Bakunin Michail, “Organizzazione anarchica e lotta armata. Lettera ad uno svedese”

Edito da La Rivolta, Ragusa, Marzo 1978, 118 p.

Recensione tratta dal numero 19 di Anarchismo, 1978
Per la prima volta tradotta in italiano la Lettera ad uno svedese (Augusto Sohlman), risulta essere uno stimolante scritto del grande rivoluzionario anarchico, molto attuale almeno nei riguardi del problema dell’organizzazione specifica. Il testo, tradotto e curato da Gianni Landi, che ne ha anche firmata l’introduzione, è molto esplicito su due argomenti: la funzione creatrice della distruzione (argomento caro anche al giovane Bakunin) e la funzione di stimolo della minoranza agente. E alla costruzione di questa “minoranza” egli dedica la maggior parte dei suoi sforzi, convinto che si tratti della costruzione dell’unico esercito che sia possibile contrapporre alla “Santa Alleanza dei re contro la libertà”. Con l’esercito della rivoluzione sarà possibile fare insorgere il popolo, “prepararlo ovunque all’insurrezione simultanea”. Ma, per arrivare a ciò sarà pur sempre necessaria un’organizzazione segreta, “alcune centinaia di giovani di buona volontà”. Scrive l’estensore dell’introduzione su questo argomento: “Quest’ultima frase non deve però essere intesa come un velato avallo ai diversi cartelli della lotta armata, dal più stalinista (Brigate Rosse) al più libertario (Azione Rivoluzionaria), perché se è vero che i compagni di lotta armata stanno dimostrando con i fatti e non con le parole che un gruppo di uomini decisi può disarticolare uno Stato, e un’economia, è altrettanto fuori dubbio che soltanto una azione di massa può abbatterlo. Questo non vuol dire che dobbiamo delegare alle ‘masse’ ogni iniziativa e che questo diventi un comodo paravento al nostro opportunismo, ma nemmeno si può pensare che la costruzione di un Partito combattente o di un’organizzazione di ‘armati’ possa costituire, in questa fase della guerra di classe una indicazione politica”. Giuste considerazioni che trovano riconferma nelle analisi di Bakunin e nelle occupazioni che le dettarono a suo tempo. Non c’è dubbio che la rivoluzione è faccenda molto complessa, non c’è dubbio che non è sempre facile mantenere inviolati i “sacri” principi dell’incontaminata fede, non c’è dubbio che le necessità di scontro possono spingerci se non ad accettare alleanze spurie almeno a lasciare in vita coesistenze da sottomettere a rigorosa vigilanza; e non c’è dubbio che tutto qui finisce per turbare gli spiriti deboli e i sottili metafisici sempre “puliti” nell’astratta atmosfera delle idee. Ma la violenza è fatto doloroso, grave, che richiede l’assunzione di gravi responsabilità. Lottare per la rivoluzione può condurci davanti a decisioni che richiedono un grande coraggio. Non tanto per quello che riguarda la nostra vita, o per certe azioni che possono essere più o meno giuste, per il modo in cui saremo capaci di affrontare la repressione; quanto per trovare il fondamento morale delle nostre azioni. Attaccare i nemici degli sfruttati a livello teorico è facilissimo, e tutti i “progressisti” sono più o meno d’accordo, ma quando questo attacco si concretizza in azioni precise, quando si uccidono alcuni di questi responsabili, quando si distruggono alcuni strumenti dello sfruttamento, quando si annienta alcune centrali del dominio di classe; davanti al polverone melodrammatico alzato dagli strumenti di informazione del regime, molti compagni si sentono in dubbio. Tutti pieni di fuoco pochi minuti prima, tutti disponibili per mettere a soqquadro il mondo, si sentono assaliti dai dubbi e dai ripensamenti, dai distinguo morali che non hanno fondamento una volta che si sia accertata – e la storia non può darci smentita alcuna in questo senso – la responsabilità degli sfruttatori. Non sarebbe inutile, per i compagni, riflettere, ancora una volta, su questo argomento, anche rileggendo le pagine del Bakunin, argomento che va ben oltre un superficiale “realismo” rivoluzionario e che, pur non smentendo l’importanza fondamentale del momento etico nella condotta dello scontro di classe, individua i limiti precisi di questo momento nella responsabilità degli sfruttatori che da sempre sono stati i “padroni della Storia”.

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Note dell’Archivio
-Titolo originale: “Programme d’une société internationale secrète de l’émancipation de l’humanité.” Il testo è conservato presso la Biblioteca Nazionale Svedese di Stoccolma.
-Una prima traduzione del testo originale venne fatta parzialmente in russo dagli storici Vladimir Anatolyevich Dyakov e Evgenia Lvovna Rudnitskaya ed inserita nel volume “La situazione rivoluzionaria in Russia nel 1859-1861”, Vol. VI, Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, Mosca, 1974, pagg. 313-355.
In Europa Occidentale, venne tradotto prima in italiano da Landi (vedi punto successivo di queste Note dell’Archivio) e nel 1979 Michel Marvaud inserì lo scritto originale di Bakunin nel libro “Bakounine. Combats et débats”, Institut d’Études Slaves, 1979, pagg. 185-226.
-Nella prima pagina del libro viene riportata la seguente nota: “Il presente volumetto è stato curato in ogni aspetto dal compagno Gianni Landi, il quale se ne assume ogni responsabilità e nel contempo si scusa degli eventuali errori, particolarmente nella grafia dei nomi, dovuti in buona parte al fatto che il testo originale è stato rilevato su microfilm da un manoscritto di Bakunin.”

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