Edito da Studi Sociali, Montevideo, 1950, 25 p., Quarta Edizione
Ci spingono a ripubblicare questi vecchi scritti di Malatesta, non compresi nei volumi usciti a cura di Bertoni durante il periodo fascista, né nel volume di “Scritti scelti” pubblicato recentemente a Napoli, due ragioni, che ci sembrano una migliore dell’altra. La prima è che, meno per i pochissimi “veterani”, che conservano le collezioni dell’ “Agitazione” d’Ancona, della “Questione sociale di Paterson e d’altri vecchi giornali, o sono riusciti a procurarsi le quasi introvabili collezioni dei giornali (“Lotta umana” di Parigi e “Studi Sociali” di Montevideo) fatti in esilio da Luigi Fabbri, che cercò di ripubblicarvi il maggior numero possibile di articoli vecchi e introvabili di E. Malatesta, quanto quest’ultimo scrisse prima del 1919 è praticamente inedito. E nell’attesa che la collezione di Bertoni sia completata e si abbiano finalmente di Malatesta le opere complete, non è male che parte di questo materiale veda la luce sotto forma d’opuscoli. L’altra ragiona è assai più poderosa e vale anche per l’articolo di L. Fabbri. Da un po’ di tempo si assiste – nel campo anarchico non solo italiano – al rinverdire di vecchi problemi e di vecchie polemiche, che, per la generazione giunta a maturità prima delle due guerre mondiali, non avevano più che un interesse storico, giacché, definite chiaramente le rispettive posizioni, i contendenti, dopo aver raggiunto un certo limite d’accordo, avevano delineato e accettato, come premessa su cui era inutile tornare, il sussistente margine di dissenso. Il principale di questi problemi è appunto quello dell’organizzazione e delle sue forme.
La lunga parentesi del fascismo e della guerra, impedendo alle giovani generazioni di mettere pienamente a profitto l’esperienza delle precedenti, ha rotto la continuità ed ha portato quindi a delle ripetizioni che vorrebbero essere – e non sono – superamenti. Si sono così riprodotti il fascino dell’azione per l’azione, la suggestione dei facili (ma quanto illusori!) successi dell’organizzazione ferrea, della pianificazione, e – più legato di quanto non sembri a questi elementi piuttosto sentimentali che razionali – il mito del classismo. Parallelamente, e come reazione a questi intermittenti impulsi dichiaratamente o potenzialmente revisionisti, c’è stata nel movimento anarchico un po’ da per tutto un’accentuazione delle tendenze non tanto individualiste quanto antiorganizzatrici.
Discutendo con gli uni e con gli altri. Malatesta e Fabbri, han tenuto quella che a noi sembra la via maestra dell’anarchismo. E siccome – ripeto – nessun nuovo fattore è entrato in campo in questo speciale problema, “Studi Sociali” intende contribuire a questa rinnovata discussione con la ripubblicazione di questi vecchi ma sempre vivi articoli di Malatesta e di uno degli ultimi lavori di Luigi Fabbri, dal titolo “Libera sperimentazione”. Pensiamo che sia più utile questa ripubblicazione, che lo scrivere qualcosa di nuovo sull’argomento, anche perché, nel corso delle ultime discussioni s’è incorsi in errori di prospettiva per quel che riguarda la storia del nostro movimento. Per esempio A. Prunier, in una lettera all’ “Adunata dei Refrattari” pubblicata sotto il titolo “L’opinione dei compagni” nel numero del 21 Gennaio 1950 di quest’ultimo giornale, fa la seguente affermazione: “questa cortese polemica oppone da un lato i compagni che vedono…l’anarchismo come una delle scuole del socialismo, ossia un’affermazione della preminenza della società sull’individuo, dall’altro quelli che riconoscono il primato dell’individuo con Giuseppe Ciancabilla, Luigi Galleani e Malatesta stesso (sottolineato da me, l.f.)”. Ora come si vedrà da questi articoli, Malatesta era appunto fra coloro che si consideravano socialisti anarchici (denominazione abbandonata da lui e da altri che la pensavano come lui per ragioni di semplice opportunità); non dava però affatto alla parola socialismo il senso di preminenza della società sull’individuo – e nessun anarchico glielo darebbe,- ma invece quello di proprietà collettiva dei mezzi di produzione e di scambio diretto al fine di liberare l’individuo dallo sfruttamento ch’è poi una delle forme dell’autorità. Mi sembra che la cosa sia di nuovo da chiarire, perché si è tornati alle vecchie confusioni. Ed è bene chiarirla con le vecchie parole.
