Edito da: Editori Riuniti
Luogo di pubblicazione: Roma
Anno: 1983
Pagine: 140
File: PDF
Introduzione/Premessa/Presentazione/Sinossi/Quarta di Copertina/Sintesi:
Durante un corso per lavoratori sul sindacato americano dissi che sarebbe stato interessante distribuire un questionario per tentare di stabilire qual era l’immagine che i lavoratori avevano del sindacato di quel paese. «Tutto lavoro inutile, mi rispose sorridendo un sindacalista, tutti sanno che i sindacati americani sono venduti». Questa affermazione era cosi definitiva da far dubitare della necessità stessa del corso da me proposto. Se quel sindacato era «venduto», se la situazione sociale ed economica negli Stati Uniti era cosi diversa dalla nostra, perché affannarsi a imparare delle cose di scarsissima utilità pratica? Erano semmai loro, gli americani, che avrebbero dovuto studiare i nostri sindacati e imparare il significato della lotta di classe.
Questo libro vuol provare a vedere quanto c’è di vero nell’affermazione di quel dirigente sindacale, opinione che forse non è isolata.
Ma cosa s’intende quando si dice che i sindacati americani sono «venduti»? Che la dirigenza sindacale tradisce le aspirazioni della base? Che con la propria azione blocca le lotte dei lavoratori o le indirizza verso obiettivi secondari (come nel film Fronte del porto)? Che si allea con i gangsters o con la mafia? Nella storia del sindacalismo americano ci sono fatti ed episodi che spingono a dare risposte affermative a queste domande. Ma ciò che deve essere respinto è la pretesa che essi siano in grado di fornire delle risposte assolute e definitive. Com’è infatti possibile che il sindacato continui a tradire i propri iscritti da più di cento anni? Come mai i lavoratori non eleggono una diversa dirigenza o non costituiscono un altro sindacato? Perché la maggioranza dei lavoratori ritiene l’iscrizione al sindacato un «buon investimento»? La risposta sta nel fatto che il sindacato americano non si considera come rappresentante di tutta la classe Operaia, ma solo dei propri iscritti. Il sindacato rifiuta di svolgere un ruolo politico e ideale di forza di rinnovamento e di mutamento della società. Ritiene che il suo compito sia quello di assicurare le migliori condizioni di esistenza per i propri iscritti.
«Noi non abbiamo degli obiettivi finali» sosteneva nel 1885 uno dei fondatori dell’American Federation of Labor (Afl). «Noi procediamo alla giornata. Combattiamo solo per degli scopi immediati, per scopi che possono essere realizzati in pochi anni (…). Vogliamo vestire e vivere meglio. Siamo contrari a tutti i teorici (…) siamo tutti uomini pratici».
Con questa filosofia l’Afl rigettava tutte le precedenti esperienze sindacali americane che avevano sempre unito le rivendicazioni ideali e politiche a quelle economiche. Ancora più importante, questo nuovo sindacalismo (variamente detto «puro e semplice», «d’affari», «del pane e burro») faceva piazza pulita del concetto e della pratica della solidarietà operaia. Il sindacato dei Cavalieri del lavoro, la National Labor Union avevano in precedenza sostenuto la necessità di costruire un sindacato solo per tutta la classe operaia. L’Afl invece si limitava all’organizzazione degli operai di mestiere qualificati. Questa scelta veniva giustificata in base al fatto che solo questi operai erano sufficientemente indipendenti da essere in grado di organizzarsi in sindacato e di fronteggiare il padronato. Le conseguenze di questa scelta furono disastrose per il movimento operaio americano. Da quel momento in avanti l’Afl si sentì responsabile solo nei confronti dei propri iscritti. Non solo: ogni sindacato di mestiere s’interessava solo a difendere le rivendicazioni particolari del proprio gruppo senza interessarsi delle conseguenze che esse potevano avere sugli altri gruppi di lavoratori.
