Edito da Società Anonima Poligrafica Italiana, Roma, 1924
“Il movimento rivoluzionario, conseguenza del dopo-guerra si esaurì in rare e non importanti azioni isolate che furono un lamentevole per quanto glorioso sperpero di energie, di mezzi e di uomini (molti dei quali poi, superstiti alle razzie poliziesche, ai bandi ed alle percosse, il disinganno vinse e condusse altrove) ed in molte, troppe manifestazioni coreografiche ed in assai sbandieramenti festosi, perché mancava di fatto la volontà rivoluzionaria; o, meglio ancora, perché premeva sulle folle un’abitudine di aspettativa del miracolo; abitudine tenuta a balia ed allevata con molta cura dal riformismo; abitudine che paralizzava l’evolversi, il maturare di quella volontà e che soffocava ogni conato d’iniziativa individuale o di gruppi che pretendesse, di quel movimento, accelerare la marcia. Le masse, pure agitandosi e qualche volta impulsivamente, non sapevano superare il limite dell’inutile agitazione perché attendevano a farlo la venuta di un Messia che nessuna vergine aveva potuto concepire, perché il socialismo si era troppo se non esclusivamente dedicato alle pratiche onaniste del parlamentarismo. Il Partito Socialista Italiano non aveva voluto sposarsi colla libertà (forse perché aveva avuto per precettori dei professori tedeschi) anzi, negli ultimi anni di sua mastodontica esistenza, aveva detto chiaramente che certi amori non erano per una persona seria come lui, che doveva mettere su casa e sostituirsi col proprio governo al governo borghese. E, in quel tempo, dal capo-lega al deputato, dall’organizzatore al membro della direzione, dal giornalista al propagandista, tutti quei socialisti che si ritenevano nati col bernoccolo del dirigente di masse trascinavano la propria burbanza per prefetture e ministeri, per piazze ed uffici, pavoneggiandosi della loro strapotenza d’occasione. E non solo il nemico essi guardavano dall’alto in basso, ma anche il compagno Zero ed il lavoratore «uno qualunque» i quali dovevano, per vivere, come e con più durezza di trattamento gli accade oggi, accettare una tessera e professare una fede della quale avevano inteso dire qualche cosa nei passati tempi.”
Nota dell’Archivio
-Il testo venne ristampato a Roma da parte di un Gruppo Anarchico romano nel 1946 con il sottotitolo “Riflessioni di un anarchico”. In questa opera vengono raccolti gli articoli di Damiani pubblicati ne “Il Vespro Anarchico” (titolato nella riedizione del 1946 come capitolo II “La fatica di Sisifo”) e “Fede Quindicinale Anarchico di Coltura e di Difesa. Giornale Anarchico”