Gennaio 2018, 20 p.
La vicenda del gasdotto che ENI e SNAM vogliono erigere lungo tutta la catena appenninica è pressoché sconosciuta anche fra coloro che lottano contro la civilizzazione e contro le mostruosità con cui il capitalismo ogni giorno avvelena le nostre vite. Vorremmo cominciare a parlare di questo tema, non per fare la solita lagna cittadinista, ma per stimolare la giusta rabbia. A rendere difficile la trattazione dell’argomento ci hanno pensato i “capoccioni” della Snam che contribuiscono a fare confusione. In effetti questo “coso” non ha nemmeno un nome. L’appellativo istituzionale dell’opera è Rete Adriatica. Un nome ufficiale che non dice nulla, dato che il gasdotto passerà per l’Appennino e non per il mare. Non che se fosse passato altrove sarebbe stato meglio, per quanto ci riguarda. Per rovesciare la mistificazione in piena neo lingua orwelliana che gli stregoni del metano cercano di instillare, pensiamo sia giusto chiamare il “coso” gasdotto Snam, così che sia chiaro sin da 8 subito chi sono i responsabili di un’opera tanto nefasta. Il potere non è qualcosa di fantasmagorico, ci sono i responsabili: hanno un nome e un indirizzo. Nel caso di specie si chiamano ENI, la multinazionale della morte che in tutto il mondo innalza la bandiera dell’italico imperialismo, e SNAM, la grande ditta nazionale che si occupa delle arterie energetiche con cui alimentare la mega macchina industriale nella Penisola. Il progetto del gasdotto Snam è precedente al più noto Tap. In origine prevedeva di portare al nord il metano dal previsto rigassificatore di Brindisi. Ormai è invece del tutto integrato al gasdotto Tap e, nei progetti cancerogeni dello Stato italiano, dovrebbe essere la naturale prosecuzione dell’autostrada del gas che dall’Azerbaigian porterà il prezioso nutrimento energetico per l’industria europea, passando per il Salento e attraversando l’Appennino. Non esageriamo se ci permettiamo di dire che si tratta di una delle opere più gravi partorite dalle menti perverse degli scienziati della morte. Un impianto lungo quasi 700 km, che in maniera originale anche rispetto a precedenti “grandi opere” questa volta attraverserà una catena montuosa “in verticale”, da sud a nord. Settecento km di scavi nel cuore delle nostre montagne. Un cratere di un diametro di 40 metri imposti per legge come servitù permanente, per ragioni di sicurezza. Insomma una autostrada di 40 metri che per 700 km taglierà boschi, scaverà rocce, attraverserà fiumi. Un impatto devastante sarà dato dalle centinaia di nuove strade che verranno edificate per raggiungere i luoghi ameni dove si svolgeranno i lavori. Strade che prevedono l’attraversamento di camion pesanti e mezzi di lavoro. E che in buona parte rimarranno per sempre, per agevolare la manutenzione e per raggiungere il gasdotto nel caso di incidenti che richiedano interventi straordinari. Non amiamo insistere sui dati tecnici, che spesso diventano materiale di scambio nelle trattative fra lo Stato e i riformisti, ma per questa volta alcuni elementi dobbiamo sciorinarli necessariamente affinché ci si renda pienamente conto della pericolosità di un’opera da impedire con ogni mezzo. Per esempio, il territorio interessato è da sempre soggetto a terremoti. Nell’Appennino c’è un grosso terremoto – un terremoto “da 300 morti”, per usare categorie non scientifiche ma umanamente comprensibili – ogni tre anni, in media. Costruire un gasdotto in un territorio del genere è un grave pericolo per la natura e per gli umani che vivono in queste montagne. Il gasdotto infatti passerà in città come Sulmona, L’Aquila, Norcia, Foligno, ben note alla cronache. Non c’è ovviamente alcun dibattito né alcun appello alla ragionevolezza da fare con coloro che hanno come unico parametro il profitto. Se citiamo questi elementi è solo per comprendere e incazzarci; per agire. L’unica lingua che capiscono i burocrati dello Stato, i manager delle multinazionali, i loro protettori armati, è la forza. Un gasdotto di settecento chilometri è una mostruosità. Ma settecento chilometri di lavori sono anche un punto di debolezza. Con l’azione diretta possiamo farli impazzire. Purtroppo però con le lotte risorgono anche i vecchi parassiti della politica. Come gli zombi negli horror di serie B degli anni ’80, certi professionisti dell’ecologismo riformista si rialzano ogni volta che credi di averli eliminati. E così si parla di “coordinamenti”, fronti democratici e popolari, assemblee cittadine. Luoghi dove, redivivi, ti ritrovi i professionisti del monologo, i presenzialisti, coloro che hanno il portafoglio abbastanza gonfio e l’agenda abbastanza vuota, da potersi permettere di partecipare a tutte le assemblee in tutto l’Appennino e anche giù fin nel Salento, dove parlamentare e far passare la propria linea. Proprio perché pensiamo che il gasdotto Snam sia qualcosa di troppo grave per essere lasciato in mano alle miserie della politica, per informare su un tema poco conosciuto, ma soprattutto per discutere su come combattere questo progetto, nelle prossime settimane incontreremo in diverse città le compagne e il compagno che dall’Umbria hanno scritto l’opuscolo “Alla canna del gas”. Un’analisi, a partire dalla Valnerina, sul gasdotto Snam, sui capitalisti che lo vogliono, e sullo stato di salute dei movimenti che sostengono di combatterlo.