Ci vollero cinquant’anni perché questo modello di sindacato venisse sfidato. In questo periodo l’Afl si adattò sempre di più al ruolo che le veniva assegnato dal padronato. Ogni volta che il sindacato cercava di uscire da questi binari si scontrava con l’azione combinata della repressione pubblica e privata. L’estrema violenza con cui il padronato americano rispose a ogni tentativo del sindacato di aumentare la propria influenza convinse l’Afl, e il mondo del lavoro in generale, che negli Usa era possibile solo un sindacalismo «puro e semplice». Questa regola sembrò confermata anche nel caso del sindacato Iww (Industrial Workers of the World, Lavoratori dell’industria del mondo) che, a partire dal 1905, tento di costituire un sindacato rivoluzionario di tutti i lavoratori dell’industria. Dopo alcuni successi iniziali ogni lotta di questo sindacato diventò una battaglia. La repressione più brutale, insieme ad alcune debolezze ed errori degli Iww, ridusse in breve anche quest’organizzazione al silenzio.
Neanche la grande crisi del 1925 scosse le convinzioni dei dirigenti dell’Afl. Con milioni di operai disoccupati essi continuarono a difendere gl’interessi particolari di gruppi sempre più ristretti di lavoratori. Anche quando l’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) approvo nel 1933 una nuova legge che garantiva ai lavoratori il diritto di organizzarsi in sindacati di loro libera scelta, l’Afl non cambiò sostanzialmente la propria politica e continuò a disinteressarsi degli operai non qualificati. Nel 1936 John L. Lewis (1880-1955), presidente del sindacato dei minatori, giunse alla conclusione che non si poteva continuare a lasciare milioni di lavoratori senza protezione sindacale e che questo compito poteva essere svolto solo uscendo dalla Afl. Nacque così un nuovo sindacato, il Congress of Industria! Organization (Cio), che si proponeva di organizzare tutti i lavoratori secondo l’industria di appartenenza, senza divisioni di mestiere. Ciò non comportava un’organizzazione per settore industriale, com’è per esempio oggi in Italia. Significava solo che tutti i lavoratori di una fabbrica o di un’azienda erano organizzati in un solo sindacato indipendentemente dalla qualifica professionale. La trattativa sindacale restava però a livello aziendale.
I primi anni del Cio furono entusiasmanti. Nel 1945 questo sindacato aveva già circa sei milioni d’iscritti. Il Cio si distingueva per la sua democrazia interna e per la fermezza con cui affrontava le lotte. Ma lo spirito iniziale sembrò esaurirsi una volta che i lavoratori delle grandi fabbriche furono sindacalizzati. La repressione e l’anticomunismo che si scatenarono dopo la fine della seconda guerra mondiale (l’epoca detta del maccartismo) facilitarono il ritorno del Cio alla «normalità».
La violenta campagna anticomunista del senatore repubblicano dei Wisconsin, Joe McCarthy, diventò così rappresentativa di una diffusa interpretazione del mondo come scontro fra democrazia e comunismo che il periodo a cavallo fra la fine del 1940 e l’inizio del 1950 viene appunto definito come maccartismo.
Vale la pena di aggiungere che il senatore McCarthy non guidò un vero movimento politico e ideologico ma si limitò a sfruttare e a drammatizzare quell’anticomunismo, spesso superficiale ma molto diffuso, che caratterizzava la società americana dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Ancora una volta di fronte alla minaccia della repressione e alla difficoltà di organizzare in sindacato i lavoratori delle zone povere del Sud o delle aziende di piccole dimensioni, il sindacato decise di ritirarsi a coltivare il proprio orticello. La decisione di chiudersi a difesa dei gruppi operai più forti non fu però un «tradimento». Negli anni del dopoguerra la classe operaia americana non chiedeva riforme e tanto meno rivoluzione ma solo pane e, soprattutto, burro. Gli operai volevano partecipare ai vantaggi e al benessere che l’economia americana in espansione prometteva. Il sindacato era visto come lo strumento più adatto per raggiungere questo benessere, come gli stessi sindacati avevano sempre sostenuto.
