Nettlau Max, “Errico Malatesta, vita e pensieri”

Edito da Casa Editrice-Libreria Il Martello, New York, 1922, XIV+352 p.

Prefazione di Pietro Esteve
Diciamolo subito per rassicurare gli scrupolosi.
Questo libro non è una biografia che abbia per scopo innalzare un uomo fino alle nubi per meglio idolatrarlo. Veramente non è nemmeno una biografia; sono degli appunti interessantissimi sui quali poter scrivere la storia del movimento anarchico italiano; ma siccome Malatesta fù uno dei primi ad abbracciare questo ideale redentore ed ha dedicato tutta la sua vita alla propagazione e realizzazione dello stesso, si da divenire, a mio modo di vedere, il suo più sincero, eloquente e pratico esponente, non mi sorprende che gli editori chiamano gli appunti storici sul movimento anarchico italiano VITA E PENSIERI di Errico Malatesta, giacché l’influenza tutta di Malatesta, che oggi, come circa cinquanta anni fa, lavora per l’attuazione odierna e futura del principio anarchico, si sente in ogni epoca ed in ogni azione del nostro movimento in Italia.
Siccome io credo, contrariamente a tanti altri, che ce più pericolo, dal punto di vista della idolatrizzazione, parlare di un morto che di un uomo vivo, voglio fare in poche pagine, cosa difficilissima, quello che non ha fatto l’autore nè gli editori: parlare esclusivamente di questo uomo che più che un uomo è una personalità, la più Raccordo nella sua vita pubblica e privata coli ideale anarchico, quella dell’operaio che allo stesso tempo è filosofo, è letterato, è oratore e uomo di azione.
Quando si parla o scrive di un morto, siccome non può smentire più coi fatti quello che di lui si dice, sia o no vero, per la tendenza naturale che hanno i laudatori ad ingrandire le sue opere di bontà sorvolando sui suoi difetti, si fa facilmente del morto un grande uomo, o un genio, o un redentore, o un idolo; in cambio, discorrendo di un uomo che vive, che è ancora nella lotta attiva, si corre il pericolo che quanto si dice per innalzarlo, anche se verissimo, ridonde in danno suo, giacche di lui si aspetta allora più di quello che veramente stia in condizioni di fare, appunto perchè raccontando di lui delle grandi cose si fa supporre al maggior numero, a molti almeno, che egli non può commettere errori.
Quanto si dice nel libro è storico, ma la storia spesso è meno veritiera che il romanzo o la legenda. Essendo quella generalmente scritta da uomini che non l’hanno vissuta, di certosini che a forza di frugare negli archivi si propongono spiegare le cause che determinarono gli eventi di un dato periodo o epoca, debbono questi contare su documenti, su lettere talvolta scritte apposta per nascondere le intenzioni degli autori stessi e difficilmente riescono a conoscere le cause primordiali che hanno determinato certi fatti.
Nemmeno alle autobiografie, e alle “lettere intime” si può dare troppo importanza dal punto di vista della sincerità. Chi non è capace di mentire per abbellire, o almeno non abbruttire, la propria personalità? Quanti non avranno scritti “lettere intime” esprimendo dei sentimenti che non sentivano per raggiungere un dato scopo, contando precisamente sulla intimità della lettera?
