Radames, “Il fronte unico rivoluzionario”

Edito da Cooperativa Tipografica Proletaria, Bologna, 1920, 22 p.

Estratto dalla biografia di Luigi Fabbri, redatta da Santi Fedele
L’opuscolo redatto da Luigi Fabbri “parte dalla considerazione della situazione rivoluzionaria creata dalla guerra per individuare il compito che l’ora drammatica e decisiva (l’alternativa, egli scrive è tra “la liberazione e l’abisso”, tra una rivoluzione proletaria vittoriosa o una repressione quanto mai sanguinosa) assegna agli anarchici: “incuneare nella grande insurrezione impulsiva delle folle una azione insurrezionale di minoranze coscienti che dia un’anima e un indirizzo alle masse”. Affinché ciò sia possibile, argomenta Fabbri, non vale di certo la ricerca delle alleanze con l’accomodante parlamentarismo dei socialisti riformisti né con il verboso rivoluzionarismo di quanti parlano a ogni piè sospinto di rivoluzione rimandandone sempre al domani la messa in atto. Né può risultare idonea alla preparazione di un’insurrezione popolare vittoriosa – sostiene Fabbri – la strategia del fronte unico dall’alto, organismo burocraticamente centralizzato e come tale incompatibile con la formazione di una forza armata proletaria che se formalmente irreggimentata dall’alto verrebbe inevitabilmente scoperta, mentre ben maggiori possibilità di successo avrebbe la tattica, indicata dagli anarchici, del fronte unico rivoluzionario di base costituito da locali gruppi rivoluzionari d’azione “fra individui anche di partiti diversi, ma che personalmente si conoscono, sono amici, ed hanno stima reciproca l’uno dell’altro”. Questi gruppi, “comitati spontanei e volontari esercitanti sull’ambiente esterno una funzione iniziatrice, esecutiva e direttiva”, si sarebbero assunti l’incarico di quella “preparazione pratica e tecnica indispensabile” dell’insurrezione, sulla quale viene mantenuta dal relatore un ovvio riserbo, peraltro esteso alle modalità di collegamento e di raccordo, a livello regionale e nazionale, tra i locali gruppi rivoluzionari.

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Nota dell’Archivio
-Radames era uno dei vari pseudonimi di Luigi Fabbri

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Abiti-Lavoro. Quaderni di scrittura operaia

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Durata: 1981-1993
Luogo: Arcore
Periodicità: Semestrale fino al 1984, annuale dal 1985
Pagine: varia

Nota dell’Archivio
-Presente soltanto il n. 16

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Arnao Giancarlo, “Proibito capire. Proibizionismo e politiche di controllo sociale”

Edito da Edizioni Gruppo Abele, Torino, Febbraio 1990, 143 p.

In tanto parlare, scrivere, dibattere, deliberare, legiferare attorno alle “droghe” cui assistiamo oggi in Italia e altrove, di questa ma­croscopica contraddizione non sembra esservi traccia nei mass me­ dia e negli ambienti politici. Negli ultimi anni, si è tuttavia andato sviluppando in diversi paesi un filone di ricerca orientata alla valu­tazione delle conseguenze concrete di quasi ottanta anni di proibi­zionismo, attraverso l’analisi critica del fenomeno nei suoi aspetti medici, politici, sociali, economici, culturali. Il libro di Arnao fa il punto su questa ricerca, ricorrendo il più possibile alla concretezza dei dati. Si sforza inoltre di spiegare le di­namiche, i significati, le implicazioni politiche del controllo sociale delle “droghe” illegali. Il titolo Proibito capire (parafrasato da Thomas Szasz) parte ap­punto dall’ipotesi che la filosofia della proibizione della “droga”, avendo radici e significati assai profondi nell’immaginario collettivo, si salda con l’inibizione ad affrontare il problema secondo coordina­te razionali.

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Mele Annino, “Mai. L’ergastolo nella vita quotidiana”

Edito da Sensibili alle foglie, Dogliani (Cn), Ottobre 2005, 111 p.