Il contrasto fra Afl e Cio era sostanzialmente sui mezzi più adatti per difendere gli interessi così definiti dei lavoratori. Nessuno dei due sindacati riteneva che questi interessi potessero uscire dal ristretto campo economico. È difficile d’altronde pensare a un ruolo diverso del sindacato in un paese in cui l’unica opposizione politica era rappresentata da un gruppo di comunisti, valutato attorno alle 400.000 unità. I due sindacati si trovarono cosi d’accordo sul fatto che gl’interessi dei lavoratori potevano essere difesi con efficacia solo se essi si mostravano responsabili e comprensivi delle esigenze produttive dell’azienda. In cambio di questo essi potevano avanzare delle richieste di livelli salariali sempre più alti.
Nel 1955 Afl e Cio si riunificarono, dimostrando nei fatti che ormai i due sindacati erano sempre più simili. Nel preambolo allo statuto della nuova Afl-Cio si legge:
«C’impegnamo a costruire un’organizzazione più efficace dei lavoratori; ad assicurare loro il pieno riconoscimento e l’uso dei loro diritti; al raggiungimento di livelli di vita e di lavoro sempre migliori; a far si che il loro lavoro permetta di godere il tempo libero; al rafforzamento e diffusione del nostro modo di vita e delle libertà fondamentali che sono la base della nostra società democratica»
Il nuovo sindacato s’impegnava quindi a riconoscere le regole del gioco in cambio di una serie di vantaggi per i propri iscritti. Che tre quarti dei lavoratori americani restassero al di fuori di questo patto sembrava un fatto secondario. Ancora una volta quei lavoratori che non dimostravano la capacità di organizzarsi in sindacato non venivano ritenuti degni di protezione. Molti di questi esclusi s’impegnarono allora a ricercare una via individuale al benessere. In fondo l’immagine dell’uomo che si fa da sé è una caratteristica tradizionale della società americana. In molti casi i lavoratori finirono per convincersi, a torto o a ragione, che l’appartenenza sindacale avrebbe frenato le loro possibilità di scalata economica.
Milioni di lavoratori restarono invece esclusi da quella che sarebbe stata definita in seguito come la «corsa dei topi». Essi erano principalmente donne, neri e giovani che nel linguaggio dell’economia venivano definiti come gruppi di lavoratori «deboli». Essi restarono intrappolati fra un tipo di sindacato che non aveva interesse a investire in loro e un modello di sviluppo che non poteva eliminare la discriminazione, né in campo sociale né in campo economico. A coloro che non trovavano una collocazione funzionale veniva offerta, nel migliore dei casi, l’assistenza pubblica. Una gabbia, insomma, dentro cui tentare di racchiudere e di controllare le spinte alla protesta sociale.
Fino a oggi nessuno è riuscito a organizzare sindacalmente o politicamente i bisogni, le speranze, la disperazione di questi gruppi di lavoratori spinti al margine della società. Essi sono coloro che sono stati venduti dalia classe operaia forte e dalle sue organizzazioni sindacali che hanno solo e sempre difeso gl’interessi limitati di gruppo. Per questa ragione i lavoratori americani finiscono per non dare troppa importanza alla gestione clientelare e burocratica del loro sindacato. Finché quest’ultimo è in grado di assicurare il benessere economico si ritiene che faccia un buon lavoro. Le pagine che seguono, che descrivono le attività del sindacato sia verso i lavoratori che verso il padronato, devono essere lette avendo presente qual è il tipo di funzione che il sindacato è chiamato a compiere negli Stati Uniti. Il giudizio e la critica devono riguardare quindi il funzionamento della società americana nel suo complesso e non si possono limitare alle attività del sindacato.
Nota dell’Archivio: ///
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