare le capacità per una direzione complessiva e diretta dell’intera società, spezzando così ogni subordinazione ad ogni altro gruppo sociale e gettando le basi per un nuovo livello di civiltà che realizzi una completa universalizzazione dell’esperienza umana.
La comprensione di queste aspirazioni del proletariato americano, anche nei loro caratteri utopici e contraddittori, è oggi essenziale di fronte ai problemi che il movimento operaio incontra nel paesi a capitalismo maturo.

Nota dell’Archivio
– Come riportato dalla Nota dei traduttori, “gli opuscoli degli I.W.W. non portano di solito nessuna data e, di conseguenza, in alcuni casi la loro datazione può essere effettuata solo attraverso il nome del Segretario Generale-Tesoriere in carica al momento della sua edizione o riedizione; perciò, in casi di datazione non sicura, la data presunta è stata fatta seguire da un punto interrogativo.
Nella traduzione dei documenti abbiamo preferito lasciare termini o espressioni americane, sia in quei casi che si riferiscono a specifiche situazioni americane senza un’immediata corrispondenza con situazioni italiane — ed in questi casi la traduzione è in nota — che per alcuni termini chiave che si ripetono costantemente nel libro. È questo il caso degli aggettivi skilled, semiskilled, unskilled che si riferiscono, rispettivamente, ad operai che hanno una determinata abilità artigianale di tipo manuale, o la hanno solo parzialmente, o non ne hanno nessuna. Ci è sembrato, infatti, che termini quali ” operaio specializzato “, o simili, hanno un significato più vasto e mancano di un preciso riferimento ad un’abilità di tipo artigianale.
Così abbiamo preferito usare i termini craft union o trade union piuttosto che ” sindacato di mestiere “, giacché, malgrado la specificazione, il termine ” sindacato ” finisce per evocare automaticamente la struttura del sindacato dell’Europa continentale, molto diversa da quella di una union americana. Gli aggettivi local, national, international che talora accompagnano il termine union hanno un chiaro significato; solo nel caso di international conviene precisare che si tratta di solito di unions che sono presenti nel Canada, oltre che negli Stati Uniti. Naturalmente abbiamo mantenuto il termine Wobbly (pi. Wobblies) con cui gli I.W.W. indicavano talora se stessi, che letteralmente significa ” instabile “, ” vagabondo “, dal verbo to wobble, oscillare, vagabondare, spostarsi da un posto ad un altro continuamente. Per altre possibili origini di questa parola si veda, in italiano, l’introduzione del libro di Renshaw, Il Sindacalismo Rivoluzionario negli Stati Uniti, Laterza, Bari 1970.
Vogliamo infine notare che l’aggettivo industrial ha un significato più vasto del nostro ” industriale ” con cui lo abbiamo tradotto per ragioni di semplicità e sistematicità; infatti esso ha spesso il significato di ” attinente ai rapporti tra capitale e lavoro all’interno della produzione “, come in espressioni del tipo ” ineguaglianza industriale ” o in nomi di organizzazioni come Commettee on Industrial Relations. Naturalmente con ” organizzazione su base industriale ” si intenderà, come sarà chiaro dal contesto, un’organizzazione che copre tutto un settore della produzione, indipendentemente dalle singole attività lavorative, in contrasto con ” organizzazione su base di craft ” che indica un’organizzazione basata sulla divisione per mestieri.


