(…)Animarono e vissero la Resistenza tutti quegli uomini che preferirono il carcere, il confino di polizia, l’esilio o la sofferenza della cospirazione in patria alla sottomissione: tutti quegli uomini che per vent’anni non dettero tregua al fascismo e lo combatterono sui monti qui e in Spagna. E non lo fecero soltanto per il disgusto dello spirito gregario coltivato dalla dittatura fascista, bensì in funzione delle grandi idealità storiche, attive nella loro coscienza. (…) Gli antifascisti militanti traevano impulso e motivo per la lotta contro il fascismo proprio dalla loro estrema qualificazione: il fascismo li aveva condannati, imprigionati, confinati non solo perché «anti», ma per il loro essere comunisti, socialisti, giellisti, anarchici. Ed è proprio qui che si rivela in pieno la peculiarità della tattica stroriografica: siccome l’enunciazione di una teoria storica, di una dottrina come quella anarchica, segnata dal pensiero, dall’azione e dal sacrificio di una lunga schiera di uomini generosi e ribelli, non può suonare nei consensi statali del partitismo, dove la cannibalesca vicenda del potere trova sempre giustificazioni elettorali, gli scrittori di regime si appellano all’antica e reazionaria pedagogia per cui anarchia vuol dire disordine, confusione, impulsiva e caotica ribellione.
Edizioni Fondazione Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, 1988, p. 97
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