Fo Dario, “Morte accidentale di un anarchico”

Edito da Einaudi, Torino, 1974, 121 p.

Presentazione
Come ci è venuto in mente di allestire uno spettacolo legato al tema della strage di Stato? Anche in questo caso siamo stati spinti da una situazione di necessità. Durante la primavera del ’70 i compagni che assistevano ai nostri spettacoli – compagni operai, studenti, democratici progressisti – ci sollecitavano a scrivere un intero testo sulle bombe di Milano e sull’assassinio di Pinelli, che ne discutesse le cause e le conseguenze politiche. La ragione di questa richiesta era costituita dal pauroso vuoto d’informazione attorno al problema. Passato lo shock iniziale, la stampa taceva: i giornali della sinistra ufficiale, «l’Unità» in testa, non si sbilanciavano e non andavano oltre sporadici commenti del tipo: «Il fatto è sconcertante», «Come oscura è la morte di Pinelli, così rimane avvolta nel mistero la strage alle banche». Si aspettava che «luce venisse fatta». Aspettare, purché non si facesse caciara…
E invece no. Bisognava far caciara, con ogni mezzo: perché la gente che è sempre distratta, che legge poco e male e solo quel che gli passa il convento, sapesse come lo Stato può organizzare il massacro e gestire il pianto, lo sdegno, le medaglie alle vedove e agli orfani, e i funerali con i carabinieri sull’attenti che fanno il presentat’arm…
All’inizio dell’estate esce da Samonà-Savelli il libro La strage di Stato: un documento straordinariamente preciso, ricco di materiale, e soprattutto scritto con grande decisione e coraggio. In autunno «Lotta Continua» e il suo direttore Pio Baldelli vengono denunciati dal commissario Calabresi. è a questo punto che anche noi comprendiamo la necessità di muoverci al piú presto. A nostra volta iniziamo il lavoro d’inchiesta. Un gruppo di avvocati e giornalisti ci fa avere le fotocopie di alcuni servizi condotti dalla stampa democratica e di sinistra – ma non pubblicati; abbiamo la fortuna di mettere il naso in documenti riguardanti inchieste giudiziarie, ci è dato perfino di leggere il decreto di archiviazione dell’affare Pinelli (e, com’è noto, i processi che secondo alcuni avrebbero definitivamente dovuto «far luce» sull’episodio verranno successivamente rinviati e definitivamente sospesi: per morte non accidentale dell’attore). Stendemmo una prima bozza di commedia. Farsa, addirittura: tanto penosamente grotteschi risultavano gli atti delle istruttorie, le contraddizioni delle dichiarazioni ufficiali. Ci viene fatto presente che potremmo correre il rischio di denunce, incriminazioni, processi: decidiamo comunque che vale la pena di tentare che, anzi l’andar giú a piedi giunti sia necessario, è il nostro dovere di militanti politici. L’importante è fare in fretta, intervenire a caldo.
Il debutto, al capannone di via Colletta, coincide con i giorni in cui si celebra il processo a Pio Baldelli, direttore di Lotta Continua. è un successo di massa straordinario: ogni sera la sala è esaurita mezz’ora prima dell’inizio dello spettacolo, ci troviamo a recitare con la gente sul palcoscenico, fra le quinte. Nonostante le provocazioni: come la telefonata del solito ignoto che denuncia la presenza di una bomba in sala, l’intervento della Volante, il rilievo dato all’«incidente» dalla stampa padronale. Nonostante tutto ciò, sollecitati a tener duro dai compagni avvocati del processo Calabresi-Baldelli, le repliche proseguono a platee esaurite fin oltre la metà di gennaio. Le difficoltà cominciano con la partenza per la tournée. In via Colletta siamo a casa nostra: fuori, i compagni che ci organizzano sono costretti ad affittare teatri, cinema, sale da ballo. C’è piú d’un gestore che si rifiuta di accordarci la sala, disposto a pagare ogni danno, dal momento che qualcuno l’ha consigliato di non insistere, di lasciar correre… Qualcuno che non vuol perdere il suo posto di questore.
Spesso, però, le apparenti sconfitte diventano nostre vittorie. A Bologna, per esempio, ci vengono negati i millecinquecento posti del teatro Duse: riusciamo ad ottenere i seimila del Palazzetto dello Sport, e la gente lo affolla. Si comincia a intuire che se la polizia e qualche sindaco piú o meno governativo si danno tanto da fare perché certe cose non si sappiano… ebbene, certe cose vanno assolutamente sapute.
Ma qual è la vera ragione del trionfo di questo spettacolo? Non tanto lo sghignazzo che provocano le ipocrisie, le menzogne organizzate in modo becero e grossolano – a dir poco – dagli organi costituiti e dalle autorità ad essi preposte (giudici, commissari, questori, prefetti, sottosegretari e ministri), quanto soprattutto il discorso sulla socialdemocrazia e le sue lacrime di coccodrillo l’indignazione che si placa attraverso il ruttino dello scandalo, lo scandalo come catarsi liberatoria del sistema.
Il rutto che si libera felice nell’aria anche attraverso il naso e le orecchie proprio attraverso lo scandalo che esplode, quando si viene a scoprire che massacri, truffe, assassini sono organizzati e messi in atto proprio dallo Stato e dai suoi organi che ci dovrebbero proteggere. E il grande sghignazzo nasce nel constatare l’indignazione del buon cittadino democratico che cresce fino a soffocarlo: ma la soddisfazione che sono, alla fine, gli organi stessi di quella società marcia e corrotta a puntare il dito accusatore verso se stessa, verso le sue «parti malate», lo rende libero, disintasato in ogni buco del suo spirito. Fino a farlo esplodere felice nel grido: «Viva questa bastarda società di merda, che si pulisce però sempre con carta soffice e profumata, e che, ad ogni rutto, si porta educatamente una mano davanti alla bocca!»
Lo spettacolo è stato replicato per altri tre anni che hanno visto la morte di Feltrinelli, altre bombe, altri massacri. Evidentemente il testo è aggiornato, il discorso si è fatto più esplicito. Lo scopo immediato è quello di far comprendere come la strage di stato continui imperterrita, e i mandanti siano sempre gli stessi. Gli stessi che hanno tenuto in carcere Valpreda e i suoi compagni, sperando che crepassero, gli stessi che ammazzano a bastonate un ragazzo per le strade e nel carcere di Pisa.Gli stessi che preparano trappole e sceneggiate orrende, che preparano colpi di stato e poi, scoperti, assicurano: «Ma io scherzavo».
Come diceva Bertold Brecht: «Nei tempi bui cantiamo dei tempi bui, poi verrà anche per noi il tempo delle rose». Ma non illudiamoci, vedremo tornare ancora l’arroganza e la ferocia del potere. Un potere rivestito con costumi nuovi, volti mascherati con sotto le stesse facce. E vedremo anche nostri compagni passati sotto le file loro per pochi o tanti quattrini. L’importante per noi è avere la forza di tornare da capo, con la stessa rabbia e la stessa determinazione di mostrare di nuovo al pubblico il deretano nudo e orrendo dell’ipocrisia.

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