“L’assenza di un fine pena certo può essere considerato il primo basi­ lare dispositivo su cui si fonda l’istituto dell’ergastolo, ed è questa durata infinita della pena che la rende specifica nella sua quotidiana esecuzione. Si potrebbe dire che se con la pena di morte lo Stato toglie la vita ad una persona, con l’ergastolo se la prende”.
Così Nicola Valentino introduce alla lettura di questo libro nel quale Annino Mele racconta l’esperienza quotidiana del carcere, vissuta da un uomo il cui fine pena è fissato al 99/99/9999. Mai. Una narra­ zione che svela senza reticenze il falso mito della funzione rieduca­trice del carcere e quello della presunta virtualità dell’ergastolo nel sistema penale e giudiziario attuale. Come se questa pena non fosse realmente scontata dagli ergastolani. Un libro che descrive i dispo­sitivi del carcere, le sue banali violenze quotidiane (che si possono tradurre in un dispetto о in un suicidio), i suoi misteri irrisolti (come l’epidemia di febbre Q nel carcere del Bassone e le voci che sotto a quelle fondamenta sia stata sepolta la diossina di Seveso). L’autore per questo racconto si rivolge ad una donna che non c’è più e anche questa sembra essere una delle risorse cui attinge per non essere ghermito dal mostro. L’interrogativo che questo libro vuole porre è se non sia giunto il momento di abolire, con un guizzo di civiltà, la pena dell’ergastolo.

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Ferrua Pietro, “Surrealismo e anarchismo. La collaborazione dei surrealisti al Libertaire , Organo della Fédération Anarchiste Française”

Edito dall’Arkiviu-Bibrioteka “T. Serra”, Guasila (Ca), 1996, 32 p.

Questo lavoro è tratto da un quaderno di note, accumulatesi nel corso degli anni. Avendo seguito in prima persona lo svolgimento degli eventi come abbonato al Libertaire dagli anni ’40 ed alle riviste surrealiste negli anni ’50, ho avuto più tardi occasione di consultare la maggior parte delle fonti di parte anarchica allorché predisposi lo schedario del Centre International de Recherches sur l’Anarchisme che avevo fondato a Ginevra nel 1957. Utilizzai per la prima volta le mie note in una conferenza tenuta a Rio de Janeiro per conto del Centro de Estudos Sociais Professor José Oiticica, attorno al 1965. Successivamente ebbi modo di riparlarne con mag­ giore ampiezza durante i corsi sulle avanguardie che svolsi dapprima presso il Cen­tro Brasilero de Estudos Internacionais e, quindi, all’Alliance Française. sempre a Rio de Janeiro, negli anni 1966-1969. Il materiale raccolto avrebbe dovuto essere utilizzato per una tesi di dottorato ma dovetti lasciare bruscamente il Brasile sicché il progetto fu rinviato. Lo ripresi poi con la speranza di ampliare la mia ricerca, quando posi la mia candidatura, nel corso degli anni ‘70, a diverse borse di studio della Fondazione Guggenheim, del Social Science Research Council e dell’ American Philosophical Society che – nonostante il caldo appoggio di J.H. Matthews e di Anna Balakian – mi vennero rifiutate. La corrispondenza intrattenuta con Sir Herbert Read, José Pierre, Maurice Joyeux, le conversazioni con Roland Breton, Jean-Louis Bédouin, Vincent Bonoure e André Bernard (a Parigi), con Roland Breton (a Portland) e con Anna Balakian (a Budapest ed a Aix-en-Provence) non fecero che arricchire il mio dossier. Una borsa dell’Institut Francois di Washington, una borsa di studio ed una di viaggio del Lewis and Clark College – cui sono grato – mi hanno infine consentito di spostarmi e di consultare, microfilmare о fotocopiare alcune rare col­ lezioni di documenti surrealisti od anarchici.

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Note dell’Archivio
-Il “Documento n. 3 (André Breton: La Claire tour)” a pag. 30 è semi-illegibile a causa della scansione fatta
-Traduzione dal francese di “Surréalisme et Anarchisme”, Monde Libertaire, Parigi 1982.
-La seconda edizione francese è stata editata dall’Atelier de Création Libertaire, Lione, 1992.
-La prima edizione italiana è stata editata da Galleria Sileno, Genova, 1983

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Staffetta Eat the Rich a Ventimiglia

Ventimiglia, 2015, 28 p.