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Haywood William D., “La storia di Big Bill”

Edito da: Iskra
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: Dicembre 1977
Pagine: 376
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

Questa è la storia personale di William D. Haywood, scritta durante l’ultimo anno della sua vita. Gigante eroico del movimento sindacale americano durante i suoi anni più turbolenti, “Big Bill” era un socialista, fondatore e leader dell’Industrial Workers of the World (IWW). Nato a Salt Lake City, all’età di 15 anni iniziò a lavorare nelle miniere del Nevada e nel 1896, a 25 anni, entrò a far parte della Western Federation of Miners (WFM). A 31 anni fu segretario-tesoriere della WFM e si oppose contro i trust minerari. Divenne il fulcro di molte altre grandi lotte sindacali alla vigilia della prima guerra mondiale, tra cui gli scioperi dei lavoratori tessili a Lawrence, nel Massachusetts, e a Paterson, nel New Jersey. Guidò anche le lotte dei Wobbly per la “libertà di parola” e fu perseguitato per la sua opposizione all’entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale. La sua storia, un racconto avvincente e coinvolgente come un romanzo, dovrebbe essere conosciuta dalla generazione attuale.

Note dell’Archivio

– Traduzione del libro “The Autobiography of Big Bill Haywood”, International Publishers Co., 1929

– Alla fine del capitolo XXIV, il traduttore scrive: “qui s’interrompe l’autobiografia di William Haywood. Tralasciamo il capitolo XXV apparso nell’edizione americana che riferisce in breve come l’autore fosse giunto in Russia ormai malato e provato dall’ultimo periodo di prigionia, e per questo non potè completare le sue memorie.” A questo link vi è il capitolo mancante insieme all’Appendice.

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Lanza Aldo, “Operai e sindacati negli Stati Uniti”

Edito da: Editori Riuniti
Luogo di pubblicazione: Roma
Anno: 1983
Pagine: 140
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

Durante un corso per lavoratori sul sindacato americano dissi che sarebbe stato interessante distribuire un questionario per tentare di stabilire qual era l’immagine che i lavoratori avevano del sindacato di quel paese. «Tutto lavoro inutile, mi rispose sorridendo un sindacalista, tutti sanno che i sindacati americani sono venduti». Questa affermazione era cosi definitiva da far dubitare della necessità stessa del corso da me proposto. Se quel sindacato era «venduto», se la situazione sociale ed economica negli Stati Uniti era cosi diversa dalla nostra, perché affannarsi a imparare delle cose di scarsissima utilità pratica? Erano semmai loro, gli americani, che avrebbero dovuto studiare i nostri sindacati e imparare il significato della lotta di classe.

Questo libro vuol provare a vedere quanto c’è di vero nell’affermazione di quel dirigente sindacale, opinione che forse non è isolata.

Ma cosa s’intende quando si dice che i sindacati americani sono «venduti»? Che la dirigenza sindacale tradisce le aspirazioni della base? Che con la propria azione blocca le lotte dei lavoratori o le indirizza verso obiettivi secondari (come nel film Fronte del porto)? Che si allea con i gangsters o con la mafia? Nella storia del sindacalismo americano ci sono fatti ed episodi che spingono a dare risposte affermative a queste domande. Ma ciò che deve essere respinto è la pretesa che essi siano in grado di fornire delle risposte assolute e definitive. Com’è infatti possibile che il sindacato continui a tradire i propri iscritti da più di cento anni? Come mai i lavoratori non eleggono una diversa dirigenza o non costituiscono un altro sindacato? Perché la maggioranza dei lavoratori ritiene l’iscrizione al sindacato un «buon investimento»? La risposta sta nel fatto che il sindacato americano non si considera come rappresentante di tutta la classe Operaia, ma solo dei propri iscritti. Il sindacato rifiuta di svolgere un ruolo politico e ideale di forza di rinnovamento e di mutamento della società. Ritiene che il suo compito sia quello di assicurare le migliori condizioni di esistenza per i propri iscritti.

«Noi non abbiamo degli obiettivi finali» sosteneva nel 1885 uno dei fondatori dell’American Federation of Labor (Afl). «Noi procediamo alla giornata. Combattiamo solo per degli scopi immediati, per scopi che possono essere realizzati in pochi anni (…). Vogliamo vestire e vivere meglio. Siamo contrari a tutti i teorici (…) siamo tutti uomini pratici».

