Licemi Augusto, “Si nasce, si pasce, si muore”

Edito da Cooperativa Tipografica Editrice Paolo Galeati, Imola, 1972, 52 p.

PREFAZIONE
Quando il compagno Augusto Licemi mi ha chiesto una prefazione per questo suo Bozzetto in un atto, da lui dedi­cato « a chi sa intendere e a chi ha la pazienza e la capacità di riflettere sulle cose che in esso (con molta modestia) si dicono », ho accettato con animo grato l’invito. Tuttavia, questa introduzione al lavoro di Augusto Licemi preferisco venga considerata come un avvertimento al lettore, piut­tosto ch’essere presentata col nome pomposo di prefazione, intendendo con ciò che il lettore giudichi da sè in modo consapevole e adulto.
Quelle che l’autore presenta al lettore non sono pagine scritte da un esperto che pontifica dalla cattedra erudite sen­tenze, ma vogliono essere un documento diretto, che interes­serà anziani e giovani, con tutta la sua carica di tragedia, re­datto da un uomo semplice, un artigiano pieno di umanità, un anarchico il cui lavoro è vero ed attuale. Stampare questo bozzetto in un momento in cui la lotta politica e sociale in Italia è aspramente combattuta e, nel mondo, ad una generale incoscienza fanno riscontro brutali carneficine, è atto meritorio, contributo serio ed efficace alla conoscenza delle iniziative capaci di porre un freno al dila­gare di una funesta inconsapevolezza, risponde con l’arma migliore della persuasione e della presa di coscienza ad una realtà cruda e profondamente umana. Augusto Licemi ci aveva già dato un saggio della sua bravura di drammaturgo con « LA RESURREZIONE DI CRISTO » — che mette a nudo i fatti della vita e della mi­seria ambientati in una povera casa, in un contrasto patetico tra illusioni, miti e superstizioni e la realtà, l’indigenza e la fame — e « IN CASERMA », pubblicato il primo dalla “Collana Anteo” nel 1962, « GIULIA », « IL FIGLIO DEL MORTO » e, continuando con profitto e serietà d’in­tenti in quel genere, ci offre oggi « SI NASCE, SI PASCE, SI MUORE », scritto con chiara spregiudicatezza, degna di un uomo libero, con il quale mette in luce alcuni dei dram­matici aspetti della vita odierna.
Commedie modeste, senza pretese nè artistiche nè let­terarie, semplici nella disposizione delle scene e nel linguag­gio, che vanno dirette al cuore ed hanno la virtù di com­muovere, rendendo più sensibili chi ascolta o legge, dispo­nendoli a meglio comprendere ciò che l’autore si ripromette, confessando ch’egli scrive solo a scopo di propagandare l’anarchia.
Tipografo di professione, Licemi collabora a diversi gior­nali anarchici e fonda, a Lecce, dove è nato il 25 feb­braio 1888, il 1° dicembre 1912 « per preparare anche in quella contrada arretrata quel movimento di coscienze ope­raie che in altre regioni non è più una novità », il « CIRCOLO FILODRAMMATICO OPERAIO PIETRO GORI », a cura del quale esce il numero di saggio « LA SQUIL­LA NOVA », che diverrà, poi, periodico mensile di pro­paganda razionale, di cui sarà direttore col numero 1 del1’8 gennaio 1913, dedicato all’anniversario della morte di Pietro Gori.
Idealmente coerente con ciò che pensa, e di cui ne è profondamente convinto, troviamo Licemi tra coloro che, anarchici, nel 1915 sono contro la guerra che funesta dal 1914 l’Europa e il mondo. Non si nasconde, anzi firma un suo articolo, che è al tempo stesso una dichiarazione di fede nell’ideale anarchico ed una presa di posizione contro la guerra e il militarismo, apparso nel numero uno, serie B, Anno III del 1° maggio 1915 della « SQUILLA NOVA », periodico quindicinale che, dopo Lecce, egli dirige a Milano, facendo del proprio domicilio il recapito del giornale, in un periodo in cui « il macello europeo ha disorientato ritolti cervelli, non escluso quello di qualche sedicente anarchico » ed è pericoloso condurre una campagna contro la guerra ed il militarismo, soprattutto che il giornale viene distribuito gratuitamente. Insomma, una vita al servizio di un ideale puro e umano, carica d’impegno, questa è la lezione che scaturisce da una intima rivolta e si espande nelle lotte di riscatto che l’umanità provoca e sostiene.
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Con felice invenzione, l’autore colloca la sua vicenda in una verità che altri appena intravedono. L’ufficialità giudi­cante non omologherà come ortodossi i bozzetti di Licemi, ma egli, ottantaquattrenne, procede per la sua strada of­frendo, mirabile esempio di unità di pensiero e anarchica protesta per le offese della vita e della civiltà, usando ma­teriale atto a far rivivere i tesori e le bellezze di un ideale sublime, la cui immagine creativa rende assimilabile l’espres­sione di una vita nuova che cancelli l’orrore di quella che stiamo subendo e soffrendo, dando al lettore la possibilità di conoscere a fondo l’anarchia, le sue caratteristiche, la sua grande umanità.