La Rete Eat the Rich con il sostegno dell’associazione CampiAperti attiva una staffetta di solidarietà attiva per il Presidio NoBorders di Ventimiglia. Siamo una rete di cucinieri sovversivi, piccoli (auto)produttori e gruppi d’acquisto. Da martedì 23 Giugno partiremo per attrezzare una cucina di strada e un piccolo media-center. Andremo oltre la pratica caritatevole del distribuire pasti, coinvolgendo i produttori del territorio attorno a Ventimiglia, la comunità locale e tutti i soggetti attivi nella gestione della cucina e il recupero delle materie prime. Daremo un contributo materiale a quanti stanno resistendo agli infami respingimenti sul confine francese. Lottiamo per l’accesso a un pasto genuino anche per chi rivendica la libertà di fuga e di movimento.
Rete Eat thè Rich – gastronomia precaria

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Centro Popolare Firenze Sud, “7 anni di condanna per aver protestato contro la guerra in Jugoslavia”

Firenze, 2009, 8 p.

Le sentenze a 7 anni di condanna per i fatti del 1999 in occasione dello sciopero del sindacalismo di base sono un chiaro atto intimidatorio verso tutti/e. Si stabilisce così l’impunità per i veri responsabili delle cariche e dei pestaggi. Dei lacrimogeni sparati ad altezza uomo. Ma si condanna a pene pesanti i manifestanti per la loro responsabilità di trovarsi in prima fila a manifestare contro la guerra della NATO in Jugoslavia.

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Subcomandante Marcos, “La quarta guerra mondiale è cominciata”

Edito da Il Manifesto, Roma, 1997, 74 p.

Raccolta di testi di Marcos e gli interventi di Bettini e Revelli sulla rivoluzione zapatista e la sua influenza nel mondo della fine degli anni ’90.

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Nota dell’Archivio
-Mancano le pagg. 70-74

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(a cura di) Ak47 Immagini Mosse e CSOA Corto Circuito, “Parlando con Marcos. Intervista con il subcomandante Marcos dell’esercito zapatista di liberazione nazionale”

Marzo 1995, 52 p.

Prefazione di Pino Cacucci
Sulla cima della piramide c’é un altare, soltanto una grande pietra in bilico sopra due macigni. Standoci in piedi, scopro che oscilla: per un atti- mo ho una stretta alle viscere, la sensazione di spiccare li volo nel vento e perdersi sul mare verde del Chiapas. Laggiù, in qualche punto di quella foresta scampata al flagello degli allevatori, sono sicuro che qualche piccolo Indio armato della sua vecchia carabina, mi starà guardando e penserà: “Che strano uccello, in cima a quelle vecchie pietre…”. Le rovine di Toninah sono circondate di carriarmati, irti di mitragliere sempre puntate su chi passa, i soldati sono più nervosi che a San Cristobal, e questa che è la più recente scoperta archeologica del Messico, per loro è solo una seccatura: i rari visitatori li costringono a distrarsi dal “lavoro”. All’ingresso della città sacra c’è un piccolo ristorante, ormai chiuso. Il proprietario si riteneva un uomo fortunato, da quando erano cominciati gli scavi proprio nel suo piccolo appezzamento di terra. Sognava sciami di turisti a cui preparare il pranzo, accumulava casse di birra e aspettava, Ma nelle prime settimane di gennaio, si trovava a Ocosingo, e stava mangiando tranqulliamente seduto in un banco del mercato. Si guardava intorno chiedendosi come sarebbe andata a finire, con quei poveracci che aveva- no occupato il paese, armati soprattutto della loro dignità millenaria. Non ebbe il tempo di finire il suo piattino di tacos; i reparti speciali arrivarono all’improvviso, sparando alla cieca. E lui, fu uno del primi a morire, falciato da una raffica assieme a d altri anonimi abitanti, nella strage del mercato di Ocosingo. Gli zapatisti rimasero a resistere, per dare il tempo alla gente di mettersi al riparo, per limitare il numero di morti assassinati a tradimento, mentre mangiavano o compravano verdure e poveri tessuti. Quel giorno, a Ocosingo, tra gli uomini dell’Esercito Zapatista è avvenuta una sorta di rivoluzione interna. Prima, molti di loro si chiedevano se le donne fossero capaci di combattere, e se fosse giusto ricevere ordini da una ragazzina, o dalla propria sorella o compagna. “Da quel giorno, i dubbi sono finiti”, a scritto Marcos. “Perchè a Ocosingo sono state le comandanti dell’EZLN a coordinare la resistenza e la ritirata senza sbandamenti. Le comandanti hanno guidato gli altri in avanti, in una rapida controffensiva che ha permesso di portare via i nostri feriti e alla gente di rifugiarsi nelle case, Da allora, nessuno si chiede più se una donna sia capace di combattere con lo stesso coraggio di un uomo. A Ocosingo abbiamo dovuto tutto a loro”. Sulla parete ho appeso una foto in più. C’è Marcos che parla al tavolo delle trattative. Accanto una piccola donna con una veste rossa a fiori bianchi, passamontagna calato, lo sguardo dolce e calmo: è la comandante Ramona, che partecipava agli incontri con gli emissari del governo nella cattedrale di San Cristobal. Nei mesi seguenti, la sua presenza divenne abituale. Poi, scomparve. I giornalisti chiedevano a Marcos dove fosse finita, la comandante Ramona. Marcos rispondeva in maniera evasiva, a volte infastidita, dimostrando che preferiva non gli venisse chiesto. E gli amici che ho a San Cristobal, mi avevano riferito la voce che circolava: la comandante Ramona è gravemente ammalata, si dice abbia un tumore. Nel novembre scorso, gli zapatisti hanno annunciato che Ramona si era unita al volo delle aquile che osservano la Selva Lacandona da lassù, oltre le nubi basse del Chiapas, sotto il sole che splende sulla cima delle montagne. La morte è sempre una beffa, non esiste un modo di morire- che sia stupido e un altro che sia “intelligente”. Qui si è abituati a morire di stenti, dissenteria, morbillo, persino un raffreddore può uccidere se si patisce la fame da generazioni. Ramona, forse,aveva immaginato che per lei sarebbe stata una pallottola a Ocosingo, quel giorno dell’attacco al mercato. Invece, l’ha uccisa un tumore. Di lei, non conosceremo mai il volto. Ma che importa. In cinque secoli di resistenza, sono caduti 60 milioni di indios senza volto e senza nome. Di lei, almeno conserverò il ricordo dello sguardo dietro il passamontagna nella foto alla parete. Sono certo che Marcos sarebbe d’accordo: a chi, se non a Ramona, si potrebbe dedicare questo libro, a nome di tutti i caduti per la dignità degli esseri umani, per la fierezza di non aver mai chinato mai la testa… Che la terra della selva ti sia leggera come la tua veste a fiori nella foto, comandante Ramona.