Con questa filosofia l’Afl rigettava tutte le precedenti esperienze sindacali americane che avevano sempre unito le rivendicazioni ideali e politiche a quelle economiche. Ancora più importante, questo nuovo sindacalismo (variamente detto «puro e semplice», «d’affari», «del pane e burro») faceva piazza pulita del concetto e della pratica della solidarietà operaia. Il sindacato dei Cavalieri del lavoro, la National Labor Union avevano in precedenza sostenuto la necessità di costruire un sindacato solo per tutta la classe operaia. L’Afl invece si limitava all’organizzazione degli operai di mestiere qualificati. Questa scelta veniva giustificata in base al fatto che solo questi operai erano sufficientemente indipendenti da essere in grado di organizzarsi in sindacato e di fronteggiare il padronato. Le conseguenze di questa scelta furono disastrose per il movimento operaio americano. Da quel momento in avanti l’Afl si sentì responsabile solo nei confronti dei propri iscritti. Non solo: ogni sindacato di mestiere s’interessava solo a difendere le rivendicazioni particolari del proprio gruppo senza interessarsi delle conseguenze che esse potevano avere sugli altri gruppi di lavoratori.

Ci vollero cinquant’anni perché questo modello di sindacato venisse sfidato. In questo periodo l’Afl si adattò sempre di più al ruolo che le veniva assegnato dal padronato. Ogni volta che il sindacato cercava di uscire da questi binari si scontrava con l’azione combinata della repressione pubblica e privata. L’estrema violenza con cui il padronato americano rispose a ogni tentativo del sindacato di aumentare la propria influenza convinse l’Afl, e il mondo del lavoro in generale, che negli Usa era possibile solo un sindacalismo «puro e semplice». Questa regola sembrò confermata anche nel caso del sindacato Iww (Industrial Workers of the World, Lavoratori dell’industria del mondo) che, a partire dal 1905, tento di costituire un sindacato rivoluzionario di tutti i lavoratori dell’industria. Dopo alcuni successi iniziali ogni lotta di questo sindacato diventò una battaglia. La repressione più brutale, insieme ad alcune debolezze ed errori degli Iww, ridusse in breve anche quest’organizzazione al silenzio.
Neanche la grande crisi del 1925 scosse le convinzioni dei dirigenti dell’Afl. Con milioni di operai disoccupati essi continuarono a difendere gl’interessi particolari di gruppi sempre più ristretti di lavoratori. Anche quando l’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) approvo nel 1933 una nuova legge che garantiva ai lavoratori il diritto di organizzarsi in sindacati di loro libera scelta, l’Afl non cambiò sostanzialmente la propria politica e continuò a disinteressarsi degli operai non qualificati. Nel 1936 John L. Lewis (1880-1955), presidente del sindacato dei minatori, giunse alla conclusione che non si poteva continuare a lasciare milioni di lavoratori senza protezione sindacale e che questo compito poteva essere svolto solo uscendo dalla Afl. Nacque così un nuovo sindacato, il Congress of Industria! Organization (Cio), che si proponeva di organizzare tutti i lavoratori secondo l’industria di appartenenza, senza divisioni di mestiere. Ciò non comportava un’organizzazione per settore industriale, com’è per esempio oggi in Italia. Significava solo che tutti i lavoratori di una fabbrica o di un’azienda erano organizzati in un solo sindacato indipendentemente dalla qualifica professionale. La trattativa sindacale restava però a livello aziendale.

I primi anni del Cio furono entusiasmanti. Nel 1945 questo sindacato aveva già circa sei milioni d’iscritti. Il Cio si distingueva per la sua democrazia interna e per la fermezza con cui affrontava le lotte. Ma lo spirito iniziale sembrò esaurirsi una volta che i lavoratori delle grandi fabbriche furono sindacalizzati. La repressione e l’anticomunismo che si scatenarono dopo la fine della seconda guerra mondiale (l’epoca detta del maccartismo) facilitarono il ritorno del Cio alla «normalità».