Questo libro è l’opera, non di un frugatore di archivi, ma di un raccoglitore di documenti, di fatti de lui presenziati, o raccontati di chi li presenziò, e nonostante, la grande figura del Malatesta risulta offuscata perchè difficilmente si troverà un altro uomo che parli meno di se stesso e delle sue relazioni che il Malatesta. Per ciò, in questo caso, la leggenda formata dai racconti straordinari uditi o dai fatti narrati dai testimoni, modellano la statua o dipingono meglio il ritratto della sua personalità. Ed è naturale. Cosa ci possono importare le piccolezze degli uomini idee, per emettetemi la frase? Di loro non ci interessa sapere come bevono, mangiano o dormono; quello che vogliamo conoscere sono i loro pensieri, le loro azioni riguardanti l’idea stessa. Per il popolo, e intendo per popolo, tutti i componenti la società, Malatesta è come un nuovo Cristo che, invece di predicare la rassegnazione, stimula alla ribellione contro ogni ingiustizia, contro ogni tirannia, contro ogni sfruttamento. Di lui si sa che, come il sole, porta luce; come la tempesta, purifica l’atmosfera, come la pioggia e speranza di buona raccolta. Tanto quanto lo temono i tiranni, confidano in lui gli schiavi. Ed è che Malatesta è il popolo fatto carne. Ha tutte le qualità e tutti i difetti del popolo. Come il popolo è intuitivo, audace, altruista, e come il popolo è trascurato ed ha periodi di indolenza, e come il popolo veste, agisce e vive.
È veramente un uomo-simbolo.
Nessun altro come lui rispecchia così bene l’idea rivoluzionaria della epoca. In lui si trova sempre il rivoluzionario, il vero rivoluzionario; mai l’accademico, non perchè non sia un grande filosofo, un grande scrittore, un potente polemista; ma perchè la filosofia, e l’arte, e la sagacità per lui non debbono essere altro che mezzi per servire il popolo. Giovane, ragazzo quasi, quando non gli erano spuntati ancora i baffi, nella scuola, “talvolta qual moderno Bruto, immaginava affondare un pugnale nel cuore di un qualche moderno Cesare, tal’altra si vedeva alla testa di un gruppo di ribelli e sulle barricate, dove sterminava i satelliti della tirannia e tuonava da una piattaforma contro i nemici del popolo.” Uscito della scuola partecipò a tutti i tentativi in cui scorgeva anche una semplice aspirazione, un vago desiderio di repubblica, e fu come repubblicano che vide per la prima volta l’interno delle prigioni reali. Poi sopravvenne la riflessione, studiò la storia che aveva studiato sugli stupidi manuali pieni di menzogne e comprese che la repubblica era una forma di governo come le altre, che l’ingiustizia e la miseria dominavano nelle repubbliche come nelle monarchie e che il popolo era massacrato a colpi di cannoni ogni qualvolta tentava di scuotere il giogo che l’opprimeva. E divenne anarchico e internazionalista.
L’Internazionale si era costituita in forma e maniera tale da poter funzionare il giorno dopo della rivoluzione (società di mestiere, federazione di industrie, consigli locali di delegati operai, consigli regionali e internazionale colle sue commissioni di statistiche) ma la concezione internazionalista per fare la rivoluzione era tutta politica, vale a dire, si pensava al rovesciamento del governo mediante la insurrezione popolare, e così Malatesta fu uno degli iniziatori e prese parte alla prima insurrezione anarchica, quella di Benvento. Fin da allora si rivelò in lui quella forza magnetica per dire così, del tribuno per cui egli riesce a farsi voler bene quanti lo avvicinano e lo trattano. Erano soltanto un pugno di entusiasti, e nella regione ove entrarono per fare la rivoluzione sociale non c’erano neanche dei simpatizzanti, ne della gente che sapesse cosa era il socialismo e l’anarchia. Ciò non ostante, non solo furono ben ricevuti dai poveri contadini i quali, dopo che gli archivi venivano bracciali, divenivano proprietari della terra e dei suoi prodotti; ma anche i preti dei paesi li seguivano, arrivando a dire uno di essi, un sessantenne, che erano “i veri apostoli di Dio per predicare il vero Evangelio” ; e un altro, quarantenne, corse avvertire il popolo di non temere nulla dalla banda di anarchici.
