Edito da O.E.T.-Bottega dell’antiquario, Roma, 190 p.
Dall’incipit del libro
Il riconoscimento, o l’istituzione, della proprietà è l’atto più strano, se non il più misterioso, della ragione collettiva, atto tanto più strano e misterioso in quanto, per il suo principio, la proprietà ripugna alla collettività e alla ragione. Nulla di più semplice e di più chiaro che il fatto materiale dell’appropriazione: un angolo di terra non è occupato; un uomo arriva e vi si stabilisce, esattamente come fa l’aquila nel suo rifugio, la volpe in una tana, l’uccello sul ramo, la farfalla sul fiore, l’ape nel cavo dell’albero o della roccia. Fin qui non si tratta, ripeto, che di un mero fatto, motivato dal bisogno, compiuto per istinto, e in seguito affermato dall’egoismo e difeso dalla forza. Ecco l’origine di ogni proprietà; vengono dopo la Società, la Legge, la Ragione generale, il Consenso universale, tutte le autorità del Cielo e della Terra, che riconoscono e consacrano questa usucapione, dite pure – chè lo potete senza timore – questa usurpazione. Perchè? A questo punto la scienza del diritto si confonde e abbassa la testa, pregando di essere così buoni da non interpellarla.
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