Pelloutier Fernand, “Storia delle borse del lavoro. Alle origini del sindacalismo”

Edito da JacaBook, Milano, Luglio 1976, 233 p.

Il nome di Pelloutier è più di ogni altro legato all’esi­stenza e alla storia delle famose “Bourses du travail” di cui fu segretario dal 1895 al 1901. Questa opera ha il duplice valore di descrivere un gran­de salto qualitativo operato nella storia delle organiz­zazioni sindacali e, nello stesso tempo, di essere la testimonianza diretta di un protagonista di tale avvenimento. “Oltre al fondamentale servizio di collocamento degli operai, tutte queste Borse del Lavoro erano fornite di una biblioteca, corsi professionali, tenevano confe­renze economiche, scientifiche e tecniche, servizi di assistenza per compagni di passaggio; esse avevano, fin dalla loro apertura, permesso la soppressione in cia­scun sindacato di servizi che, necessari finché i sinda­cati avevano vissuto isolati, divenivano ora inutili da quando un’amministrazione comune era in grado di provvedervi; esse avevano già coordinato le rivendica­zioni, il più sovente incoerenti, e talvolta anche contraddittorie, stabilite dai gruppi corporativi in base a dati economici insufficienti; in breve, esse avevano, in meno di sei anni, assolto, ciascuna nella propria sfera, un compito di cui la Fédération des syndicats non aveva neppur sospettato l’importanza’ e l’utilità. L’idea di federare queste Borse del Lavoro era ine­vitabile…”

