Edito da Edizioni Università di Trieste (EUT), Trieste, 2015, 222 p.
“Se respingiamo la legge lo facciamo per raggiungere qualcosa di meglio”; con questa lapidaria frase Errico Malatesta nel 1925 evidenzia come certa esegesi del pensiero anarchico, protesa a dipingerlo come una teoria anti-sociale che vorrebbe espungere ogni forma di regolamentazione dal contesto comunitario, sia lontana dalla realtà. Malatesta in particolare e l’anarchismo in generale non negano la necessità di una forma di regolamentazione giuridica dei rapporti sociali, ciò che aspramente criticano e combattono sono le forme di regolamentazione eteronome, che la modernità politica ha prodotto e che vedono nella compagnie statuale il proprio indiscutibile fulcro. Gli studî qui presentati tendono a proporre una lettura del pensiero anarchico che evidenzi, a partire dalle riflessioni malatestiane, l’intimo ed inscindibile rapporto fra anarchismo e diritto. Un pensiero anarchico quello qui tratteggiato, il quale, più che proteso a portare agli estremi limiti le prospettive politiche moderne (in “primis” il liberalismo), appare ricollegabile a forme di speculazione riconducibili alla grecità classica, ove emerge una contrapposizione irriducibile fra rapporto politico e rapporto dispotico. L’anarchismo, pur sorgendo in epoca moderna, appare dunque pensiero “anti”-moderno in quanto radicale critica delle forme politiche che dalla modernità sorgono.
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