Irèos, “Una colonia comunista”

Edito da Biblioteca della Protesta Umana, Milano, 1907, 40 p.

Prefazione di Oberdan Gigli

Incauti o generosi uomini allucinati da una speranza o fanatizzati da un imperativo morale, cercano – fra la grandezza di una società complessa ed opprimente – creare i “nucleoli” o i “tipi” della società ventura. Nè si avvedono di dovere alla società da essi odiata tutto il loro patrimonio di cognizioni e di sensazioni. Essi, in uno scatto di insana protesta, rinnegano le origini e ritornano alla natura vergine, a “rifarsi”. Ma, la fatica più di essi forte dimostra che non si arretra impunemente, che il progresso è un continuo sviluppo di attività, che la realtà è al di sopra di tutte le teorie e di tutti i sentimentalismi. Pur anco ideato da Rousseau o sostenuto da Tolstoi o tentato dagli sperimentatori anarchici è folle il “ritorno alla natura”. Solo gli ascetici o gli artisti possono felicemente compiere tale prodigio: ma gli ascetici vi ritornano con un procedimento di castrazione e risultano ai posteri quali pazzi o quali deficenti, e gli artisti vi giungono con altro procedimento: esaltati dalle visioni di arte superano sè stessi e innalzano sul Maloja il tempio immortale fatto di una gloria di luce e di colori. Ma socialmente parlando noi non vogliamo nè dobbiamo essere asceti, e non siamo nè possiamo ritenerci artisti. Dopo la nostra ideazione politica che discende da una critica irriverente di tutte le religioni e di tutte le morali; dopo il diniego più fiero d’ogni concetto cristiano di rinunzia, di rassegnazione, di povertà; dopo la conseguente illazione di una società che permetta la completa manifestazione dell’energie individuali pel massimo soddisfacimento degli umani bisogni; dopo tutto questo largo canto alla bellezza, alla libertà, alla gioia noi non possiamo diventar cenobiti e rinchiuderci in una piccola sfera di relazioni a mangiar pane e ideale.
Il romanticismo è troppo vieto e il pane è troppo poco, così come il “pane dell’anima” dei buoni cattolici. Solo un’aberrazione mentale può far credere possibile una colonia anarchica e solo un grande dolore può indurre un uomo comune alla solitudine. Un sentimento di diserzione dalla vita conduce gl’illusi al cenobio: per essi il concetto trascendentale d’Iddio è soppiantato dal trascendentale concetto della Libertà: essi vivono col loro iddio. Ma nella società ben altre battaglie si combattono, ben altri esempi occorrono. Gli uomini che sono esuberanti d’energia, che vogliono intensamente godere, si gettino nella lotta contro l’ignoranza e le viltà umane, contro l’oppressione dei grandi fantasmi: da Iddio, allo Stato. Allora solo potranno intravvedere una società libera e potranno dirsene i creatori. Ma non rinneghiamo la realtà della vita sociale, non disprezzino la civiltà, solamente perchè è denominata “borghese”.
Noi siamo figli della borghesia e nel nostro processo ideativo le influenze borghesi sono immense: noi le dobbiamo la possibilità della nostra dottrina e – più – del nostro movimento. Essa borghesia ci ha dato l’industria, l’agricoltura, il commercio grandi: essa ha creato nuove ricchezze, ha accentrato i pubblici servizii, ha gettato il proletariato nella gerarchia direttrice dei grandi istituti e delle grandi industrie; così che il proletariato impara la gestione della ricchezza: essa ha unito per simpatia e per interessi le più lontane regioni ed ha fatto vibrare al di sopra di noi l’elettrico quale vincolo di pace: essa – infine – dottrinalmente ci ha trasfuso la tendenza dell’individualismo e del decentramento amministrativo. Quando il proletariato saprà gestire la ricchezza comune e dalla lotta avrà ereditato il concetto della dignità, dell’indipendenza, della solidarietà, esso sarà padrone dei proprii destini. La società che dovrà risultarne sarà costituita da relazioni e rapporti potenziali o mutui fra istituti, fra corporazioni, fra individui. Sarà un fatto consequenziale, sarà un prodotto della società dell’oggi, sarà la natural genitura della Vita che tende all’espansione e alla libertà; ma non sarà utopia. Non sarà utopia perchè nessuno definisce esattamente oggi come sarà il domani, perchè si ammette che la teoria dovrà assoggettarsi alla realtà delle cose e alla possibilità, perchè la nostra dottrina è – forse – semplicemente l’affermazione di tendenza… Solo i pazzi – incauti o generosi – possono sperar di creare la società nuova o il tipo astraendosi dalle condizioni dell’ambiente. Essi non produrranno che il caso di spregevole egoismo di un Fortuné o il fenomeno di erotismo patologico della “Colonia Cecilia” senza poi che tali fatti morbosi siano esaltati nè da una grande passione, nè dal creatore fuoco dell’arte.

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Nota dell’Archivio
-Irèos era uno pseudonimo usato da Nella Giacomelli

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