Bonanno Alfredo Maria, “Teoria dell’Individuo. Stirner e il Pensiero Selvaggio”

Edito da Anarchismo, Trieste, 2004, 385 p., Seconda Edizione

Introduzione alla prima edizione
La mia conferenza su Stirner come filosofo de L’unico [del gennaio 1994] e l’itinerario diretto a ricostruire una “Teoria dell’individuo”, percorso in varia maniera in altri scritti miei qui presentati, mostrano, almeno mi pare, una coerenza di intenti che li legittima a una nuova vita insieme.
Nel raggelante panorama attuale delle letture anarchiche, tornare alle fonti de L’Unico e la sua proprietà è sempre una scossa radicale. Questo spiega, se non altro, la persistente fortuna di uno strano libro che nessuna preoccupazione avrebbe dovuto sollevare nelle attente previsioni del potere, e nessuno, o quasi, interesse nei suoi poco probabili lettori. Mai profezia fu meno attenta.
Mi capita spesso di leggere qualche pagina de L’Unico, anche quando sono intento ad approfondire argomenti di altro genere. Ed è sempre un breve itinerario su un territorio sconosciuto.
Stirner è una lama affilata che penetra in profondità, che non ammette soste, che non si ferma a metà strada, arriva fino in fondo, subito. E lo fa soltanto col pensiero. I fatti, se ci sono, a volte, sono lì per stornare l’attenzione, per ricondurre i piedi a terra e quindi suscitano perfino un sorriso di compiacenza. Il pensiero no. Si muove in maniera lineare, taglia via i ponti con la realtà e con il perbenismo delle comparse intellettuali che si inchinano a vicenda prima di dirsene quattro, annacquate annacquate, che fanno poi tutti i salamelecchi di scusa se, per caso, gli è occorso di toccare qualche nervetto. Il pensiero nudo e crudo di Stirner è un atto barbarico di rara ferocia, eccessivo, il classico elefante che con la sua pachidermica mole si fa spazio nel negozio dei ninnoli filosofici.
Un maestro c’è, ed è evidente, ma è uno strano maestro, quell’Hegel che affilava lame anche lui, per poi fermarsi a metà strada, spuntandone con cura la parte più pericolosa e costruendo proprio in quel punto i nuovi pilastri del potere. Stirner oltrepassa questo punto (Marx aveva invece fatto semplicemente un ulteriore passo indietro nei riguardi del suo maestro – in questo consiste la faccenda della testa e dei piedi della dialettica), l’oltrepassa senza quasi che il lettore se ne accorga. Dopo Stirner non è possibile nessun uso del pensiero se non al di qua della linea di barbarica rarefazione della civiltà e delle sue condizioni di accomodamento che lui tracciò, in maniera attenta, spesso quasi senza farsene accorgere.
Il passo successivo è soltanto l’azione, il regno delle chiacchiere è diventato indicibile. “Io voglio soltanto essere io. Io disprezzo la natura, gli uomini e le loro leggi, la società umana e il suo amore, e recido ogni rapporto generale con essa. E già faccio una concessione se mi servo del linguaggio, io sono l’ indicibile, io mi mostro soltanto”.
Il pensiero che mette fine alla chiacchiera è fatto passare per qualcosa di primitivo, di non sufficientemente acculturato, qualcosa che non conosce garbo e maniere. Ecco perché lo considero barbaro, perché in termini dell’ortodossia linguistica dell’accademia si limita a volte a balbettare nell’impossibilità di continuare a dire la grande pressione emotiva che sta dietro, che sta dentro e che non riesce a venire fuori. Ma perché dovrebbe venire fuori in un ulteriore distinguo del meccanismo hegeliano del pensiero, anche questo, ultimo elemento di comune comprensione, che finisce per essere buttato a mare? Persino i neokantiani provarono a chiedersi chi mai fosse costui, e che volesse dal loro cicaleccio coordinato, visto che di metodo, dopo tutto, se ne curava poco.
Non voglio dire che gli anarchici, da parte loro, si siano tutti resi conto di che cosa significa leggere Stirner. Qualche volta, per motivi non molto dissimili dall’accademia, le loro letture sono state altrettanto desiderose della nenia confortatrice che ritma i momenti precedenti al sonno. E perché dovevano andare diversamente queste letture? Forse che gli anarchici hanno una pietra filosofale nascosta, un qualche segreto che getta luce nel territorio della teoria? Non credo, almeno non lo credo se con questo s’intende una sorta di privilegio prodotto dal semplice fatto di pensarsi anarchici e di dirlo, come categoria dell’esistente, quella consolidata nella profonda e incontaminata purezza del rifiuto del potere. Stirner si sarebbe beffato anche di loro.
Con perfetta osservanza dei princìpi dell’anarchismo.
Catania, 20 agosto 1998

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