Edito da La Fiaccola, Ragusa, Ottobre 1984, 544 p.
INTRODUZIONE
Quando narrate fatti che si riferiscono alle idee o all’Organizzazione non nascondete nulla, dite tutto; le cose positive perché servano da esempio e da insegnamento alle nuove generazioni e quelle negative perché si possano effettuare le dovute correzioni.
MAX NETTLAU
L’origine di questo libro risale al 1954, allorché molti dei protagonisti che vi figurano erano vivi e quando migliaia di combattenti anonimi erano morti in una lotta disuguale. L’idea dell’autore era allora quella di raccogliere tutti gli elementi necessari per poter un giorno stendere una storia generale della resistenza del popolo spagnolo contro la tirannia franchista, resistenza che era già iniziata nel 1936, man mano che le forze ammutinate contro la repubblica ottenevano la vittoria delle armi. I monti dell’Andalusia, della Galizia, dell’Estremadura, poi delle Asturie, ecc. videro immediatamente l’accorrere di combattenti che non erano disposti a cedere. Mentre il primo aprile del 1939 viene ufficialmente proclamato che LA GUERRA E’ FINITA, la lotta contro le truppe vittoriose si sviluppa in tutta la Spagna, in montagna e nelle città. Mai nella storia dei popoli ci fu una lotta così ignorata e così dimenticata.
Col passare degli anni, dopo una ricerca costante, fu evidente che il progetto era troppo ambizioso, praticamente irrealizzabile: molte erano le difficoltà che sorgevano, alcune impossibili da risolvere a causa delle difficoltà di potere ottenere l’informazione necessaria sul luogo. Così, dunque, l’autore decise di abbandonare il progetto iniziale per limitarsi alla narrazione dell’attività di alcuni combattenti, di coloro che egli conosceva meglio, di coloro coi quali rimase unito da vincoli di amicizia, di idee e di lotta. Si deve lamentare la mancanza di storici che si siano interessati a questa attività clandestina durante la quale scomparve il meglio del popolo spagnolo. Sull’argomento esiste scarsissima bibliografìa e quella di parte franchista è ima letteratura piena di mistificazioni che in nessun caso potrebbe servire come elemento di supporto per un’opera più completa. Questa mancanza di bibliografia viene denunciata persino dagli addetti alla repressione, indubbiamente con molta ipocrisia, anche se la Guardia civil avrebbe volentieri voluto veder valorizzato « l’immenso sforzo e sacrificio » da essa realizzato per estirpare dalla Spagna la sovversione armata.
Questo libro, dunque, è storia, ma non ha la minima pretesa di essere LA STORIA della resistenza antifranchista. Si riferisce solamente ad ima piccolissima parte di essa. Anche nel periodo di cui qui ci si occupa, all’incirca dal 1945 al 1960, in uno scritto dedicato prevalentemente alla regione catalana, esistono grandi lacune, non emerge l’attività di altri combattenti di primo piano, non tutti i fatti riferiti sono i più importanti. E’ storia contemporanea e questo, di per sé, costituisce una limitazione. Non tutti gli uomini son morti, ma molti ancora si rifiutano con ostinazione di ricordare avvenimenti che hanno ormai più di 7 lustri. Ebbene, in queste pagine il lettore non troverà una sola riga che sia frutto della fantasia dell’autore. Persino i dialoghi sono stati riportati con ima costante preoccupazione di fedeltà, sono il resoconto delle conversazioni avute con le persone citate, anche quando si trovavano in piena azione in Spagna. Questo libro è dunque, per la sua maggior parte, una testimonianza personale degli uomini che lottarono e morirono in difesa di un ideale di libertà. Quasi tutti rimasero ignoti, salvo che alle forze repressive che per anni li combatterono e dovettero organizzare seriamente la lotta per poterli sterminare e, per riuscirci, dovettero far ricorso il più delle volte al tradimento. Le autorità franchiste, in parte insoddisfatte dello sterminio fisico dei più tenaci e temuti oppositori, decisero di applicare una sterilizzazione morale che impedisse il « contagio » delle generazioni future e, senza risparmio di mezzi, bollarono una volta per tutte uomini senza macchia come facinorosi, banditi, assassini, esseri avidi di denaro, senza la più piccola motivazione ideologica che li giustificasse. Si può dire senza timore che raggiunsero in buona parte i loro obiettivi.