L’Internazionale, mezzo sbandata, poco meno che sciolta (solo in Spagna mantenne sempre, clandestinamente prima e pubblicamente dopo la sua organizzazione in organizzazioni di mestiere, federazioni d’industrie, consigli locali (specie di soviets), regionali, etc.) passò in Italia per lungo periodo critico, tentando gli uni di farla diventare parlamentare, legalista, autoritaria, e gli altri volendo ridurla a una scuola filosofica, ultraegoistica, cercando ognuno il proprio benessere infischiandosi del resto dell’umanità, non importa se proletari o borghesi, padroni o operai, governanti o governati. Malatesta, di fronte a queste due mistificazioni, mantenne sempre alta la vera tattica per cui fu tante volte insultato, quella dell’azione diretta, della ribellione a qualunque sopruso, della libertà sconfinata, non per uno, ma per tutti, ciò che costituisce l’ideale anarchico. Si chiamò comunista anarchico, e seguitò, lavorando nei gruppi, facendo sentire la sua influenza nelle leghe di resistenza, e sopratutto nei comizi e nei giornali per stimulare il popolo a fare la rivoluzione a beneficio di tutta l’umanità. Non ammise mai la distinzione che si è voluta fare tra l’atto individuale e collettivo; l’uno e l’altro sono buoni a seconda dello scopo che ci si prefige e della maniera come viene effettuato. E così della violenza. Con queste idee, colla parola e con gli scritti, ogni qualvolta che ha potuto entrare in Italia, da dove era costretto spesso a fugire per non soffrire lunghe condanne, ha ispirato e provocato subito un forte movimento anarchico rivoluzionario da far tremare i governanti.
E adesso, a 68 anni, come il primo giorno che inizio la sua vita di battaglie con Cafiero e Bakunin, pensa, sogna ed è disposto a dare la sua vita per la rivoluzione sociale, col vantaggio che oggi egli ha molte ragioni per sperare di vederla realizzata. Si può dire che le aspirazioni della sua giovinezza sono state realizzate: egli ha tuonato sulla piattaforma contro i nemici del popolo; si è trovato alla testa dei gruppi di ribelli sulle barricate per sterminare i satelliti della tirannia. Non ha affondato ancora un pugnale nel cuore di qualche moderno Cesare, non perchè gli sia mancato mai il coraggio e la voglia, ma perchè oggi il Cesare non è più un uomo, ma un sistema, il capitalismo. Ma per far questo ha tuttavia del tempo e io gli auguro che possa farlo. Credo che Errico Malatesta è uno dei pochissimi uomini, forse l’unico uomo che ha avuta la soddisfazione — la più grande soddisfazione che può avere un uomo — di aver quasi la certezza di vedere convertito in realtà il proprio ideale; l’ideale a cui ha dedicato la sua intelligenza, che è straordinaria, la sua attività, che è grande, e il suo sentimento che è sublime.
Io so che questa prefazione lo farà irritare. Egli è così nemico degli elogi. Ma non importa. Nettlau ha raccolto dati, fatti, idee che servono per poter fare un giorno una minuta storia dell’Internazionale, nella quale si vedrà la gran influenza che Malatesta ebbe nel suo sviluppo. Questo è il lavoro che Nettlau si è prefisso da molti anni e pel quale tiene raccolto materiale straordinario. Io, in cambio, ho voluto fare risaltare la figura di questo uomo che, essendo nemico di ogni personalismo, avendo combattuto costantemente ogni idolatrizzazione, che non parla, ne scrive mai di lui; che si è visto ricevere meglio di Cristo in Jerusalemme (parli Genoa) e che non può prendere parte in un comizio senza che le bandiere per lui si inchinino; ai gridi di viva e al fragore degli applausi, e che gli stessi nemici, i procuratori del re e i giudici, i rappresentanti del governo che combatte implacabilmente e vuol distruggere lo trattino con sommo rispetto; io ho voluto, dicevo, far risaltare la figura di questo uomo, fissandone i tratti caratteristici della sua personalità che si è imposta, pur essendo egli il più impersonale degli uomini. Quando lui parla, quando lui scrive, quando lui agisce, non è lui che si vede, ma è l’anima popolare incarnata in un popolano che, senza lasciar di esser tale, risplende l’ideale della umana redenzione.

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