La violenta campagna anticomunista del senatore repubblicano dei Wisconsin, Joe McCarthy, diventò così rappresentativa di una diffusa interpretazione del mondo come scontro fra democrazia e comunismo che il periodo a cavallo fra la fine del 1940 e l’inizio del 1950 viene appunto definito come maccartismo.

Vale la pena di aggiungere che il senatore McCarthy non guidò un vero movimento politico e ideologico ma si limitò a sfruttare e a drammatizzare quell’anticomunismo, spesso superficiale ma molto diffuso, che caratterizzava la società americana dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Ancora una volta di fronte alla minaccia della repressione e alla difficoltà di organizzare in sindacato i lavoratori delle zone povere del Sud o delle aziende di piccole dimensioni, il sindacato decise di ritirarsi a coltivare il proprio orticello. La decisione di chiudersi a difesa dei gruppi operai più forti non fu però un «tradimento». Negli anni del dopoguerra la classe operaia americana non chiedeva riforme e tanto meno rivoluzione ma solo pane e, soprattutto, burro. Gli operai volevano partecipare ai vantaggi e al benessere che l’economia americana in espansione prometteva. Il sindacato era visto come lo strumento più adatto per raggiungere questo benessere, come gli stessi sindacati avevano sempre sostenuto.
Il contrasto fra Afl e Cio era sostanzialmente sui mezzi più adatti per difendere gli interessi così definiti dei lavoratori. Nessuno dei due sindacati riteneva che questi interessi potessero uscire dal ristretto campo economico. È difficile d’altronde pensare a un ruolo diverso del sindacato in un paese in cui l’unica opposizione politica era rappresentata da un gruppo di comunisti, valutato attorno alle 400.000 unità. I due sindacati si trovarono cosi d’accordo sul fatto che gl’interessi dei lavoratori potevano essere difesi con efficacia solo se essi si mostravano responsabili e comprensivi delle esigenze produttive dell’azienda. In cambio di questo essi potevano avanzare delle richieste di livelli salariali sempre più alti.

Nel 1955 Afl e Cio si riunificarono, dimostrando nei fatti che ormai i due sindacati erano sempre più simili. Nel preambolo allo statuto della nuova Afl-Cio si legge:

«C’impegnamo a costruire un’organizzazione più efficace dei lavoratori; ad assicurare loro il pieno riconoscimento e l’uso dei loro diritti; al raggiungimento di livelli di vita e di lavoro sempre migliori; a far si che il loro lavoro permetta di godere il tempo libero; al rafforzamento e diffusione del nostro modo di vita e delle libertà fondamentali che sono la base della nostra società democratica»

Il nuovo sindacato s’impegnava quindi a riconoscere le regole del gioco in cambio di una serie di vantaggi per i propri iscritti. Che tre quarti dei lavoratori americani restassero al di fuori di questo patto sembrava un fatto secondario. Ancora una volta quei lavoratori che non dimostravano la capacità di organizzarsi in sindacato non venivano ritenuti degni di protezione. Molti di questi esclusi s’impegnarono allora a ricercare una via individuale al benessere. In fondo l’immagine dell’uomo che si fa da sé è una caratteristica tradizionale della società americana. In molti casi i lavoratori finirono per convincersi, a torto o a ragione, che l’appartenenza sindacale avrebbe frenato le loro possibilità di scalata economica.

Milioni di lavoratori restarono invece esclusi da quella che sarebbe stata definita in seguito come la «corsa dei topi». Essi erano principalmente donne, neri e giovani che nel linguaggio dell’economia venivano definiti come gruppi di lavoratori «deboli». Essi restarono intrappolati fra un tipo di sindacato che non aveva interesse a investire in loro e un modello di sviluppo che non poteva eliminare la discriminazione, né in campo sociale né in campo economico. A coloro che non trovavano una collocazione funzionale veniva offerta, nel migliore dei casi, l’assistenza pubblica. Una gabbia, insomma, dentro cui tentare di racchiudere e di controllare le spinte alla protesta sociale.

