Manifesto dei Sedici. Critiche di Malatesta, Galleani, Borghi e di alcuni anarchici russi

Edito da Anarchismo, Trieste, 2015

Nota introduttiva
Il Manifesto chiamato “dei Sedici”, dal numero (errato) dei firmatari, costituisce un cedimento clamoroso di fronte alla linea primaria e insostituibile degli anarchici, di ogni anarchico, contro la guerra. Su questo sono tutti concordi, non ci sono anarchici, oggi come ieri, che trovano giustificazioni alla sua stesura. E allora? Come mai uomini del calibro di Grave, Cornelissen, Malato e Kropotkin, per limitarsi ai compagni più conosciuti, lo stesero e lo firmarono? La risposta non può essere che una sola: fu un abbaglio, ma un abbaglio consequenziale.
Un abbaglio, perché credere di partecipare a una guerra “dalla parte giusta” non è possibile, non esistendo guerre giuste. Consequenziale, perché derivante logicamente dall’ipotesi quantitativa fondata sulla logica dell’aggiunta o, come l’abbiamo definita, dell’“a poco a poco”. Il determinismo, in salsa marxista o positivista, risulta sempre indigesto.
La risposta di Malatesta costituisce una critica esemplare. Non solo per la sua ortodossia antimilitarista e, in una parola, anarchica, ma per il modo garbato e non polemico che seppe prendere. Il gioco aveva una posta altissima, i compagni firmatari del “Manifesto” erano noti in tutto il mondo e godevano di un credito rivoluzionario di tutto rispetto, non si poteva liquidare la faccenda come un errore di valutazione. Occorreva prendere le mosse da lontano e andare al nocciolo della questione senza revocare in dubbio il grande contributo che uomini come Kropotkin e altri avevano saputo dare, e avrebbero continuato a dare, alla rivoluzione anarchica. E Malatesta ci riesce pienamente.
Anche a prescindere dal contenuto di questa sottile schermaglia, che oggi potrebbe sembrare ovvio, c’è anche il metodo con cui essa venne condotta, metodo che nelle chiacchiere odierne, spesso e volentieri, viene messo da parte per ricorrere agli attacchi personali piuttosto che sostanziali. La piattezza dei tempi in cui vivo si coglie anche in tante grossolanità che continuano a rotolarmi a fianco senza nemmeno sfiorarmi.
La risposta di Galleani a Kropotkin è uno dei suoi testi più famosi e importanti, dal titolo: “Per la guerra, per la neutralità o per la pace?”. Malgrado l’artificiosità del suo stile, questa volta il retore è messo in secondo piano. Il problema era durissimo: controbattere a un grande amico e a un compagno, fra i non pochi, di enorme influenza in tutto il mondo, conosciuto e ammirato, compagno che, contro tutte le aspettative – quante volte succederà di poi una cosa del genere? – aveva preso una strada insostenibile e inaspettata.
La risposta di Borghi è più intima, quasi colloquiale, eppure rende benissimo – e per questo l’abbiamo inserita – il clima che si respirava in quel momento fra gli anarchici, di fronte alla defezione dalla linea antimilitarista di tanti compagni conosciuti e autorevoli.
Il tema dell’autorevolezza e del bisogno di guardare al compagno che questa veste finisce per assumere, quasi sempre per corrispondere ai bisogni degli altri compagni e non certo per una sua smania di primeggiare, che in quest’ultimo caso si sentirebbe il lezzo lontano un miglio, è sempre aperto. Non dimentichiamolo.

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Note dell’Archivio
-Gli articoli presenti sono i seguenti:
–“Manifesto dei Sedici”, 26 Febbraio 1916;
–“Anarchici Pro Governo”, “Freedom”, Volume 30, n. 324, Aprile 1916;
–“Per la guerra, per la neutralità, o per la pace?”, “Cronaca sovversiva”: a. XIII, nn. 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52; a. XIV, n. 1;
–“Da Ravachol a Barrère”, estratto da “Mezzo secolo di anarchia (1898-1945)”, II ristampa, Catania 1989, pp. 153-161
–“Anarchici russi. Risposta al Manifesto dei Sedici”, Otvet, in “Put’k Svobode”, Ginevra, maggio 1917, pp. 10-11.
Nel libro di Avrich Paul, “L’altra anima della rivoluzione. Storia del movimento anarchico russo”, edito da Edizioni Antistato, Milano, 1978, viene riportata a pagina 145 la seguente nota bibliografica sulla risposta (Otvet) data a Kropotkin:
“« Otvet », volantino del Gruppo degli Anarco-Comunisti di Ginevra (1916), Columbia Russian Archive; Put’k Svobode, n. 1, maggio 1917, pp. 8-11; cfr. le proteste del Gruppo degli Anarco-comunisti di Zurigo e il volantino di Roshchin, « Trevozhnyi Vopros », entrambi presso il Columbia Russian Archive, e Alexandre Ghé, “Lettre ouverte a P. Kropotkine” (Losanna, 1917). Gli attacchi dei bolscevichi contro Kropotkin e i suoi simpatizzanti « difensisti » furono, naturalmente, quanto mai velenosi. « Gli anarchici più famo­si del mondo intero », scriverà Lenin in “Il socialismo e la guerra”, « hanno disonorato se stessi non meno degli opportunisti con il loro sciovinismo sociale (nello spirito di Plekhanov e di Kautsky) a pro­posito della guerra ». Lenin, “Sochineniaa”, XVIII, 204-205. Secondo Trotsky, 1’« antiquato anarchico » Kropotkin ha sconfessato tutto ciò che aveva professato per almeno mezzo secolo, senza vedere « che una Francia vittoriosa avrebbe umilmente servito i banchieri ameri­cani ». Leon Trotsky, “The History of the Russian Revolution” (3 vol. in 1, Ann Arbor, 1958), I, 320; II, 179.”

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