Tarantini Domenico, “La maniera forte. Elogio della polizia. Storia del potere politico in Italia 1860-1975”

Edito da Bertani Editore, 1975, Verona, 382 p.

Questo libro non è un lamento funebre, né un «grido di dolore», e neppure una «storia a rovescio». £ una requisitoria contro il potere politico e quindi contro lo stato, perciò contro la borghesia. Ma è anche una requisitoria contro I partiti della sinistra storica, che sono responsabili di aver arginato non solo le attese rivoluzionarie ma anche le iniziative auto­nome, gli attacchi spontanei tante e tante volte portati dalle masse contro il proprio nemico naturale, la borghesia capitalistica. Questo, dunque, è un libro di parte, e l’autore non solo non ha fastidio nel riconoscerlo ma egli stesso io dichiara apertamente. Del resto, è proprio questo che si è proposto di scrivere: un libro partigiano che avesse non solo nel contenuto ma anche nella forma la chiarezza e l’immediatezza di un’azione partigiana. Vorrei dire di più: questo libro è un’azione di guerra, modesta non importa, ma ferma e decisa; un’azione di quella guerra che la classe oppressa conduce da oltre un secolo contro la classe dominante. D’altra parte, che cosa sono tutti i libri di storia che i professionisti della cultura, gli storici di mestiere, i manipolatori dell’informazione culturale scrivono per sostenere, esaltare, propagandare le imprese della borghesia, per costruire la sua immagine di classe che ha saputo costruire una società che definiscono libera e definitiva? Non sono forse altrettante azioni di guerra, della guerra ininterrotta che il potere borghese conduce contro le masse operaie e contadine? Dunque, alla violenza borghese, l’autore ha voluto opporre la violenza proletaria, ad una continua azione di guerra, un’azione di guerra dalla parte opposta. Ma questo libro vuol essere anche un elogio; non tanto della polizia — cioè di un efficace strumento fedele e devoto di chiunque disponga delle leve di comando dello stato — quanto del potere, che ha saputo perpetuare se stesso con i mezzi di sempre: la menzogna e la forza. Questo elogio, però, non è senza significato né senza scopo. Il padrone — com’è stato detto padrone perché conosce 1000 parole, mentre il proletario è proletario perché conosce solo 150 parole. Questo libro non pretende di insegnare al proletario le altre 850 parole. L’autore riterrà di aver compiuto un’azione concreta se il proletariato troverà in questo libro una parola nuova anche se tante e tante volte ripetuta: rivoluzione.

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