Fino a oggi nessuno è riuscito a organizzare sindacalmente o politicamente i bisogni, le speranze, la disperazione di questi gruppi di lavoratori spinti al margine della società. Essi sono coloro che sono stati venduti dalia classe operaia forte e dalle sue organizzazioni sindacali che hanno solo e sempre difeso gl’interessi limitati di gruppo. Per questa ragione i lavoratori americani finiscono per non dare troppa importanza alla gestione clientelare e burocratica del loro sindacato. Finché quest’ultimo è in grado di assicurare il benessere economico si ritiene che faccia un buon lavoro. Le pagine che seguono, che descrivono le attività del sindacato sia verso i lavoratori che verso il padronato, devono essere lette avendo presente qual è il tipo di funzione che il sindacato è chiamato a compiere negli Stati Uniti. Il giudizio e la critica devono riguardare quindi il funzionamento della società americana nel suo complesso e non si possono limitare alle attività del sindacato.


Nota dell’Archivio: ///

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Car G. Lepori, Nicole Braida, “Poliamore. Riflessioni transfemministe queer per una critica al sistema monogamo”

Edito da: Eris
Luogo di pubblicazione: Torino
Anno: Aprile 2023
Pagine: 64
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

Il poliamore è la possibilità di intraprendere più relazioni affettive contemporaneamente con il consenso di tutte le persone coinvolte. Lə due autorə, da una chiara prospettiva transfemminista e queer, spiegano come le non monogamie abbiano il potenziale di mettere in discussione l’organizzazione del nostro sistema relazionale, per “norma” monogamo, che si interseca con gli altri sistemi normativi che dominano la nostra vita, come quello economico, politico, di sesso/genere. Il modello di poliamore che sostengono è centrato sulla cura reciproca, in opposizione ai sistemi di competizione pervasivi nella nostra società. Questo saggio è frutto di un percorso collettivo di confronto e di lotta dal basso, contro la stigmatizzazione sociale e la polyfobia e contro una visione assimilazionista del poliamore che vada a depotenziarne il suo valore radicale.


Nota dell’Archivio: ///


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Senta Antonio, “Utopia e azione per una storia dell’anarchismo in Italia (1848-1984)”

Edito da: Eleuthera
Luogo di pubblicazione: Milano
Anno: 2015
Pagine: 255
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:

Dai moti del 1848 al neo-anarchismo post-1968, Senta delinea un’originale storia dell’anarchismo italiano che intreccia la grande Storia con le innumerevoli piccole storie di donne e uomini che hanno dato consistenza reale a quel cocktail unico di libertà e uguaglianza che è l’idea anarchica. Grazie a una narrazione serrata e avvincente, partecipiamo in diretta al fluire tumultuoso degli eventi che attraversano, influenzano e spesso modificano la storia d’Italia. Se non mancano i personaggi più noti, questa è soprattutto la storia corale dei tanti anonimi protagonisti che sono stati la carne viva del movimento italiano, la storia degli ideali politici e delle passioni umane che hanno messo in moto generazioni di militanti. Ne viene fuori la ricchezza di un’idea intrinsecamente plurale, sperimentale e antidogmatica che attraverso la storia si fa movimento concreto, in una dimensione che lungi dall’essere solo politica è anche e soprattutto sociale ed etica.


Nota dell’Archivio: ///


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Umanità Nova. Numeri Speciali

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Durata: 1953-1954
Luogo: Roma
Periodicità: Numeri Unici
Pagine: 16 p. (Numero dedicato a Luigi Fabbri); 20 p. (Numero dedicato alle occupazioni delle fabbriche); 20 p. (Numero dedicato ad Errico Malatesta)

Note dell’Archivio

-I tre numeri speciali uscirono come supplementi per il settimanale di Umanità Nova. Il primo numero fu quello su Malatesta, il secondo su Fabbri e l’ultimo sulle occupazioni delle fabbriche.

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