Damiani Gigi, “Rampogne. Versi d’un ribelle”

Edito da Gruppo Editoriale Anarchico Piemontese, Torino, 1946, 31 p.

Prefazione
Se poesia è conoscenza di anime e di cuori, se poesia è perce­zione del male che infuria e ansiosa aspettazione di un migliore domani, se poesia è visione del mondo e dei suoi problemi più dolorosi e urgenti, se poesia infine è vaticinio, augurio ed incitamento, questo libro di liriche suggestive e sonore è davvero una splendente ghirlanda di poesia. Versi proletari e plebei, fatti di amarezza, di sarcasmo e di ribellione, nei quali invano i pettoruti soddisfatti cercheranno i quadretti soliti e convenzionali di vita tranquilla. Qui il viandante non è, nè può essere, la nota caratteristica di un paesaggio: qui il viandante è un esule, uno sconfitto della vita, un oppresso col cuore gonfio di troppe amarezze che passa curvo e digiuno tra i limitari delle ville patrizie, e porta con sé il peso d’un’ira appena repressa che esplode nell’ultimo verso. Qui le folle sono folle in sommossa e i fanciulli non si baloccano sull’erba di un giardino : sono piegati sul selciato a raccogliere le pietre aguzze da lanciare oltre la barricata, e le donne colle vesti sconvolte non sono le dame incipriate dei medioevi menestrelli. Qui tutto è reale, dolorante, terribilmente grande: l’idea stessa che palpita in tutto il libro, non è un’accomodante fede ad uso di borghesi benestanti, nè il solito faro convenzionale, freddo ed immobile; no, qui l’idea è data da un’immagine viva: è una nave oscura, che lentamente avanza su un mare battuto dai venti, attraverso immani marosi che si rovesciano a prua in una tenebra sinistra rischiarata dai lampi. Qui l’idea è tanto alta, luminosa e sicura, che può cavalcare verso il sole sulla sella di quel primo meraviglioso sovversivo che fu Don Chisciotte. In queste giornate di transazione che tanto spesso risuonano del clamore assordante di mille voci, discordi spesso, interes­sate sempre, s’alzi ammonitore e ribelle il canto di questo nostro compagno, diritto come una spada che svela nei suoi versi il malfido armeggiare dei mestatori e grida il suo no all’ accomodante zelo dei rassegnati. Torino, Giugno 1946.
GLI EDITORI.

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