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Note dell’Archivio
-Traduzione del libro “Histoire des Bourses du Travail”, Alfred Costes Editeur, 1921.
Nella versione originale in francese vi è la prefazione di George Sorel e la nota biografica di Victor Dave
-L’edizione curata da JacaBook è tratta dalla versione in inglese dell’opera di Pelloutier, pubblicata da Gordon&Breach, Parigi-Londra-New York, 1971
-Recensione pubblicata su “Autogestione. Rivista trimestrale per l’azione anarcosindacalista“, n. 2, Primavera 1979: “La breve ed intensa vita di F. Pelloutier (1867-1901) coinci­de con la rinascita del movimento operaio e sindacalista (un sindacalismo non certo paragonabile a quello che abbiamo oggi sotto gli occhi) seguente alla sconfitta della Comune di Parigi fino agli inizi del 1900. Pelloutier è stato un anarchico strettamente legato alla real­tà quotidiana sostenendo fermamente il suo disprezzo per le formule politiche e preconizzando la lotta sul terreno pura­mente economico. Allora come adesso esisteva nel campo libertario chi non ammetteva la efficacia dell’azione sindacale e in una famosa “lettera agli anarchici” il compagno francese definisce limpida­mente il suo pensiero: “Partigiani della soppressione della pro­prietà individuale, noi siamo inoltre quello che i politici non sono, dei ribelli in ogni circostanza, uomini senza Dio, senza padrone e senza patria, i nemici irriducibili di ogni dispotismo morale e collettivo, cioè delle leggi e delle dittature (compresa quella del proletariato) e gli amanti appassionati della cultura in se stessa. Agli anarchici che non ammettono l’efficacia dell’azione sindacale (chiede) di rispettare quelli che credono alla missione rivoluzionaria del proletariato illuminato di prosegui­re più attivamente, in modo ancor più metodico e ostinato che mai l’opera di educazione morale, amministrativa e tecnica ne­cessaria per rendere vitale una forma sociale di uomini liberi”. La sua vita la dedica all’azione proletaria, convinto che 1’emancipazione del proletariato sarà opera del proletariato stes­so, è fra i maggiori (o il maggiore) organizzatori delle “Camere del Lavoro”, quegli organismi di auto-organizzazione ed eman­cipazione dei lavoratori che segneranno l’origine del sindacali­smo rivoluzionario organizzato.Sull’esperienza delle Borse del Lavoro Pelloutier ha scritto un libro (edito nel 1976 dalla Jaca Book sotto il titolo di: “Storia delle Borse del Lavoro, alle origini del Sindacalismo”)che è soprattutto una analisi della società francese dalla Comu­ne in poi, dalla sconfitta del proletariato nel 1871 alla tenue ri­presa dell’attività sindacale caratterizzata dalla conciliazione tra capitale e lavoro espressa da organismi formati da uomini intimamente compiaciuti di avere il campo sgombro dai rivolu­zionari repressi e annientati dalla reazione borghese. Ma l’inse­gnamento della Comune ha lasciato tracce profonde come pure la propaganda dell’Internazionale, per cui già al primo congres­so operaio cominciano a riaffiorare i primi rivoluzionari ed anarchici, comincia a crearsi un nuovo legame tra gli operai che si contrappone a chi ha voluto far causa comune con gli sfrut­tatori; ed è cosi che nel 1878 (secondo convegno operaio) si parla apertamente di abolizione dello Stato, dell’organizzazio­ne politica centralizzata (struttura che mantiene l’ingiustizia economica) per riaffermare i principi anti-autoritari e anti-stata­listi.Anche nel campo sindacale iniziano a riaffiorare le divisioni tra statalisti e anti-statalisti, controversia che negli anni ’70 ha causato la profonda rottura all’interno della Prima Internazio­nale. Ed e in questo ambito e in questo momento storico che alcuni uomini al contempo membri di associazioni operaie e del Partito Operaio Francese fondano una federazione “cre­dendo di intravedere nel nuovo programma sindacale la prova che le organizzazioni operaie fossero definitivamente acquisi­te al socialismo parlamentare e nello stesso tempo compren­dendo che i sindacati costituivano una forza che era puerile di­sdegnare”. La nuova federazione non realizza le speranze dei proletari e nemmeno quelle dei suoi fondatori poiché fin dall’inizio essa è una macchina messa al servizio del “partito” per facilitare il successo dell’azione elettorale in cui quest’ultimo si è impegnato. Il fallimento e la fine della Federazione viene affrettata da alcune circostanze, prima fra tutte la nascita(nello stesso anno) della “Camera del Lavoro” di Parigi “cen­tro di riunione delle organizzazioni operaie che sta ottenendo come primo risultato quello di annodare tra loro solide e per­manenti relazioni permettendo quella difesa, quella mutua for­mazione la cui assenza ha costituito fino a quel momento 1’ostacolo insormontabile al loro sviluppo e alla loro efficacia”. Dopo il fallimento della federazione legata al Partito, la“Federazione delle Camere del Lavoro” resta la sola organizza­zione esistente e costituisce l’applicazione più alta e definitiva dei “consigli di gruppo e di solidarietà” dati trent’anni prima al proletariato dall’Internazionale. Esse si dichiarano risolute a re­spingere ogni ingerenza di autorità governative e comunali, ri­pudiando il mutualismo umiliante e inefficace dei sindacati del1875 per adottare il mutualismo proudhoniano e il federalismo bakuninista. La loro azione comprendeva il servizio di mutuo soccorso(collocamento, sussidio di disoccupazione); il servizio di inse­gnamento con la creazione di biblioteche che “hanno come fi­ne di concorrere al progresso morale e materiale dei lavorato­ri di entrambi i sessi”, divenendo delle vere e proprie “universi­tà dell’operaio”; il servizio di propaganda e il servizio di resi­stenza che si occupa dell’organizzazione degli scioperi e delle agitazioni. Federaliste, le Borse non cessano mai di rivendicare l’auto­nomia, la divisione dei poteri, la dimissione dell’autorità cen­trale per una rivoluzione senza più Stato nè centralizzazione; nella pratica organizzativa in “Comitato” delle “Camere del Lavoro” sceglie una sede fissa, sede che non costituisce in al­cun modo un’adesione alla politica centralizzatrice, ma ha co­me significato quello di evitare che il comitato cada ogni anno nelle mani di una nuova setta politica.Scrive Pelloutier: “Dopo il 1894, la Federazione delle Ca­mere del Lavoro è rimasta la sola organizzazione francese vi­vente, esse riflettono lo stato d’animo dei raggruppamenti ope­rai… dando corpo al segreto desiderio degli operai di scuotere qualsiasi tutela e attingere ormai in loro stessi gli elementi della loro emancipazione”; gli aderenti alle Camere del Lavoro com­presero che potevano elaborare da soli gli elementi di una nuova società, come compresero che la trasformazione economica deve essere opera degli stessi sfruttati; a ciò si aggiunse l’ambizione di costruire all’interno dello stato borghese “un autentico stato so­cialista (economico e anarchico), di eliminare progressivamente le forme di associazione, di produzione e di consumo capitali­sta con delle corrispondenti forme comuniste”. Sono queste le congetture future delle Camere del Lavoro.E in rapporto allo sbocco della Federazione il comitato fe­derale delle “Bourses” afferma: “… La rivoluzione sociale deve quindi avere quale obiettivo sopprimere il “valore” di scambio,il capitale che questi genera e le istituzioni da esso create. Noi partiamo da questo principio: che l’opera della rivoluzione de­ve essere quella di liberare gli uomini, non solamente da ogni autorità da ogni istituzione, che non abbia essenzialmente qua­le fine lo sviluppo della produzione. Di conseguenza, noi non possiamo immaginare la società futura altrimenti che come “1’associazione volontaria e libera dei produttori”. Se è esatto che l’avvenire spetta alla libera associazione dei produttori, prevista da Bakunin, emersa in tutte le manifesta­zioni di questi due secoli, sarà in organismi simili alle Camere del Lavoro ma aperti a tutto ciò che pensa e agisce, che gli uomini si incontreranno, per cercare in comune i mezzi per or­ganizzare le forze naturali servire per il benessere della umani­tà.Concludendo, lo spirito delle “Bourses”, in particolare del loro segretario (Pelloutier) prevale nella CGT (Confederazione Generale del Lavoro), creata nel 1898, e che da quel momento prevarrà nel movimento sindacale francese sino alla vigilia della prima guerra mondiale. Il sindacato è separato dai partiti e la sua autonomia reale è condizione della unità proletaria, la CGT ha un carattere elastico come organizzazione, tesa a coordinare ma non agisce burocraticamente e dirigisticamente mentre l’azione diretta nelle singole realtà diventa lo stile di lotta.”

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