L’affermazione di Prunier si basa su uno scritto di Malatesta, pubblicato in “Pensiero e Volontà” (n. 15 del 1 Agosto 1924) in risposta a Luigi Fabbri, scritto ch’egli interpreta evidentemente in modo arbitrario. Infatti Malatesta sgombra in quest’articolo il terreno della discussione, collocando addirittura fuori dal campo anarchico la maggior parte degli individualisti contro cui aveva diretto alcuni scritti del 1897 anteriori a quelli che ripubblichiamo (e infatti i superuomini, gli adoratori dell’io s’erano in gran parte allontanati da sé, attratti com’erano stati dal dannunzianesimo estetizzante, sboccato poi nel fascismo), e limita il campo della disanima a quegli anarchici che considerano la proprietà individuale come garanzia di libertà. Malatesta afferma che questi ultimi, volendo arrivare, con un sistema diverso, agli stessi fini di liberazione della personalità umana a cui tendono gli altri anarchici, hanno tanto diritto a dirsi tali e ad essere considerati compagni, quanto gli anarchici che seguono in economia una o l’altra delle diverse scuole del socialismo, proclamandosi comunisti, collettivisti, mutualisti etc. Pur affermando le sue preferenze per l’economia comunista, finisce col sostenere la libera sperimentazione, come unica alternativa all’autoritarismo e quindi alla morte della rivoluzione. Come si vede, per quel che riguarda l’individualismo, non c’è stata nessuna rettifica di posizione da parte di Malatesta nell’ultimo periodo della sua opera di propagandista, ma solo un cambiamento di tono, dovuto alle diverse circostanze ambientali. In quanto all’organizzazione, le sue idee sono sempre rimaste le stesse e la formulazione che ne faceva nel 1897 è oggi così chiara ed attuale come allora. In questo pensiero equilibrato e realista, così ben delineato dal punto di vista dei diritti e doveri dell’individuo, sono impliciti anche i limiti dei diritti e doveri della società e specialmente di quelli del movimento organizzato, che Malatesta descrisse esplicitamente nella discussione coi “piattaformisti” russi appartenente all’ultimo periodo della sua attività (Malatesta – Scritti, vol. III, Ginevra 1936, p. 298 e sgg.)
Ci piacerebbe ripubblicare qui tale difesa della dottrina anarchica contro i pericoli autoritari d’una malintesa organizzazione, come contrappeso equilibratore a questi articoli del 1897, scritti contro i pericoli autoritari della non organizzazione. Ma il fatto di trovarsi la polemica contro i “piattaformisti” in volumi accessibili, dove gli interessati li possono facilmente trovare, ci ha consigliati a scegliere, per compiere tale funzione equilibratrice, lo scritto “La libera sperimentazione” (originariamente “Totalitarismo o sperimentalismo”) in cui Luigi Fabbri, nell’ultimo anno della sua vita, cercava di combattere l’utopia del sistema unico, logicamente legata all’idea del monopolio della rivoluzione da parte d’una tendenza organizzata a quello scopo e quindi necessariamente autoritaria. Tale idea era coscentemente o incoscentemente implicita non solo nella famosa “Piattaforma” dei compagni russi, ma anche in tentativi revisionisti posteriori a cui Luigi Fabbri allude. Il pericolo di tali degenerazioni in senso autoritario è permanente dove esiste il generoso entusiasmo dell’azione. Di qui la necessità d’una vigilanza continua su noi stessi e intorno a noi, non per “custodire l’arca santa dei principi”, come qualche ironista ha detto, ma per non infilare, invece della rischiosa via della libertà creatrice, la comoda strada che porta all’abisso.
Luce Fabbri
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Note dell’Archivio
-L’articolo di Malatesta venne pubblicato nei nn. 13, 14 e 15 de “L’Agitazione” del Giugno 1897. È stato ripubblicato nel libro curato da Turcato Davide, “Malatesta Errico. Un lavoro lungo e paziente…Il socialismo anarchico dell’Agitazione 1897-1898”, Edito da ZIC-La Fiaccola, 2011, pagg. 112-120.
Turcato riporta la seguente nota (che in parte si rifà a quella pubblicata da Luce Fabbri nell’opuscolo):
“Correzioni di forma alla seconda parte dell’articolo furono apportate, come riferisce Luigi Fabbri, “dal medesimo Malatesta in una copia di suo pugno che ci mandò a Parigi nel 1928, quando questo suo lavoro doveva essere ripubblicato ne “La Lotta Umana” e non lo fu perchè il periodico dovette cessare le sue pubblicazioni in seguito all’espulsione dalla Francia del redattore e dell’amministratore”. Fabbri pubblicò poi la versione riveduta in Studi Sociali del 15 maggio 1935, corredandola della precisazione storica qui riportata. La copia manoscritta è consultabile in Luigi Fabbri Papers 255, Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis, Amsterdam. Tuttavia la presente edizione si attiene al testo originale del 1897, preferendo mantenerne la purezza documentaria che presentare una versione eclettica.” (pag. 112).
-L’articolo di Fabbri venne pubblicato nel n. 37 di “Studi Sociali” del 16 Gennaio 1935