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Oaxaca Insurgente. La sollevazione popolare nel sud del Messico

[Probabilmente seconda metà degli anni 2000-Primi anni ’10], 56 p.

Introduzione
Questo libretto è un dossier sui recenti fatti che stanno sconvolgendo il sud del Messico. Nello stato di Oaxaca, infatti, da mesi le lotte sociali sono esplose in uno scontro diretto con gli apparati di potere. La richiesta di dimissioni del governatore locale fa da punta di iceberg di una realtà che sta mettendo in crisi tutto il modello di dominio statale. Infatti l’interesse che suscita questo scenario va ben oltre la solidarietà ai colpiti da una repressione infame, che ha mietuto, fino a fine novembre, più di 20 vittime. Lo stato sta rispondendo con le armi a un progetto di autogoverno popolare che ambisce a sostituirsi alle istituzioni. La Comune di Oaxaca, così ormai è chiamata questa realtà, è un insieme eterogeneo di lotte, organizzazioni, desideri, popoli indio, musiche, sedi occupate. Questa esperienza eccezionale è strutturata in un’assemblea permanente, l’APPO, Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca, dove convergono le varie strutture, le individualità, i vari municipi ribelli che formano la società oaxaqueña. E’ la forma embrionale, ma attivissima, di un contro-potere popolare. Il limite di queste pagine è di non tenere il passo degli eventi che convulsi continuano ad accavallarsi dal profondo Messico. Cortei, repressione, comunicati, assemblee, barricate sono la storia in corso in queste ore dall’altro lato dell’Atlantico. Queste parole vogliono semplicemente fare luce nel buio totale in cui ci hanno immerso i media ufficiali, impegnati a oscurare tanto la sanguinosa repressione quanto la sorprendente autorganizzazione degli/lle insorti/e. Diffondere e amplificare il grido di rivolta di Oaxaca è il minimo che possiamo fare per esserne solidali, mentre riflettere sulla reale costruzione di forme di autogoverno territoriale è un invito troppo allietante per chi desidera e lotta per una trasformazione radicale della società.
Lunga vita alla Comune di Oaxaca!

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