La tragedia di questi combattenti fu immensa poiché essi dovettero battersi, quasi in permanenza, su due fronti: quello del nemico visibile, ben reale coi suoi fucili, le mitragliatrici, i mortai, i tribunali sommari, le lunghissime condanne. L’altro era quello dell’incomprensione generale, dell’abbandono, persino dell’aggressione e repressione scatenata dai loro stessi compagni d’ideali. Questi ultimi, quando i combattenti giacevano ormai nell’immenso cimitero che è la Spagna, eressero un magnifico mausoleo di silenzio, assolutamente ermetico, perché non uscissero da esso esalazioni capaci di incitare all’emulazione, perché non si potesse neppure trarre profitto dall’insegnamento di una lotta tanto diseguale, insegnamento che avrebbe potuto essere molto utile nella lotta permanente a favore della libertà dell’uomo.
Anche l’esilio compiacente portò sulla tomba fiori velenosi, costanti puntate di disprezzo contro uomini che avevano commesso l’« errore » di essere coerenti, di non voler nascondere la testa. Con la scusa del pacifismo o dell’antiviolenza portarono a termine l’opera demolitrice iniziata dai loro nemici diretti. Si misero a tirar fuori, sempre più frequentemente, apostoli della « non violenza » rivoluzionaria, fecero orecchie da mercante, come chi ignorasse la realtà, come se non sapessero che la violenza è l’unica legge costante delle forze repressive. Alcuni giunsero perfino, con giri di parole, a preconizzare che le classi oppresse possano dedicarsi a recitare il rosario per evitare le ire dei potenti. Vennero condannate attività non condannabili, poiché mai potranno essere soppresse dalla lotta rivoluzionaria, col che si condannavano i militanti e la lotta stessa. Mancò la comprensione, non diremo la generosità di un Errico Malatesta, seminatore di idee, fondamento della sua attività, ma che non gli impediva di dichiarare: « Affermo apertamente che l’espropriazione, il furto, per chiamare le cose col loro nome, a fini rivoluzionari, è un atto di guerra cui nulla si può opporre dal punto di vista della morale, pur discutibile che possa essere dal punto di vista dell’opportunità e della tattica ».
Oppure le parole di un Eliseo Reclus, non sospetto di estremismo ma che con una logica sorprendente scriveva: « Personalmente, quali che siano le mie opinioni su questo o quell’atto o questo o quell’individuo, non aggiungerò mai la mia voce alle grida d’odio di uomini che mettono in moto eserciti, polizie, magistratura, clero e leggi per il mantenimento dei loro privilegi ». Per completare questo discorso, aggiungeremo che è molto diffìcile giudicare uomini e fatti solati dal loro tempo e dal loro ambiente; per questo motivo i primi capitoli furono stesi perché servissero da cornice adeguata all’azione. Occorreva riportare attività contemporanee di altre persone che la loro ansia di « efficacia » portava per strade molto diverse. Non si tratta di uno studio comparato né di un’analisi, ma di una presentazione, che voleva essere obiettiva, di cose buone e cattive, poiché c’è di tutto nella vigna del signore, ma è il lettore che dovrà scoprirle. Diremo ancora che tutto quanto è scritto è incompleto, ma tutto potrà essere utile per un lavoro successivo di ampiezza meno limitata.
Non scartiamo la possibilità che siano sfuggiti alcuni errori di dettaglio. Abbiamo potuto provare, attraverso molti anni di ricerca costante proprio del dettaglio, l’estrema fragilità della testimonianza diretta. La memoria è infedele e sull’argomento che abbiamo sviluppato, molte volte è impossibile trovare alcun documento di conferma. Tali errori, se esistono, non modificano per nulla il contesto generale.
Non è cosa abituale scrivere la storia degli uomini che fanno la STORIA. Noi abbiamo voluto provarci. La STORIA la scriveranno domani gli specialisti che furono ben lontani dai fatti e dagli uomini, daranno interpretazioni, formuleranno giudizi sorprendenti. Noi parliamo qui dei protagonisti che saranno « assenti » in tutte le storie ancora da scrivere.
Parigi, maggio 1984
A. T.
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Nota dell’Archivio
-Traduzione del libro “Facerias: Guerrìlla urbana en Espana (1945-1957)”, Ed. Ruedo Iberico, Parigi, 1974