L’alta ispirazione ideale, l’obiettivo di una società libe­ratrice dell’uomo, si contrappone alla tragica mascheratura che si vuole accreditare dall’esterno; essa prende luce dagli atteggiamenti che i protagonisti assumono via via che gli episodi si svolgono, quasi ubbidissero ad una profezia che sin dall’inizio del dramma segna la nascita del secondo figlio di Corrado e nel fratello Aurelio la tragedia di chi intravede il disastro e si accorge di essere impotente a salvare i suoi cari, e l’umanità con essi, a rompere il cerchio dei pregiudizi, dei miti, delle complicità irreali di mentalità incrostate a tradi­zioni crudeli; consapevolezza di chi ha il cuore puro e sa leggere negli eventi, sa già come tutto andrà a finire, e la previsione trova conferma nel finale in cui il senso della ve­rità avvolge un trionfo, ma solo quello della morte.
Le scorie deposte dalla lunga consuetudine borghese ed il conformismo piatto a cui si adattano facilmente le masse acefali, impediscono di accettare il ragionamento della lo­gica umana, derivante da una pienezza di esperienze radicate nella realtà, da divenire saldi fattori di emancipazione del­l’uomo e dell’umanità. La letteratura che affronta e com­batte apertamente la guerra e il militarismo, che ne è lo stru­mento determinante, è carente di opere vive. Il pubblico disinformato, non trovando nel saggio o nel romanzo la chiave che dà soluzioni di pace ai conflitti armati tra Stati e alle stragi prodotte dalle guerre, cosi pensa l’autore, tro­verà nel teatro, nella rappresentazione, lo stimolo che lo aiuterà a prendere coscienza di una realtà che lo minaccia, a individuarne i responsabili e gli esecutori, a cercare altri con i quali legare, ai problemi e alle lotte contingenti, quelli della rivolta alla guerra, alla sovrappopolazione, al razzismo, alla fame — e tutti i rischi mortali della nostra incivile civiltà — in una contagiosa attesa della fine di un mondo troppo vecchio per le idee nuove.
Le idee contenute in questo « abbozzo di vita vissuta » si riallacciano alla crisi ecologica in atto nel mondo, questa essendo un aspetto nuovo di un vecchio problema, avente per moventi lo sfruttamento, l’ineguaglianza e l’ingiustizia, poste in rilievo dall’autore che, per bocca di Aurelio, le sottopone a sferzante critica includendo, opportunamente, una delle componenti maggiori della generale infelicità: l’ac­crescimento della popolazione mondiale.
« Io amo molto i bambini — esclama Aurelio in una delle più persuasive scene — ed è il grande affetto che ho per loro che mi spinge a propagandare l’idea di non farli na­scere, di non metterli al mondo, a questo mondo. È logico: non approvo la loro nascita, perchè non approvo la loro sorte, il loro avvenire, il loro soffrire, la loro fine uguale per tutti: la morte. Questo è il mio solo, vero, umano pensiero, il mio incubo ».
Fu questo grido d’allarme straziante che diede enorme importanza sociale ad una battaglia per la quale Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria, anarchici, incorsero nella denuncia penale seguita da processo e condanna, colpevoli di avere sfidato i divieti fascisti contro la propaganda dei metodi anti­concezionali. E fu questo episodio di cronaca giudiziaria, aperto contro gli anarchici un quarto di secolo fa, che ne apri successivamente altri contro sociologi insigni e gli amici dell’A.I.E.D., tra l’ironia compiaciuta della maggior parte della nostra classe politica legalitaria.
I problemi della crisi demografica, che investono l’av­venire di circa quattro miliardi di esseri umani oggi viventi, non sono isolati da altri ugualmente gravi e minacciosi, quali la diversità dei livelli di ricchezza dei popoli, che le varie conferenze mondiali ufficialmente riconosciute non sono riu­scite ad equilibrare, a causa degli ostacoli frapposti dai po­tenti della terra i quali, pur consci delle immense respon­sabilità che ricadono sulle loro spalle, tuttavia non intendono rinunciare a quegli interessi particolari — nè la Chiesa ai suoi dogmi sulla procreazione per volontà divina — che a molti sembrano sacrosanti anche se ci hanno condotto sulla soglia di un abisso senza fine.
Idee e argomenti, l’autore li prende dalla vita e dall’anar­chismo che lo aiuta a cercarli; essi sono destinati, perchè profondamente sentiti, a far presa nel pubblico, a commuo­verlo e convincerlo. Non si può non concordare con l’esigenza avanzata dall’autore di propagare ciò che per lunga espe­rienza egli ha vissuto, combattendo lo Stato come potere autoritario e oppressivo, affidandosi all’anarchismo sostan­zialmente benefico.
La sua crociata contro la guerra è urgente quanto il rico­noscere l’uomo cittadino del mondo e la terra madre di tutti gli esseri umani. Questo è il messaggio che, attraverso le scene ed i personaggi di cui sono protagonisti, Augusto Li­cemi ha voluto trasmettere all’uomo, perchè si rivolti al pen­siero -di una fine cosi crudele ed abbia ancora in sè la forza e la speranza di sopravvivere.
Savona, 26 giugno 1972.
Umberto Marzocchi

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